Esplorando sapori e atmosfera al ristorante Casamare di Salerno
La cucina di "sentimento" dello chef Vincenzo Pepe e l'arte dell'accoglienza di Mario La Mura
Annamaria Parlato 18/06/2024 0
Il mare, con la sua mutevole natura, è capace di rispecchiare e influenzare profondamente le emozioni umane, offrendo un'esperienza sensoriale completa e unica. La vastità dell'acqua e i colori cangianti al tramonto o all'alba sono spesso fonte di ispirazione e ammirazione. "Casamare" al Corso Garibaldi di Salerno ne è la massima espressione e celebrazione, è il ricordo del suo artefice, l’architetto e chef Raffaele Vitale, che lo ha progettato nei minimi dettagli come tutti i locali a sua firma, in cui a venir fuori è il concetto di comunità in cui le persone costruiscono relazioni significative, condividono esperienze e si supportano reciprocamente per il benessere individuale e collettivo.
Dipinti dai colori pastello, acquerelli, tempere, ceramiche vietresi, l’antico e il moderno che dialogano senza dissonanze, qui ogni cosa è coinvolgente, è espressione del territorio circostante e delle persone che nel tempo lo hanno reso identitario. Gli interni sono caratterizzati da tonalità neutre come il bianco e il beige, arricchite da elementi naturali come legno e pietra. L'uso di materiali trasparenti permette alla luce naturale di illuminare lo spazio, creando un ambiente arioso e rilassante. Bello a vedersi è l’angolo dei prodotti tipici, valorizzati da Casamare, e la cucina a vista con l’espositore dei pesci e crostacei.
Entrando nel ristorante, si è subito accolti da un senso di tranquillità e freschezza, come se il mare avvolgesse i commensali. Le onde leggere che lambiscono la costa sembrano riflettersi nel design fluido e armonioso degli interni. Gli arredi sono semplici ma eleganti, con dettagli che ricordano le forme mutevoli della sabbia, dell'acqua e del cielo. Mario La Mura è stato capace di costruire passo dopo passo il locale perfetto, iniziando con il suo primo in Piazza Flavio Gioia, sino al trasferimento in quello che fu 13 Salumeria e Cucina by Casa del Nonno 13, sotto l’egida dello chef stellato Vitale. C’è stata anche una sede estiva ai Cantieri Soriente, che oggi è invece occupata dal neonato Karai Sunset di cucina giapponese, guidato dallo chef Antonio Paraco. Ai fornelli di Casamare passaggio del testimone tra diversi chef salernitani: prima Michele De Martino, poi Antonio Petrone ed infine Vincenzo Pepe, sous-chef al Re Maurì ed esperienze di lungo corso anche al Faro di Capodorso di Maiori con Pierfranco Ferrara.
La cucina marina di Pepe, con qualche infiltrazione di terra, si fa apprezzare non solo per il suo sapore fresco e di carattere, ma anche per la sua capacità di andare al sodo, di riflettere con “sentimento” la cultura e l'ambiente delle comunità costiere. È espressione culinaria che celebra le risorse naturali marine in modo gustoso, sano e sostenibile, aiutando anche i piccoli produttori del salernitano. L'essenza e la diversità del cibo proveniente dal mare si manifestano attraverso una ricca varietà di ingredienti, tecniche di preparazione e influenze regionali che celebrano e rispettano le risorse naturali marine. Questo rende la cucina di Pepe gustosa e appagante, culturalmente ricca e diversificata. C’è la possibilità di assaggiare un percorso degustazione “A Mano libera” a 75 euro, vini esclusi, intitolato Cinque Mari, dettato dall’estro dello chef ma ovviamente a la carte si potrà spaziare tra numerosi piatti sia caldi che freddi, cotti e crudi, che daranno un’idea più ampia della filosofia di cucina di Casamare. La cantina a vista è meravigliosa, occupa un intero corridoio che porta alla sala privè, abbellita da bonsai e tanto legno, ingloba etichette nazionali e internazionali per un’ampia scelta che tocca anche l’Australia.
