"Tanti cuori 1 capanna" al Tempio di Pomona
Centinaia di presepi da tutto il mondo per la XIV Mostra Saveriana
Redazione Irno24 10/12/2019 0
Fino al 22 Dicembre 2019, presso il Tempio di Pomona, nel cuore della città di Salerno, sarà possibile ammirare le opere della XIV Mostra Interculturale Saveriana “Tanti cuori 1 capanna - Dalla tradizione cristiana, un segno per l’educazione interculturale e interreligiosa”. La Mostra, allestita dai Missionari Saveriani di Salerno, dall’Associazione Laici Saveriani ad gentes onlus, dall’Ufficio Diocesano Migrantes e dal Centro Missionario della Diocesi, ospita centinaia di presepi provenienti da tutto il mondo con le loro specifiche caratteristiche. E' stata inaugurata il 7 Dicembre dall’Arcivescovo, Mons. Andrea Bellandi.
Potrebbero interessarti anche...
Redazione Irno24 13/06/2025
Incontri culturali in Valle dell'Irno: Tognazzi a Pellezzano, Buffa a Fisciano
Secondo appuntamento con "Racconti d’estate". Domenica 15 giugno, sarà il momento di Gianmarco Tognazzi, attore tra i più raffinati del panorama italiano, ospite della quinta edizione del progetto culturale ideato da dLiveMedia e promosso dal Comune di Pellezzano in sinergia con Scabec e la Provincia di Salerno.
Ironico, elegante e mai banale, Tognazzi ha fatto dell’intelligenza interpretativa il suo tratto distintivo. Il suo modo di stare in scena è una miscela di misura e profondità, sempre pronto a sorprendere con una vena autoironica che lo rende unico nel panorama italiano. È un artista che non rincorre le luci della ribalta, ma se le prende quando serve, con stile e consapevolezza. Appuntamento ai Giardini pubblici di Piazza Municipio, a Pellezzano, dalle 18:15.
Lunedì 16, invece, a Fisciano una serata imperdibile per gli amanti della cultura, dello sport e del grande racconto. Dalle 18:00, la Sala Consiliare del Comune ospiterà Federico Buffa, noto giornalista, storyteller e volto apprezzatissimo di Sky Sport, in un appuntamento speciale dal titolo "Serata d’onore". L’incontro, fortemente voluto e promosso da dLiveMedia e Banca Monte Pruno, realizzato con il patrocinio del Comune di Fisciano, rappresenta un’occasione unica per ascoltare dal vivo uno dei narratori più raffinati del panorama italiano, capace di trasformare la cronaca sportiva in un viaggio emozionale, tra storie di uomini, epoche e culture.
Federica Garofalo 24/12/2020
La tradizione del Natale a Salerno fra leccornie, "cunti" e rituali
Molti pensano che il Natale vissuto a Salerno non sia altro che quello vissuto a Napoli “in scala ridotta”: in realtà delle differenze ci sono, quello salernitano è un Natale forse più “ancestrale” e “tenebroso”. Certo, anche a Salerno tradizionalmente scendono gli zampognari per la Novena di Natale, i botti fanno parte del paesaggio sonoro dell’ultimo scorcio di dicembre, e nelle pasticcerie (o “spezierie manuali”, come venivano chiamate a fine Ottocento) campeggiano susamielli, roccocò, raffiuoli, mostaccioli, divino amore, paste reali e cassate della tradizione napoletana.
I dolci casalinghi natalizi tipicamente salernitani, tuttavia, sono leggermente più semplici e rustici. Anzitutto le zeppole, ciambelle fritte e guarnite di zucchero o miele, addirittura un’antica credenza vuole che l’esplosione di una zeppola troppo gonfia porti male, e per scongiurare il pericolo si debba sputare nel fuoco e recitare la scaramanzia: “Puzzate jettà ‘o sango!” [“che possiate buttare il sangue”]; poi ci sono i cazuncielli, sorta di panzerotti di pasta dolce ripieni di cacao e castagne e poi fritti e bagnati di miele; e gli immancabili struffoli, forse di origine longobarda data l’origine germanica della parola, palline di pasta fritte e bagnate nel miele, tra l’altro ne esiste anche una versione salata condita con lardo e aglio.
