178 articoli nella categoria Enogastronomia

Annamaria Parlato 16/04/2025 0

Cinque pastiere da non perdere tra Salerno e la Valle dell'Irno

Profuma di fiori d’arancio, risveglia ricordi d’infanzia, unisce riti sacri e gesti antichi: la pastiera è il dolce simbolo della Pasqua, ma anche molto di più. È racconto, è identità, è emozione al primo morso. Nasce a Napoli, tra leggende pagane e simbologie cristiane, ma trova nella provincia di Salerno interpretazioni straordinarie. Dalla versione con il riso, tipica della tradizione locale, alle varianti contemporanee che sorprendono per struttura e tecnica.

La ricetta classica prevede un guscio di frolla fragrante, spesso preparata con sugna per un effetto più ricco e rustico, che accoglie un ripieno cremoso a base di grano cotto nel latte, ricotta, zucchero, uova, canditi d’arancia e acqua di fiori d’arancio. In alcune zone del salernitano, si sostituisce il grano con il riso o si aggiunge crema pasticcera alla ricotta, dando vita a una variante altrettanto storica, più compatta ma dal gusto pieno.

Il dolce, una volta cotto lentamente, va lasciato riposare: perché il miracolo avviene col tempo, quando gli aromi si fondono e diventano una cosa sola. Il procedimento, tramandato da generazioni, è un rituale preciso. Il grano (o il riso) viene cotto lentamente nel latte con scorza di limone, fino a diventare una crema densa. A parte, si lavora la ricotta – setacciata con pazienza – insieme allo zucchero, alle uova intere, ai tuorli, all’acqua di fiori d’arancio e ai canditi.

Una volta amalgamato tutto, si unisce il composto al grano cotto, ormai tiepido. Intanto, si stende la frolla, si fodera lo stampo e si versa il ripieno, livellandolo con delicatezza. Le classiche strisce a losanghe, rigorosamente sette, decorano la superficie. La pastiera cuoce in forno a temperatura moderata, anche oltre un’ora, fino a diventare dorata e profumata. Poi il segreto: il riposo di almeno 24 ore, coperta da un canovaccio, per raggiungere l’armonia perfetta tra profumo, sapore e consistenza.

Secondo una delle leggende più poetiche, la pastiera sarebbe nata dall’amore della sirena Partenope per il Golfo di Napoli. Ogni primavera, la sirena emergeva dalle acque per deliziare gli uomini con il suo canto. Per ringraziarla, gli abitanti le offrirono 7 doni simbolici: grano, zucchero, ricotta, uova, fiori d’arancio, spezie e latte. Partenope li portò agli Dei, che li mescolarono e crearono il dolce perfetto: la pastiera, simbolo di unione tra mare e terra, umano e divino.

Un’altra versione, più terrena ma altrettanto affascinante, racconta che la pastiera sia nata nel convento di San Gregorio Armeno, nel cuore di Napoli. Le suore, abili nella preparazione dei dolci, l’avrebbero ideata mescolando ingredienti poveri e preghiere, per celebrare la Resurrezione e la primavera. Si dice che la badessa, assaggiandola per la prima volta, sorrise dopo anni di severità. Da allora, in Campania si ripete spesso: “È così buona che può far sorridere anche una monaca”. Alcune leggende più oscure raccontano invece di riti propiziatori legati ai culti di Cerere e Iside, con il grano cotto come offerta di rinascita, simbolo di fertilità e ciclo della vita. Tracce di paganesimo che sopravvivono ancora oggi nel profumo arcaico di questo dolce rituale.

Ecco cinque interpretazioni imperdibili tra Salerno e Valle dell’Irno. Cinque pastiere, cinque visioni, un solo cuore: il legame profondo tra territorio, sapienza artigiana e memoria affettiva. A Salerno e dintorni, la pastiera è un rito, un racconto, una carezza che attraversa le generazioni.

Estasi Pasticceria – Salerno

La pastiera di Ivano e Irene ha una frolla burrosa, dal morso friabile e pieno. Il ripieno, profondo e compatto, esprime tutta l’identità della ricotta di pecora, senza eccessi zuccherini. I canditi d’arancia, di prima qualità, rilasciano una dolcezza fresca e naturale, senza invadenza. Al taglio, la fetta è sontuosa, profumata, con un equilibrio sorprendente tra rusticità e precisione. Il formato oversize, quindi rettangolare, 60×40 cm per 12-13 kg, ne fa una pastiera conviviale, da festa popolare, ma l’assaggio racconta rigore e maestria.

Pasticceria Bassano – Salerno

La versione con riso è più compatta ma densa di emozioni. Il colore dorato della frolla e l’impasto rivelano una pastiera salernitana autentica. Il profumo è intenso di agrumi e riso impalpabile. La pasta frolla alla sugna si scioglie con una nota antica e avvolgente, mentre il ripieno di riso ha una cremosità elegante e una dolcezza ben dosata. Il gusto è pieno, rassicurante, come una domenica mattina a casa della nonna con il caffè appena versato in tazzina.

Pasticceria Romolo – Salerno

Anche qui si lavora con il riso, ma in una versione luminosa, profumata di limone fresco e con ricotta di pecora. L’impasto è setoso, con una nota agrumata che illumina ogni boccone. Il profumo arriva subito al naso, con sentori floreali e appena speziati. La frolla, sottile e ben cotta, fa da cornice leggera a un interno raffinato, dal gusto pulito e primaverile.