Il benvenuto, un cannoncino al forno con spuma tonnata e salsa barbecue artigianale, è risultato un buon incipit per accogliere i due antipasti “Giardino di Primavera” e “In Tempura”, il primo un velo di seppia cotto a bassa temperatura con adagiati taccole, asparagi, fagiolini, dadolata della stessa seppia, crema di piselli e polvere di olive; il secondo una triglia di scoglio fritta farcita di fior di latte di Agerola, spinacino al burro, bottarga di tonno e gel di arancia. Delicatissima la seppia e strabiliante la triglia preparata in tempura, con impasto leggero e croccante che ha avvolto il pesce, fornendo una texture croccante all'esterno. La tempura è apparsa delicata e non ha mascherato il sapore naturale del pesce, il fiordilatte con i suoi sentori lattiginosi si è armonizzato bene con le carni saporite della triglia, stessa cosa per il burro degli spinaci che ha apportato anche una nota di sapore leggermente nocciolato e cremoso. La bottarga ha aggiunto un sapore intenso e salato al piatto, con una nota di mare che ha arricchito il profilo di gusto complessivo, il gel all'arancia ha offerto freschezza agrumata e un tocco di dolcezza che ha bilanciato il sapore salato della bottarga.
Tra i primi, attraente la Linguinetta del Pastificio Vicidomini trafilata al bronzo con scampo, zafferano e arancia candita. Lo zafferano cilentano che cresce lungo le rive del fiume Sammaro, dell’Azienda agricola Monaco, ha aggiunto un caratteristico sapore terroso e floreale al piatto. Questa spezia preziosa ha contribuito anche a donare un colore giallo dorato brillante alla salsa, a cui è stata incorporata anche la bisque dei crostacei, risultata visivamente invitante. Il mussillo di baccalà dell’azienda Rafols, ritenuta tra le migliori al mondo, cotto a bassa temperatura con carota in tre consistenze e liquirizia, ha unito sapori contrastanti e texture diverse. La variazione nelle consistenze delle carote ha aggiunto interesse e contrasto alla morbidezza del baccalà, mentre la polvere di liquirizia ha completato il piatto con un tocco insolito ma complementare. Un piatto che ha celebrato la cucina gourmet con ingredienti e sapori intriganti e sofisticati.
Il “Limonissimo”, dessert a base di panettoncino bagnato al limoncello, meringa, lemon curd, crema al timo e chantilly al limoncello, polvere di limone e cialda di lingua di gatto, ha unito note fresche e aromatiche date dal timo, che, con il suo profumo terroso e leggermente piccante, si è mescolato con la dolcezza della chantilly, creando un contrasto interessante con il limoncello e il limone. La lemon curd ha donato un'intensa nota di limone fresco e acidulo al dolce, con il suo caratteristico retrogusto di agrume che ha rinfrescato il palato.
Casamare, in conclusione, è un ristorante menzionato dalla Guida Michelin 2024, che eccelle nella rivisitazione gourmet dei piatti tradizionali italiani di pesce. La qualità delle portate, l'eleganza della location con design minimal ispirato al mare e la professionalità del servizio hanno reso la visita un'esperienza culinaria indimenticabile. Consigliato per chi desidera riscoprire i sapori tradizionali in chiave moderna e ricercata, in un contesto di grande finezza e sostenibilità.
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Redazione Irno24 20/11/2024
Salerno, seconda edizione di "Panettone d'Artista" alla Stazione Marittima
Dal 30 novembre al 1° dicembre 2024, la Stazione Marittima di Salerno ospita la seconda edizione di “Panettone d’artista”. Organizzato da Erre Erre Eventi, l'evento rappresenta una festosa celebrazione della tradizione del panettone artigianale e delle eccellenze dolciarie italiane, con particolare riferimento al Sud, terra di grandi maestri che hanno fatto la storia del panettone artigianale moderno.