La cena della vigilia di Natale (che comincia circa alle 19) è, come a Napoli, a base di pesce, venduto prima a via Porta di Mare, la cui piazza era chiamata appunto “Pietra del Pesce”, poi a Piazza Flavio Gioia. Il primo piatto sono gli immancabili spaghetti con le vongole (“lupini” prevalentemente) o, in mancanza di queste, con la tipica colatura di alici della Costiera Amalfitana; segue il capitone fritto, la frittura mista di pesce e il baccalà fritto o all’insalata; d’obbligo per contorno l’insalata “di rinforzo” (cavolfiore e sottaceti con olive, capperi e acciughe) e i broccoli di Natale; per dessert, insieme ai dolci sopra nominati, frutta secca a volontà.
Dopo cena, si aspettava la mezzanotte giocando a tombola o a “sette e mezzo”, mentre i bambini ascoltavano i cunti che, dalla bocca della nonna o dell’anziana zia, raccontavano loro storie di spiriti, streghe, diavoli e munacielli; al momento della nascita del Cristo, saranno proprio loro a portare in processione il Bambinello nel presepe al canto di “Tu scendi dalle Stelle”. Una tradizione tipicamente salernitana vuole che le donne compiano un “rituale di purificazione” girando per le stanze della casa con un braciere pieno d’incenso recitando formule propiziatorie.
Eccone una:
Uocchie, maluocchie,
frutticielle all'uocchie;
schiatta 'a mmiria
e ccrepa lu maluocchio.
Maluocchio, maluocchio,
chi tene mmiria pozza schiattare.
Chesta è 'accetta
ca ogne mmale annetta,
chesta è 'a ronga
ca onne mmale stronga.
Uocchio, maluocchio,
ddoje uocchie afferrano,
e ttre uocchie levano;
lu Patre, lu Figlio e lu Spiritussanto!
Fremmate, uocchio,
nu gghì cchiù 'nnanze!
Attenzione però ai bambini che nascono in questa notte: potrebbero diventare lupi mannari!
Per saperne di più: Francesco Maria Morese, L’Eredità degli Antenati, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 2019.
Annamaria Parlato 31/07/2021
Storia e collezioni del Museo Diocesano San Matteo di Salerno
Fra il ‘500 e il ‘600 appaiono progressivamente nuove tipologie di musei, con intenti prevalentemente pedagogici e didattici; esse sono ampiamente rappresentate in ambito ecclesiastico, insieme ai musei scientifici, di cui sono dotati seminari, collegi e altri istituti di formazione legati soprattutto alla Compagnia di Gesù. Subito dopo, sorgono, i Musei delle cattedrali e i Musei dell’opera, con lo scopo di custodire ed esibire opere d’arte e oggetti culturali, generalmente non più in uso, provenienti dalle cattedrali stesse o dalle loro sacrestie.
Alla fine dell’800 e ai primi del ‘900 fanno infine la loro comparsa i Musei Diocesani, analoghi ai precedenti, ma con materiali provenienti anche da altre chiese della città e della diocesi, concentrati in un’unica sede, per salvarli dall’incuria e dalla dispersione. Le prescrizioni della Santa Sede del XX sec. in materia di musei sono indirizzate ai vescovi italiani, ma le stesse si possono ritenere valide per la Chiesa universale. La lettera circolare della Segreteria di Stato del 13 aprile 1923 suggerisce di fondare e organizzare un museo diocesano nell’episcopio o presso la cattedrale.