Pasticceria Aliberti – Montoro (AV)

Due anime, entrambe convincenti. La classica: frolla di burro e sugna, ricotta vaccina e grano ben amalgamati, profumati con acqua di fiori d’arancio e punteggiati da canditi morbidi e succosi, selezionati con attenzione. La contemporanea pensata da Marco: base croccante alle mandorle e grano tostato, crema leggera agli agrumi e cannella, gelè di arancia sanguinella e cremoso alla vaniglia. Un gioco raffinato di consistenze e temperature.

Gran Caffè Romano – Solofra (AV)

Raffaele e Gianfranco puntano sulla ricotta mista di bufala e pecora per una farcia intensa, saporita ma ben calibrata. La frolla mista a burro e sugna è scioglievole e croccante al tempo stesso. Il profumo ricco di vaniglia e scorza d’arancia avvolge, i canditi artigianali si fondono perfettamente all’impasto. La texture è morbida ma sostenuta, la dolcezza misurata, il finale lungo e rotondo.

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Annamaria Parlato 24/03/2025 0

"Guardo il forno e m'innamoro", la pizza secondo Aniello Mansi a Salerno

"Quann guard u' furn m'annammor" esclama Aniello Mansi, figlio d'arte da tre generazioni, sintetizzando in poche parole la passione e la dedizione che lo accompagnano ogni giorno nel suo lavoro. A Salerno, nel quartiere Pastena, a pochi metri dall'uscita della tangenziale, in via De Crescenzo, la Pizzeria di Aniello Mansi rappresenta un’eccellenza del settore, unendo maestria artigianale e ricerca continua per offrire una pizza che rispetta la tradizione ma si apre all’innovazione.

Uno degli aspetti più distintivi è l’attenzione per il senza glutine, una vera missione affidata a Rosa Anna Citro, moglie di Aniello Mansi, che ha creato un’intera area di lavoro separata, con forno dedicato, per garantire la totale sicurezza ai clienti celiaci. Rosa Anna ha sviluppato personalmente un mix di farine gluten free, bilanciando amido di mais, farina di riso, grano saraceno e fibra vegetale, per ottenere un impasto che riproducesse fedelmente il gusto e la consistenza della pizza tradizionale.

"Non volevamo semplicemente proporre una pizza senza glutine, ma una che fosse identica a quella tradizionale per gusto e consistenza", spiega Citro, sottolineando il lungo lavoro di ricerca dietro ogni impasto. Anche Aniello Mansi conferma questa visione: "Per noi la pizza è un’esperienza sensoriale e deve esserlo per tutti, senza distinzione. Il nostro obiettivo è abbattere le barriere alimentari, senza perdere di vista la qualità".

Tra le pizze più iconiche, un posto speciale lo occupa l'Ottava Meraviglia, alla quale Rosa Anna Citro è particolarmente legata, poiché le ha permesso di salire sul podio di un noto campionato mondiale. Un riconoscimento che testimonia l’eccellenza del lavoro svolto e la qualità straordinaria del prodotto senza glutine proposto dalla pizzeria. Oltre alla linea senza glutine, la pizzeria sperimenta impasti speciali come quello semintegrale, più ricco di fibre e aromatico, e quello a base di Kamut, leggero e digeribile con note dolci e tostate. L’impasto della pizza, finalmente con cornicione medio-basso, ha un’ottima idratazione ed è talmente leggero che se ne potrebbero mangiare due senza difficoltà. Il risultato è una pizza che offre al cliente un'alternativa di gusto senza sacrificare la tradizione.

Tra le proposte più apprezzate spiccano la Scarpariello, realizzata con sugo di pomodoro allo Scarpariello, mozzarella di bufala campana, grana, basilico e olio EVO; la pizza di Antonio Mansi con fior di latte, datterino giallo, guanciale croccante, pesto di pistacchio siciliano, pecorino romano e olio EVO; la vegana con mozzarella vegetale, rucola, pomodorini, melanzane arrostite, noci e olio EVO, pensata per chi segue un’alimentazione plant-based senza rinunciare al gusto; la Tartufata Nera, un’esperienza sensoriale unica grazie alla combinazione di fiordilatte, crema di tartufo, salsiccia, gorgonzola, parmigiano e ciliegine di bufala. L'aroma avvolgente del tartufo si fonde con la cremosità del gorgonzola e la sapidità della salsiccia, mentre le ciliegine di bufala aggiungono una nota fresca e lattiginosa, che bilancia perfettamente il gusto intenso degli altri ingredienti.

Una delle creazioni più sorprendenti della pizzeria è il dolce, che reinventa la pizza in chiave gourmet: la pizza al padellino con impasto al cacao e pistacchi leggermente salati, arricchita da panna semimontata, crema di pistacchio di altissima qualità e granella di pistacchio. "Abbiamo voluto creare qualcosa di unico, un dessert che fosse il naturale proseguimento di un percorso di sapori studiato nei minimi dettagli", racconta Mansi, fiero dell’originalità della proposta.

Non da meno è il tris di crocchè, fritti rigorosamente in olio alto oleico, ricco di antiossidanti, che garantisce leggerezza e croccantezza (il suo punto di fumo a 230°C permette una doratura perfetta), e farciti con mortadella stracciata e pistacchio, o speck e fonduta di provola. "La frittura è un’arte e deve essere trattata con il massimo rispetto", afferma Mansi, evidenziando l’importanza della scelta dell’olio e delle materie prime.

Un ulteriore valore aggiunto è rappresentato dal servizio in sala, dove la professionalità e la competenza di Andrea Capone, chef de rang, fanno la differenza nell’accompagnare il cliente nella scelta del prodotto più adatto all’esperienza che vuole vivere. La sua capacità di raccontare ogni dettaglio del menù e di suggerire gli abbinamenti migliori completa l’offerta della pizzeria, elevandone ulteriormente il livello qualitativo.