Previste masterclass dedicate all’abbinamento di panettone e vino, così come a esperienze di abbinamento con Birra & Sigaro Toscano e vermouth. Durante la manifestazione si terrà anche la cerimonia di premiazione “Awards Maestri Pasticcieri”, con un focus speciale sulle Maestre di pasticceria che hanno dato un contributo significativo al mondo del dolce.
L'ingresso offre diverse opzioni di biglietti, che includono percorsi degustativi con assaggi di panettone e abbinamenti con vini selezionati, oltre a vantaggi esclusivi, come sconti sull’acquisto del panettone. Su postoriservato.it è attiva la prevendita.
Annamaria Parlato 04/05/2024
Montoro, stupisce ed emoziona la cucina di Chef Cerrato a Casa Federici
Alla frazione Pandola di Montoro, sorge il ristorante Casa Federici, prendendo il nome proprio dall’omonima strada in cui sono ravvisabili le tracce di un antico passato di grande fascino. Casa Federici infatti è un’architettura settecentesca, un tipo di residenza rurale che era comune nel XVIII secolo, specialmente in Europa. Queste case, spesso chiamate anche "case di campagna" o "case padronali", erano generalmente abitate dai contadini o dai proprietari terrieri stessi.
Caratterizzate da uno stile architettonico semplice, ma funzionale, le case coloniali del Settecento solitamente presentavano pareti spesse in pietra o mattoni e una disposizione degli spazi interni concepita per adattarsi alle esigenze agricole della famiglia che vi risiedeva. All'interno, potevano includere una cucina con un grande focolare per preparare cibi e riscaldare la casa, una sala da pranzo, camere da letto e, in alcuni casi, anche una cantina per conservare le provviste. A Casa Federici sono identificabili ancora il pozzo funzionante, la corte esterna e gli archi, testimonianze significative e intrise di storia, messe in evidenza grazie al lavoro di restyling attento alla conservazione del plesso, secondo criteri di valorizzazione e funzionalità.
Lo chef Francesco Cerrato e sua moglie Marzia Longo hanno avuto la lungimiranza di far risplendere un bene architettonico, promuovendo il patrimonio locale e rendendolo fruibile grazie all’interessante cucina d’autore, che ha reso questo posto fiore all’occhiello per gli amanti della buona tavola. Le due spaziose sale interne sono accoglienti, caratterizzate da un design minimalista, basato sull'idea di riduzione agli elementi essenziali, eliminando ogni elemento superfluo. I colori sono neutri, come il bianco, il grigio, il nero e il beige. Questi colori contribuiscono a creare un'atmosfera calma e rilassante, senza distrazioni visive. Tutto è arricchito dall'uso di materiali di alta qualità, come il legno, il metallo e il vetro. Questi materiali conferiscono un senso di eleganza e raffinatezza agli spazi.
La cucina è molto creativa e innovativa, combina elementi provenienti da diverse culture e tradizioni gastronomiche. C’è molta territorialità, a partire dalla celebrazione della materia prima, che si mescola a tendenze più internazionali, sostenibilità e stagionalità. I menù dello chef Cerrato non stancano, sono giocosi, inusuali, divertenti per gli accostamenti inaspettati, le consistenze che non sono mai quel che sembrano, gli impiattamenti visivamente stimolanti. Inoltre, le sperimentazioni di Cerrato si spingono oltre lo scibile, lui cerca di raggiungere il famoso “quinto gusto o umami” attraverso salse, tostature, caramellizzazioni, brodi, riduzioni, affumicature. I suoi piatti conservano anche diverse note amare di fondo, che poi vengono stemperate e mitigate da ingredienti più dolci o acidi, particolari cotture o preparazioni.