Molto importante è anche la lettera inviata dal cardinale Pietro Gasparri il 1° settembre 1924, la quale, nel notificare ai vescovi italiani la costituzione della Pontificia Commissione centrale per l’arte sacra in Italia, dispone anche la formazione in ogni diocesi di Commissioni diocesane per l’arte sacra con il compito di formare e ordinare i musei diocesani. È inoltre rilevante la lettera circolare della Congregazione per il clero dell’11 aprile 1971, che dispone la conservazione in un museo diocesano o interdiocesano di quelle opere d’arte e tesori non più utilizzati a seguito della riforma liturgica.
A capo di un museo diocesano di solito vi è sempre un Vescovo Diocesano, il cui compito è quello di coordinare, disciplinare e promuovere quanto attiene ai beni culturali ecclesiastici; per questo si avvale sia della collaborazione della Commissione diocesana per l’arte sacra e i beni culturali sia di un apposito Ufficio presso la curia diocesana. Egli inoltre, presenta ai soprintendenti le richieste di intervento di restauro, di conservazione o autorizzazione, concernenti beni culturali di proprietà di enti soggetti alla sua giurisdizione. Le richieste di intervento riguardanti beni librari vengono presentate tramite il vescovo diocesano, all’ufficio centrale competente del ministero per i beni culturali e ambientali.
La storia del Museo Diocesano “S. Matteo” in Salerno può trovare la sua sintesi nelle origini dell’ex Seminario Arcivescovile, insieme ad Archivio e Biblioteca. L’edificio che si prospetta con la facciata principale sul Largo Plebiscito con un’architettura sobria, classica, ebbe la sua origine nel secolo XVI. Fu l’arcivescovo Gaspare Cervantes (1564-68) a stabilire la costruzione del Seminario, in attuazione del Deliberato del Concilio di Trento. Sorse a settentrione del Duomo, a ridosso delle mura della città, inglobandone parte di esse.
Nel 1731, l’arcivescovo Fabrizio De Capua, per renderlo più idoneo allo scopo, ne dispose la demolizione e la ricostruzione. Nel secolo XIX, l’arcivescovo Michelangelo Luppoli fece sopraelevare un altro piano su parte del secondo e fece rifare la facciata principale. L’8 ottobre 1849, papa Pio IX, insieme al re di Napoli Ferdinando II, visitò Salerno e dal balcone principale del Seminario benedisse il popolo salernitano: l’avvenimento è ricordato nella lapide posta sulla porta d’ingresso della sala d’accesso al balcone.
La legge di esproprio per pubblica utilità del 22/12/1861 restrinse il Seminario a pochi locali; ancora requisito negli anni della prima guerra mondiale e utilizzato come ospedale militare, fu riaperto nel 1919 ed è stato attivo fino al 1980. Dopo il terremoto del 1980, nel 1982 le opere furono chiuse al pubblico ma messe a disposizione degli studiosi e fu creata la prima sede della neonata Soprintendenza ai Beni A.A.A.S. di Salerno e Avellino. Il progetto sulla definitiva sistemazione dell’ex Seminario ha previsto di destinare l’intero primo piano al Museo diocesano, man mano che sono stati restaurati tutti i locali. Dopodichè sono state allestite tre sale in cui è esposta la sezione medievale della raccolta diocesana.
Il museo, in definitiva, fu fondato da Mons. Arturo Capone ed ebbe la prima sede presso il Duomo. Dal 1990 è stato trasferito in Piazza Plebiscito dove ha trovato la sua posizione definitiva. I lavori sulla sistemazione dell’ex Seminario hanno poi stabilito di destinare l’intero piano terra, lungo i portici, alla collocazione del “lapidarium” che in passato era variamente sistemato nell’atrio d’ingresso del vecchio museo; gli ampi saloni interni dell’ex refettorio e delle cucine sono state adibite ed opportunamente attrezzate a laboratori di restauro curati dalla Soprintendenza; la cappella ha ospitato un deposito visitabile di opere d’arte restaurate; le rimanenti sale al piano terra sono state utilizzate per laboratori fotografici, di analisi e studi.