A completare il tutto, un'accurata selezione di birre in bottiglia, comprese quelle senza glutine, birre alla spina, vini territoriali, prosecco, aperol spritz e una gamma di digestivi, perfetti per chiudere piacevolmente l'esperienza gastronomica. La Pizzeria di Aniello Mansi è un laboratorio di innovazione gastronomica, un punto d’incontro tra tradizione e ricerca continua. Ogni pizza racconta una storia di passione, tecnica e attenzione alle esigenze di tutti, confermando che il futuro della pizza passa dalla qualità senza compromessi.

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Annamaria Parlato 18/03/2025 0

Zeppola di San Giuseppe, dove gustare le cinque migliori a Salerno

La zeppola di San Giuseppe affonda le sue radici nella trattatistica gastronomica dei secoli passati, unendo storia, tradizione e devozione. Le sue origini possono essere fatte risalire ai Liberalia, le antiche festività romane celebrate il 17 marzo in onore di Bacco e del suo precettore Sileno. Durante questi festeggiamenti, i sacerdoti del dio, chiamati Liberi Pater, offrivano focacce di farro e frittelle di frumento cotte nello strutto, anticipando l'usanza di consumare dolci fritti in occasione delle celebrazioni di primavera.

Questo rito pagano si è successivamente fuso con la tradizione cristiana legata a San Giuseppe. Il legame tra il santo e le frittelle ha origini antiche: secondo la tradizione popolare, dopo la fuga in Egitto con Maria e Gesù, San Giuseppe per mantenere la famiglia si sarebbe dedicato alla vendita di frittelle per strada. Questa narrazione, sebbene di carattere agiografico, ha alimentato l'usanza di consumare dolci fritti nel giorno della sua festa, il 19 marzo.

Il nesso tra San Giuseppe e la frittura si rafforza nel Medioevo, quando le confraternite e le corporazioni di mestiere diffondono l'usanza di preparare dolci fritti per le celebrazioni religiose. I primi riferimenti alla zeppola si trovano nei trattati gastronomici del XVII e XVIII secolo. Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Pio V, nel suo "Opera dell’arte del cucinare" (1570) descrive la zeppola come una frittella, sostanzialmente a forma di palla e realizzata con una farina ricavata da ceci rossi, prima lessati e poi pestati nel mortaio, insieme a noci, zucchero e cannella, con l’aggiunta di diversi aromi, lievito e vino bianco, probabilmente per renderle più leggere.

Vincenzo Corrado nel suo "Cuoco Galante" (1773) propone una variante con un impasto di farina cotto nel brodo, aromatizzato con cannella e limone. Una volta cotto, l’impasto doveva essere amalgamato con un ‘giallo di uovo e qualche chiara’, creando una consistenza ricca e profumata. Fu poi Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, a codificare nella sua "Cucina teorico-pratica" del 1837 la ricetta della zeppola napoletana, specificando la doppia cottura: dapprima in acqua e farina, poi fritta nello strutto e infine guarnita con giulebbe strettissimo (acqua di rose) e zucchero in cima, senza l’aggiunta di crema pasticcera e amarene, come invece si usa oggi.

Esiste anche una tesi che collega l'origine delle zeppole ai conventi napoletani. Secondo alcuni, la zeppola avrebbe avuto origine nel convento di San Gregorio Armeno, oppure in quello di Santa Patrizia, mentre secondo altre fonti le prime a preparare le zeppole, così come le conosciamo oggi, sarebbero state le monache della Croce di Lucca o quelle dello Splendore. La tradizione dolciaria conventuale è stata infatti fondamentale per la diffusione di numerose specialità tipiche della pasticceria napoletana. La zeppola tradizionale fritta resta ancora oggi l'emblema della festività di San Giuseppe. La ricetta prevede ingredienti semplici, ma richiede una tecnica precisa. Si parte da 250 ml di acqua, 50 g di burro, un pizzico di sale e 150 g di farina: si porta l'acqua a ebollizione con il burro, si aggiunge la farina mescolando vigorosamente fino a ottenere un composto omogeneo. Una volta raffreddato, si incorporano quattro uova, una alla volta, fino a ottenere un impasto liscio. Con l’ausilio di una sac à poche, si formano delle ciambelle su quadrati di carta forno e si friggono in abbondante olio caldo, finché risultano gonfie e dorate. Dopo il raffreddamento si decorano con crema pasticcera e un’amarena sciroppata.

Per chi non ama la frittura, esiste anche una variante al forno: le zeppole vengono cotte a 200°C per circa 25 minuti, risultando più leggere ma altrettanto gustose. Il risultato è un dolce che racchiude secoli di storia e il sapore autentico della tradizione partenopea, unendo in un morso il gusto della devozione e della festa. Per un perfetto abbinamento, si può accompagnare la zeppola con un vino dolce campano come il Moscato di Baselice o il Lacryma Christi del Vesuvio Passito, che con le loro note aromatiche e fruttate esaltano la dolcezza della crema. Chi preferisce un distillato può optare per un bicchiere di limoncello artigianale, che con il suo gusto agrumato bilancia la ricchezza del dolce. In alternativa, per gli amanti della birra, una Belgian Tripel dalle note fruttate e speziate rappresenta un accostamento intrigante e armonioso.