Lo chef ha spiegato: “Circa quattro anni fa ho aperto il ristorante, in piena pandemia. Ho trascorso la mia gioventù sempre in cucina e ho avuto maestri eccezionali come Matteo Sangiovanni e Rocco Iannone. Dopo un po' di esperienze in rinomate cucine del territorio, ho deciso di coronare il mio sogno assieme a mia moglie, che è manager di sala. La clientela risponde bene e questo mi riempie di soddisfazione, perché a volte penso di spingermi oltre e di non essere in grado di far comprendere la mia cucina. Le persone sono curiose e sono disposte a provare le novità che le ultime tendenze propongono. Io, in ogni caso, cerco di essere spontaneo, perché questi sono i piatti che in primis piacciono a me e che desidero offrire ai clienti. Sono già diversi anni che siamo anche menzionati dalla Guida Michelin, il più importante podio di settore. Ho voglia di approfondire ulteriormente la materia prima e stupire con la massima semplicità chi vorrà assaggiare i miei piatti”.
Cerrato è abile sulle micro-lavorazioni, un cesellatore nato, e lo si percepisce dalla cura maniacale che pone sui finger di benvenuto e sulla piccola pasticceria. Capolavori di gusto sono il manzo, gambero e sedano rapa, il riso di pasta, carciofi e kefir, la pescatrice e bieta con il suo quinto quarto lavorato come il soffritto alla napoletana e racchiuso in un raviolo sempre di bietola, il predessert “finta oliva” al cioccolato bianco, capperi e limone, il dessert con gelato alla camomilla su crumble di riso, mousse di barbabietola, cremoso all’olio evo, gel di barbabietola e meringa. Quando un pasto coinvolge tutti i sensi, non solo il gusto, lascia un'impressione duratura e memorabile.
Per quanto riguarda il beverage, Marzia Longo ha aggiunto: “In genere si inizia da un tè kombucha, in cui vengono messe a fermentare le erbe e spezie tipiche del liquore concerto, originario di Tramonti. Serve a predisporre il palato alla degustazione. Dopodiché a questi piatti si può abbinare un rosato dalla buona struttura, fermo, secco, come il 7cento20 Aleatico IGP Puglia della Cantina Gentile, che al naso rivela note romantiche di rosa, fragola e melagrana, mescolate con un tocco di pepe rosa e mandorla. Il finale è fresco e leggermente speziato. Sul dessert invece consiglio una grappa DellaValle affinata in botti da Picolit, tipico vitigno autoctono a bacca bianca del Friuli, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. All’olfatto sviluppa profumi molto delicati di frutta candita, con una spiccata prevalenza, al gusto, di sentori di arancio”.
E chi mai oserebbe inserire in un menù un dessert realizzato con patate, cipolla di Montoro, gel all’Amaro Montoro a base di carciofi e baccalà? Chef Cerrato, senza ombra di dubbio, sempre e solo lui, talento naturale, enfant prodige della cucina campana. La cucina è emozione, sentimento e godimento, Casa Federici ne è l’apoteosi.
Annamaria Parlato 27/09/2025
Aria di settembre, i fichi "dottati" sono una prelibatezza del salernitano
Il fico giunse nel territorio cilentano nel IV secolo a.C. con i coloni greci, che fondarono diverse polis in quest’area, diffondendosi poi in tutto il “salernitano”. Questo frutto era considerato in epoca magno-greca il cibo eletto per filosofi e oratori, e i Romani ne decantavano le qualità e la bontà, tanto che, secondo la leggenda, Romolo e Remo furono allattati dalla lupa proprio ai piedi di un fico selvatico, il Ficus Ruminalis, albero sacro della Roma arcaica. Nelle colonie magnogreche il fico era ritenuto frutto “lucido”, nutriente ma non pesante, ideale per sostenere la mente. Nel corso dei secoli divenne simbolo di fertilità e abbondanza, tanto da comparire nei banchetti e nei rituali della terra.