L’ex salone di ricevimento è stato usato come sala per conferenze, mentre i locali sulla sinistra dell’ingresso sono stati destinati alla custodia. I locali disposti sulla verticale dello scalone principale sono diventati uffici e direzione. Il primo piano invece ha ospitato tre sale espositive con manufatti che abbracciano un intervallo compreso tra il sec. IX e il sec. XX. Attualmente vi sono già due sale che espongono la sezione di manufatti medievali e gotico-rinascimentali.
Tra le opere di maggior rilievo vi sono, oltre una ricca raccolta numismatica, la serie degli avori con le storie del Vecchio e del Nuovo Testamento eseguiti tra la fine dell’XI e la prima metà del XII sec., e le miniature appartenenti originariamente al rotolo membranaceo dell’Extultet della metà del XIII sec. La pinacoteca è composta da quasi 100 dipinti, che rappresentano una notevole sezione della cultura figurativa dell’Italia Meridionale dal XIII al XIX sec.
A partire dall’età angioina, Salerno si era inserita nell’orbita politica, culturale e artistica della corte napoletana; tra i dipinti su tavola provenienti da cultura giottesca o dall’ascendenza senese e martiniana si annoverano tra i più importanti: la Crocifissione giottesca di Roberto D’Oderisio del XIV sec., la Pietà di fattura avignonese, l’Incoronazione della Vergine di Eboli e una piccola tavola con S. Michele Arcangelo di Cristoforo Scacco.
L’adesione alle conquiste rinascimentali della pittura salernitana si evidenzia nelle intelaiature prospettiche di Vincenzo de Rogata, mentre la presenza in alcune tavole di modi umbro-marchigiani introduce alla lettura di Andrea Sabatini da Salerno, il più celebre interprete della lezione raffaellesca dell’Italia Meridionale, di cui si possono ammirare in particolare la Pietà e la Madonna tra i Santi Aniello e Leonardo. Notevole è la presenza della pittura naturalistica come la Giuditta di attribuzione caravaggesca e le possibili attribuzioni nell’ambito della pittura napoletana come il S. Pietro piangente, S. Girolamo penitente, S. Brunone e la Maddalena.
Le opere di cultura barocca e neoclassica sono narrazioni colte, caratterizzate da un’accentuata propensione pittoricistica che prelude, alla rivincita delle istanze classiciste della prima metà del sec. XVIII, con l’interpretazione locale della fortunatissima formula solimenesca. Molte opere del Museo rientrano ampiamente nella storiografia artistica corrente, ma vi sono anche opere poco conosciute che attendono una precisa definizione del loro valore artistico. La scultura è presente con pochi pezzi ma di notevole valore come S. Giuseppe, in legno dorato, ed il S. Martino.
Nei luminosi corridoi di accesso alle sale è stata collocata parte della collezione di monete della Magna Grecia, della Repubblica Romana, dell’Impero Romano e della Zecca di Salerno. Tra le migliaia di monete c’è da segnalare il famoso Follaro di Gisulfo II con la raffigurazione della Opulenta Salernum.
I musei diocesani, con tutte le manifestazioni che vi si connettono, sono intimamente legati al vissuto ecclesiale, poiché documentano visibilmente il percorso fatto lungo i secoli dalla Chiesa nel culto, nella catechesi, nella cultura e nella carità.
Un museo diocesano è dunque il luogo che documenta l’evolversi della vita culturale e religiosa, oltreché il genio dell’uomo, al fine di garantire il presente. Di conseguenza non può essere inteso in senso assoluto, cioè sciolto dall’insieme delle attività pastorali, ma va pensato in relazione con la totalità della vita ecclesiale e in riferimento al patrimonio storico-artistico di ogni nazione e cultura. Deve quindi necessariamente inserirsi nell’ambito delle attività pastorali, con il compito di riflettere la vita ecclesiale tramite un approccio complessivo al patrimonio storico-artistico.