A Salerno, la zeppola di San Giuseppe è protagonista nelle migliori pasticcerie della città. La zeppola fritta tradizionale della Pasticceria Bassano, nota per la sua millefoglie crema e amarena, è un'esperienza da non perdere: fragrante, asciutta e perfettamente dorata, al morso sprigiona una croccantezza delicata che lascia spazio alla morbidezza della crema e alla dolcezza dell’amarena, senza traccia di unto o pesantezza. L’Antica Dolceria Pantaleone, l'inventrice della "scazzetta" nel cuore del centro storico, è il luogo perfetto per gustare la versione al forno, un must per gli amanti della tradizione: al morso si percepisce un guscio leggermente croccante, che cede subito alla sofficità dell’impasto, mentre la crema pasticcera profumata alla vaniglia e l’amarena sciroppata regalano un’armonia di sapori irresistibile.

Per chi cerca un tocco innovativo, la Pasticceria Romolo propone una zeppola alla nocciola di Giffoni, arricchita da nocciole pralinate, caramello e una crema leggera alle nocciole, un equilibrio perfetto tra dolcezza e croccantezza. La Whippy Pasticceria reinterpreta la tradizione con lo zeppolone lievitato, realizzato con un impasto profumato al limone, ricco di amarene e crema alla vaniglia, lasciato maturare per 48 ore per una consistenza incredibilmente soffice e fragrante. Infine, per un’esperienza fuori dal comune, la Due Pasticceria propone la zeppola al gusto Red Velvet, ispirata all’omonima torta americana: al primo assaggio si avverte la sua tipica nota di cacao leggermente acidula, bilanciata da una crema delicata, arricchita da frutti rossi freschi e fragole, per un contrasto goloso e raffinato.

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Annamaria Parlato 26/02/2025 0

"Pizzà Identità Gastronomiche", l'arte incontra il gusto nel cuore di Salerno

Nel cuore della tradizione gastronomica salernitana, un locale aperto nella primavera del 2022 sta conquistando sempre più spazio nel panorama culinario locale: "Pizzà Identità Gastronomiche", vera e propria espressione identitaria che affonda le radici nella cultura popolare e nella storia della città. Gestito da Nicola Monetti, in collaborazione con Vittorio Di Giovanni, "Pizzà Identità Gastronomiche" nasce con l'obiettivo di valorizzare gli ingredienti del territorio e reinterpretare la tradizione in chiave moderna. Il locale si distingue per un'attenzione particolare alla qualità delle materie prime e alla ricerca gastronomica.

Nicola Monetti, CEO e founder del locale, ha maturato questa idea dopo le sue esperienze all'estero. Il periodo del Covid lo ha portato a riflettere sulla necessità di creare un progetto innovativo, capace di rompere gli schemi a Salerno e lasciare un segno nel panorama gastronomico della città. "Volevamo creare un luogo che fosse più di una semplice pizzeria, un punto di incontro tra il cibo e l'arte, tra la tradizione e l'innovazione", racconta Monetti. "Ogni pizza narra una storia e porta con sé un pezzo della nostra identità".

Il maestro pizzaiolo Vittorio Di Giovanni, invece, ha affinato la sua arte nel salernitano, lavorando accanto a validi professionisti del settore. "Studiamo con cura ogni impasto e ogni combinazione di ingredienti, spesso ispirandoci alle opere d'arte esposte nel locale. Il nostro obiettivo è creare un’esperienza sensoriale completa, che coinvolga gusto e vista". In sala la cordialità di Arianna Giannattasio, supervisor anche della pasticceria.

Ciò che rende unica la proposta di "Pizzà Identità Gastronomiche" è il suo legame con il territorio. A differenza della classica pizza napoletana, qui l'impasto e la cottura vengono studiati per esaltare il sapore degli ingredienti locali. Il locale sorge in Vicolo Masuccio Salernitano, un luogo storico che, ai tempi della Scuola Medica, era un crogiolo di etnie, mestieri e religioni. Questo contesto arricchisce ancora di più l’identità culturale e gastronomica del ristorante dove Monetti e Di Giovanni hanno selezionato prodotti tipici come il tartufo di Colliano, il pomodoro rosa di Rofrano e la robiola di capra cilentana, creando un ponte tra passato e presente.

Grande attenzione è riservata alle verdure, che provengono dai contadini del territorio circostante, al pescato fresco, all’olio extravergine d’oliva, così come alla selezione di vini provenienti da cantine spesso poco note, ma di grande qualità. Lo stesso vale per i salumi e i formaggi, scelti con cura per garantire un'esperienza gastronomica autentica e radicata nella cultura locale. Dal punto di vista tecnico, l'impasto delle pizze segue un processo indiretto, con una lievitazione totale che raggiunge anche le 72 ore. La base è un blend di farine di tipo 1 macinate a pietra, caratterizzato da un'alta idratazione, che conferisce leggerezza e digeribilità ai prodotti finali.

Ma "Pizzà Identità Gastronomiche" è anche un laboratorio sperimentale di ricerca artistica. Il locale promuove l'arte attraverso vernissage e personali di giovani artisti emergenti, creando un ambiente che fonde cultura visiva e culinaria. Le pizze, infatti, vengono spesso ideate ispirandosi alle opere esposte, cogliendo i significati sociali e culturali che si celano dietro ogni creazione artistica.

Attualmente, il locale ospita la rassegna "Il Segno dell'Eccellenza – Missione Creatività", giunta al suo terzo appuntamento. Il progetto, voluto da Nicola Monetti e curato artisticamente da Giuseppe De Martino, in arte Amed, ha lo scopo di promuovere giovani talenti emergenti. Le opere alle pareti sono dell'artista Francesco Quaranta, che utilizza la tecnica della spatola per creare composizioni di forte espressività e profondità emotiva. I suoi lavori spaziano tra ritratti, paesaggi e rappresentazioni astratte, trasformando la materia pittorica in un vero e proprio specchio dell’anima.