Nel XVI secolo il medico salernitano Matteo Silvatico, autore dell’Opus Pandectarum Medicinae, ne descriveva le virtù terapeutiche, mentre nel Settecento i cronisti del Regno di Napoli annotavano che nel Cilento la povera gente campava più di fichi che di pane, definiti per l’appunto “pane dei poveri” per l’elevato contenuto calorico. Oggi è stimato come ingrediente fondamentale nella dieta mediterranea e grazie alle sue proprietà terapeutiche, viene usato in erboristeria e nei preparati dietetici.
Geograficamente, il fico bianco è coltivato nella parte meridionale della provincia di Salerno, in un lembo di terra bagnato dal Mar Tirreno, tra la foce del Sele e quella del Bussento nel Golfo di Policastro. La fertilità della terra, il clima mite, grazie alla presenza del mare, e la sapienza nella coltivazione rendono il Cilento il luogo adatto per la produzione di fichi bianchi. La bontà di questi frutti ha fatto sì che nel 2006 venisse riconosciuta, a questo prodotto, la denominazione DOP. Le tecniche di coltivazione delle piccole aziende locali sono a basso impatto ambientale, biologiche e senza l’utilizzo di sostanze dannose per la salute. Le aziende locali, in genere a conduzione familiare, si occupano in alcuni casi anche della lavorazione e trasformazione dei fichi.
Il fico bianco, come lo si mangia oggi, è una varietà pregiata che si è andata diffondendo su Salerno e provincia nel corso dei secoli. E’ un ecotipo, derivante dalla cultivar madre “fico della goccia” conosciuto come dottato; si presenta dal colore uniforme giallo-verde abbastanza chiaro, tendente al bianco una volta privo della buccia, con una polpa all’interno dolcissima dal colore giallo ambrato tendente al rossiccio, molto zuccherina. La raccolta, come già nell’antichità, avviene alle primissime ore del mattino, recidendo il peduncolo, cercando di non intaccare la buccia. La prima raccolta si ha tra agosto e settembre con i cosiddetti “settembrini”, mentre quella tardiva in autunno.
In estate l’ideale è degustarli freschi, accompagnati da pane caldo e salumi, come pancetta o prosciutto crudo di ottima qualità. D’inverno lo si trova essiccato, soprattutto nel periodo natalizio, con la sua farcitura, che può essere generalmente a base di mandorle e alloro. I frutti che andranno essiccati hanno la denominazione tipica di “moscioni”, in quanto raccolti dalla pianta in fase avanzata di maturazione. L’essiccazione è un procedimento che prevede diverse fasi: i fichi, raccolti senza esser privati della buccia, vengono fatti asciugare al sole per circa 4 giorni, poi si distendono su delle stuoie di canna o ginestra, sono quotidianamente rigirati fino a completa essiccazione ed infine cotti al forno a legna.
Un’altra specialità salernitana è il fico bianco essiccato ricoperto di cioccolato fondente, ripieno di noci, scorze di arancia, mandarino o limone, nocciole o semi di finocchietto. Si servono in genere infilzati su due stecche di legno parallele, somiglianti a degli spiedini. Spesso si vendono anche sfusi, messi a casaccio nelle ceste intrecciate. Molti sono i prodotti dolciari che si possono realizzare con questi fichi: la conserva di fichi bagnati nel rum, torte, gelati, marmellate, sciroppi e il famoso capicollo di pasta di fichi.
Ancora più tipiche sono le “crocette di fichi”, quattro frutti incrociati e ripieni di frutta secca, legati con foglie di alloro e passati al forno, simbolo insieme sacro e gastronomico. In passato i fichi secchi venivano anche messi a bagno nel vino rosso o nel latte caldo per la colazione invernale, fonte di energia nelle giornate fredde. Con l’emigrazione di fine Ottocento, i fichi arrivarono persino oltreoceano, portati in nave come provviste dai contadini diretti in America. Oggi il fico bianco DOP è simbolo di un territorio, capace di racchiudere storia, cultura e sapienza agricola in un frutto che resiste al tempo.