La spatola gli consente di stendere il colore in modo energico, donando alle opere una tridimensionalità capace di catturare lo sguardo dello spettatore e invitarlo a esplorare i dettagli nascosti dietro ogni pennellata. Fino al 16 marzo, sarà possibile ammirare le opere di Quaranta e contribuire alla causa dell’associazione "Differenza Donna", impegnata nella tutela dei diritti delle donne e nella lotta contro la violenza di genere. L’artista ha messo in vendita alcuni lavori della serie "One Love" con una lotteria che consentirà di vincere un’opera 100×100 cm. Parte del ricavato sarà destinato, come detto, a "Differenza Donna", per sostenere le attività a favore delle donne in difficoltà, aiutandole a denunciare soprusi e trovare opportunità di crescita e riscatto.

L’esperienza degustativa invece è iniziata con un tris di polpettine, o meglio di piccoli bonbon, dove ogni boccone è stato un’esplosione di sapori: la prima, con crema di friarielli e salsiccia al vino rosso, ha avvolto il palato con il gusto intenso della tradizione; la seconda, con crema di zucca, nduja e stracciatella di mucca, ha offerto un contrasto tra dolcezza, piccantezza e cremosità; la terza, con confettura di pera, blu di bufala e pera, ha regalato un perfetto equilibrio tra dolce e sapido.

La cena è proseguita con una pizza unica, la "Zucca&Rhum", dove la crema di zucca ha disarmato le papille gustative con la sua dolcezza vellutata, mentre il Corsaro – un erborinato bufalino affinato al Rum Hampden 8 anni – è esploso con note aromatiche intense. L’uva passa contenuta nel formaggio ha aggiunto un tocco di dolcezza, così come le fave di cacao, per non parlare delle trebbie di orzo maltato che hanno donato profondità al morso, mentre il fior di latte e il lardo di Patanegra hanno arricchito la pizza con una cremosità e una sapidità perfettamente bilanciate. Le chips di topinambur hanno apportato croccantezza, mentre il timo limonato e la brezza di rum hanno completato il lievitato contemporaneo con freschezza e una lieve nota eterea.

Per concludere, un dessert che ha esaltato la provincia salernitana: la ricotta di bufala cremosa si è fusa con la confettura di fichi bianchi del Cilento, mentre il crumble di biscotto alla nocciola di Giffoni ha donato una nota croccante che ha chiuso l’esperienza con equilibrio. Il tutto è stato accompagnato dal Pian di Mòntena Rosso IGP Campania dell'azienda Tenuta San Benvenuto a Giovi, nata nel 2018 dalla passione di Benvenuto e Mauro Vicinanza per il settore vitivinicolo. Un blend di Merlot 30% e Aglianico 70% dal colore rosso rubino intenso, con tannini eleganti e un bouquet che ha richiamato frutti di bosco, amarena e leggere note speziate, capace di accompagnare con eleganza la complessità gustativa dell’intero percorso gastronomico.

Al calice si è presentato con un intenso rosso rubino, dai riflessi profondi e luminosi; al naso, il bouquet è stato ricco e avvolgente: sono emerse note di frutti di bosco maturi, amarena e prugna, accompagnate da eleganti sentori speziati di pepe nero, tabacco dolce e cacao. Un leggero accenno balsamico ha profuso ulteriore profondità e floridezza. Al palato, la struttura è risultata morbida e vellutata, con tannini fini ed equilibrati che hanno accarezzato i sapori senza sovrastarli. L'affinamento di 3 mesi in acciaio e 3 mesi in barrique, e infine in bottiglia, ha conferito al vino un'eccellente armonia tra la morbidezza del Merlot e la vivacità dell'Aglianico, regalando un sorso persistente e ricco di sfumature. Il finale si è rivelato lungo, con un retrogusto che ha evocato note di frutta rossa, cioccolato fondente e leggere tostature di legno.

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Annamaria Parlato 02/02/2025 0

Cucina giapponese o coreana? Da Kikko Ramen a Salerno le assaggi insieme

La cucina asiatica ha conquistato il cuore e il palato di molti italiani negli ultimi anni, Salerno non fa eccezione. Tra i locali più apprezzati della città spicca Kikko Ramen, un ristorante panasiatico inaugurato a maggio 2024 che fonde sapientemente le tradizioni cinesi, giapponesi, thai e coreane in un mix di sapori autentici e innovativi. La cucina giapponese si distingue per l'attenzione alla qualità degli ingredienti, rappresentando un equilibrio perfetto tra gusto e estetica. D'altra parte, la cucina coreana è conosciuta per i suoi sapori decisi, spesso piccanti, e per l'ampio uso di fermentazioni come il kimchi, una preparazione a base di cavolo fermentato e spezie.

Il ramen è uno dei piatti più rappresentativi della cucina giapponese, ma le sue origini sono strettamente legate alla Cina e a coloro che realizzavano tagliatelle tirate a mano. Introdotto in Giappone all'inizio del XX secolo, dopo la Seconda Guerra Mondiale ebbe larga diffusione in quanto il governo giapponese, investito da una forte crisi alimentare, incoraggiò il consumo di grano fornito dagli Stati Uniti, diventando un piatto a basso costo e accessibile a tutti. Il ramen ha subito numerose evoluzioni, diventando un'icona della cultura nipponica. Si tratta di una zuppa a base di brodo, noodles e vari condimenti, con infinite varianti regionali. Gli ingredienti principali del ramen includono: brodo, che può essere a base di carne (maiale o pollo), pesce o vegetale, spesso insaporito con salsa di soia, miso o sale; noodles preparati con farina di frumento dalla consistenza elastica e sapore delicato; condimenti come il chashu (maiale arrosto), le uova ajitama, il nori (alga), i germogli di bambù, i narutomaki e i cipollotti.

La preparazione del ramen è un'arte che richiede tempo e dedizione. Il brodo viene cotto a lungo per estrarre il massimo sapore dagli ingredienti, mentre i noodles vengono immersi al momento per garantire la giusta consistenza. Ogni elemento viene poi assemblato con cura, creando un piatto che è al tempo stesso comfort food e opera d'arte culinaria. Al palato, il ramen regala una sensazione di calore avvolgente e appagante, con la profondità del brodo che si unisce alla delicatezza dei noodles e alla varietà dei condimenti, per un'esperienza ricca di contrasti armoniosi.

Il kimchi è uno dei pilastri della cucina coreana e rappresenta non solo un alimento, ma anche una parte importante della cultura e della storia del paese. Le sue origini risalgono a oltre duemila anni fa, quando la fermentazione veniva utilizzata come metodo per conservare gli alimenti durante i rigidi inverni, tanto da diventare un'arte culinaria riconosciuta dall'UNESCO come patrimonio culturale immateriale dell'umanità. È composto da verdure, di cui cavolo napa e ravanelli, spezie come polvere di peperoncino coreano (gochugaru), zenzero, aglio e cipollotti, infine altri elementi che possono includere salsa di pesce o gamberetti fermentati per arricchire il sapore.

Le verdure vengono salate e lasciate riposare per eliminare l'acqua in eccesso. Successivamente, vengono mescolate con una pasta speziata preparata con gochugaru, aglio e vari aromi. Il tutto fermenta per alcuni giorni o settimane, sviluppando il caratteristico sapore pungente e complesso che lo contraddistingue. Al palato, il kimchi esplode con un mix di acidità, piccantezza e un tocco umami, regalando una sensazione di freschezza e intensità che stimola i sensi e lascia un retrogusto persistente.

La fermentazione è una tecnica antica utilizzata per conservare gli alimenti e arricchirne il sapore. Questo processo naturale si basa sull'azione di microrganismi come batteri e lieviti, che trasformano gli zuccheri presenti negli alimenti in acidi, alcol e gas. Nella cucina asiatica, la fermentazione è alla base di molte preparazioni tradizionali, come il miso, il natto e le salse di soia. Questo processo non solo prolunga la conservabilità degli alimenti, ma ne amplifica anche il profilo nutrizionale e organolettico. Gli alimenti fermentati sono spesso ricchi di probiotici, che favoriscono la salute intestinale, e di sapori complessi che arricchiscono i piatti.

Kikko Ramen, situato nel cuore della città, in Via Ten. Col. Calò, e gestito dalla storica famiglia Liu (la prima a portare il sushi a Salerno), si presenta con un design moderno e accogliente, ispirato all'estetica minimalista giapponese, ma con dettagli che richiamano la vivacità coreana. Le pareti, decorate con immagini di pagode e rami di ciliegio, creano un'atmosfera unica, rendendo il locale altamente instagrammabile. Inoltre, un armadio pieno di kimoni è a disposizione dei clienti, che possono indossarli durante il pasto per vivere un'esperienza ancora più autentica e immersiva.

Il menù di Kikko Ramen è un perfetto equilibrio tra le due tradizioni culinarie. Per chi ama i sapori coreani, il menù offre anche i tteokbokki (gnocchi di riso in salsa piccante), il pajeon (frittelle di cipollotti) e il pollo fritto condito con il gochujang (una salsa fermentata salata, dolce e piccante preparata con peperoncino rosso, riso glutinoso, meju ossia fagioli di soia fermentati, malto d'orzo, il tutto in polvere, e sale). Non mancano influenze da altre tradizioni asiatiche come la thailandese e cinese. Ogni piatto del menù di Kikko Ramen sprigiona sensazioni uniche al palato. Al primo assaggio del ramen, che ogni mese viene proposto anche con ingredienti stagionali ma temporanei, il brodo avvolge il palato con la sua complessità, rivelando strati di sapori che si susseguono: dalle note umami del dashi alle sfumature salate della salsa di soia, fino ai toni dolci delle verdure. La temperatura del brodo, mantenuta costante grazie alle ciotole preriscaldate, contribuisce a esaltare ogni sfumatura di gusto. I tteokbokki offrono una combinazione irresistibile di morbidezza e piccantezza avvolgente, mentre il pajeon conquista con la sua croccantezza e i sapori delicati delle verdure.

Ogni piatto è curato nei minimi dettagli, dalla presentazione alla scelta degli ingredienti, spesso importati direttamente dall'Asia. Da provare anche i dessert, come la famosa cheesecake giapponese, il bao dolce, il matchamisù, i mochi gelato e i dorayaki da abbinare allo soju. Il personale è sempre disponibile a guidare i clienti nella scelta dei piatti, spiegando le origini e le caratteristiche di ogni preparazione. Sia che siate appassionati di cucina giapponese o cultura asiatica, Kikko Ramen è il luogo ideale per un viaggio gastronomico senza bisogno di lasciare Salerno. Grazie alla sua attenzione alla qualità e alla sua capacità di coniugare tradizioni culinarie diverse, il ristorante si conferma una tappa obbligata per chi vuole scoprire il meglio della cucina panasiatica. Itadakimasu!

 

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Annamaria Parlato 25/01/2025 0

Finalmente "Gioia" a Salerno: non più mare, ma cucina italiana di terra

Nella vibrante città di Salerno, tra le viuzze che conducono al lungomare, si trova un gioiello della gastronomia italiana: "Gioia Cucina di Terra". Il ristorante è in piazza Flavio Gioia, nota ai salernitani come "la Rotonda", una zona iconica della città che, durante il periodo invernale, ospita le celebri Luci d’Artista. Attualmente, la piazza è decorata con un grande UFO, circondato da una miriade di dischi volanti simili a meduse fluttuanti, regalando un'atmosfera suggestiva e quasi onirica.

Questo ristorante, guidato con maestria dalla chef Annapia Daniele, già nella scuderia Iapigio/Scognamiglio, e sostenuto dalla visione dei patron Enzo e Fabio Esposito e Marco e Guido Guariglia, è un inno alla cucina classica italiana, reinterpretata con sensibilità e rispetto per le tradizioni. Appena varcata la soglia del locale, si viene accolti da un'atmosfera raffinata; gli arredi, caratterizzati da materiali naturali e tonalità terrose, riflettono l'anima del ristorante: una celebrazione della terra e dei suoi frutti. La tavolozza di colori del design interno spazia sulle tonalità del verde, evocando un senso di armonia. Grandi tavoli in marmo, volutamente privi di tovagliette, contribuiscono a un’estetica moderna, che esalta la bellezza dei piatti serviti. La cura dei dettagli è evidente in ogni angolo, dalla mise en place alle luci soffuse molto intime.

La proposta di "Gioia Cucina di Terra" si fonda su un concetto chiaro: valorizzare i sapori autentici della cucina italiana, privilegiando ingredienti provenienti da aziende certificate e stagionali. La semplicità in cucina, qui, non è sinonimo di banalità, ma anzi di maestria e perizia. Proporre piatti iconici come la carbonara, la bolognese o la cotoletta con l'osso alla milanese, fritta nel burro chiarificato, a Salerno potrebbe apparire una scelta controcorrente, ma è proprio questa la chiave del successo del ristorante. Questa proposta sembra richiamare un ritorno agli anni '70-'80, quando le famiglie del Sud Italia si spostavano per assaporare i piatti classici e regionali, rivivendo il fascino di una tradizione culinaria ricca di storia.

La chef Annapia Daniele, con il suo talento e la sua visione, dimostra che riproporre i grandi classici italiani, in un contesto inaspettato come quello salernitano, è un atto di rispetto per la tradizione e, al tempo stesso, una sfida creativa capace di sorprendere e conquistare i clienti. Il piatto simbolo del ristorante è il filetto di manzo in umido con aglio, olio e prezzemolo, "Filetto Gioia", servito in una suggestiva padella di rame, porzionato per due. Questa ricetta, all'apparenza semplice, è un capolavoro di equilibrio e intensità, che riprende i grandi classici napoletani come la "carne 'a zuppetella" o "a carn' 'a libbretto" cotta in padella con la sugna.

La carne, tenera e succosa, si sposa perfettamente con la delicatezza dell’olio extravergine d'oliva e l'aroma fresco del prezzemolo. L’aglio imbiondito, dosato con maestria, aggiunge un tocco pungente che esalta i sapori senza sovrastarli. La scelta della padella di rame non è solo estetica: questo materiale permette una cottura uniforme, contribuendo a preservare la morbidezza e i succhi del filetto, in cui è d’obbligo inzuppare un pezzetto di pane per la "scarpetta". Si consiglia di accompagnare il piatto con una gradevole porzione di zucca arrostita: il peperoncino presente nella verdura donerà ancora più spinta al boccone.

Tra gli antipasti spicca una creazione che è una vera euritmìa di sapori: l’uovo pochè, servito con una spuma di sedano rapa, cardoncelli ripassati e pancetta croccante. Le uova provengono dall'azienda biologica "L'Uovo d'Oro" di Campagna (SA), nota per la qualità straordinaria del suo prodotto. Cremose e altamente digeribili, queste uova non lasciano cattivi odori su bocca, piatti o posate, offrendo un’esperienza di gusto pura. La consistenza setosa dell’uovo si combina armoniosamente con la cremosità della spuma e il contrasto croccante della pancetta, mentre i funghi cardoncelli aggiungono una nota avvolgente.

Tra i primi, la chitarra al burro zangolato a mano, parmigiano e tartufo nero, è un capolavoro di semplicità, un comfort food che coccola. La pasta fresca utilizzata appartiene alla linea "Le Matassine all'uovo" del Pastificio Cav. Giuseppe Cocco di Fara San Martino (CH), garanzia di qualità abruzzese. Perfettamente al dente, la chitarra è avvolta da una crema vellutata di burro e formaggio, mentre il tartufo nero dona al piatto un’aromaticità intensa e inebriante.

Il dessert "tre cioccolati" rappresenta il gran finale perfetto di una cena indimenticabile. Si tratta di una composizione articolata e deliziosa: ganache di cioccolato al latte, cioccolato fondente croccante, namelaka al cioccolato bianco e vaniglia, il tutto adagiato su un biscotto di pasta sablé con nocciole dalla tostatura strong. Ogni elemento contribuisce a un equilibrio sublime tra dolcezza, croccantezza e cremosità, regalando un’esperienza dolce senza pari. A rendere l’esperienza culinaria ancora più completa c’è la carta dei vini, bollicine e distillati, curata dal sommelier Isidoro Menduto.

"Quando sei felice bevi per festeggiare. Quando sei triste bevi per dimenticare. Quando non hai nulla per essere triste o felice, bevi per far accadere qualcosa", ama sottolineare Menduto, sintetizzando con poesia l’arte del brindare. La selezione spazia dai grandi classici italiani alle novità internazionali, con un’attenzione particolare ai grandi formati. Ogni etichetta è scelta per accompagnare e valorizzare al meglio i piatti della chef, trasformando ogni sorso in un viaggio di scoperta.

"Gioia Cucina di Terra" è più di un ristorante, un concetto che va oltre, è un tour sensoriale attraverso l’Italia. La passione e la competenza della chef Daniele si percepiscono in ogni piatto, rendendo ogni pasto un’esperienza appagante. Se siete a Salerno e desiderate assaporare la vera essenza della cucina italiana, questo locale merita senza dubbio una visita. Uscirete con il cuore pieno di “gioia” e il desiderio di tornare al più presto.

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Annamaria Parlato 18/01/2025 0

"Filtro", una ventata di Nord Europa nel cuore del centro storico di Salerno

Nel cuore pulsante del centro storico di Salerno, a via Porta Di Mare, nell’agosto 2024 ha sollevato la saracinesca "Filtro", una caffetteria che promette di diventare un punto di riferimento per gli amanti del caffè di qualità e dell’arte del relax nordico. Questo nuovo locale, il cui nome evoca le atmosfere minimaliste e accoglienti della Scandinavia, unisce lo stile essenziale e raffinato del Nord Europa con l’ospitalità calorosa tipica del Sud Italia.

Un team familiare, composto in primis da Paola Roma e suo marito Vincenzo Capacchione, con le sue sorelle Emanuela cake designer e Mariella al reparto caffetteria. Un modo per la giovane coppia di reinventarsi soprattutto nel periodo Covid e di mettere in pratica passioni e scoperte accumulatesi durante in viaggi in giro per l’Europa centrale e nordica, esplorando mondi nuovi ma ricchi di emozioni.

L’ambiente, 45 metri quadri circa e una decina di sedute, è caratterizzato da linee pulite, materiali naturali come legno chiaro e pietra; una palette di colori tenui, che spazia tra il bianco, il grigio e il beige, crea un’atmosfera intima e rilassante. Grandi finestre lasciano entrare abbondante luce naturale, mentre una selezione curata di piante e dettagli d’arredo aggiunge un tocco di calore. Il design è stato pensato per offrire uno spazio dove fermarsi, leggere un libro o semplicemente godersi una pausa.

Punto di forza di questa caffetteria è senza dubbio l’offerta gastronomica. Ogni giorno vengono sfornate viennoiserie fragranti, preparate seguendo ricette tradizionali francesi: croissant al burro, pain au chocolat, cinnamon roll, danesi con crema fresca, biscotti fragranti, cookies, crostate, torte al taglio (come la setosa chiffon cake) e altre specialità che variano in base alla fantasia di Paola ed Emanuela. Per chi cerca qualcosa di salato, Filtro propone piatti semplici ma selezionati come avocado toast, formaggi d’alpeggio e uova con pane tostato e burro, focacce a lunga lievitazione rigorosamente di farine biologiche. Non mancano bruschette con verdure locali di stagione, condite con olio extravergine, proveniente da piccoli produttori del territorio, e talvolta un pizzico di colatura di alici di Cetara.

A completare l’esperienza, un’accurata selezione di specialty coffee. Si tratta di caffè di alta qualità, ottenuti da varietà selezionate di Arabica e coltivati a un’altitudine elevata, in condizioni climatiche ideali. I chicchi vengono raccolti a mano, processati con metodi che ne preservano le caratteristiche uniche e sottoposti a rigidi controlli di qualità. La preparazione degli specialty coffee è altrettanto rigorosa: vengono utilizzati metodi come il V60, l’Aeropress, il Chemex o il Syphon, che consentono di esaltare i sapori distintivi di ogni origine. Tra le proposte più apprezzate ci sono il flat white, il cortado e l’espresso, preparato con cura maniacale per offrire un’esperienza sensoriale unica. Non manca l’espresso in miscela per i tradizionalisti.

Per chi ama le alternative al caffè, Filtro propone anche il chai latte, una bevanda speziata e avvolgente; il latte matcha, ottenuto dalla polvere di tè verde giapponese; e una cioccolata calda cremosa, ideale per le giornate più fredde. Oltre al caffè, grande attenzione è riservata al tè, che viene servito sia secondo il metodo orientale, con infusione multipla e servizio tradizionale, sia con l’approccio occidentale, più rapido e adatto a chi è di fretta. Una selezione di tè Eastern Leaves, che sostiene anche importanti progetti di salvaguardia delle foreste, è disponibile per soddisfare ogni preferenza, accompagnata da biscotti artigianali che ne esaltano i sapori.

Filtro non è solo un posto dove prendere un caffè al volo, ma un vero e proprio punto di ritrovo in cui riabituare i palati al vero e originale gusto del caffè. Che si tratti di una colazione o di un brunch, cui abbinare una selezione di vini naturali e olii dei piccoli produttori locali, di un pomeriggio di studio o lavoro, il locale si adatta a ogni esigenza. Con questa apertura, Salerno aggiunge un tassello prezioso alla sua offerta gastronomica, confermando il suo spirito cosmopolita e la capacità di accogliere idee innovative. Filtro è una destinazione imperdibile per chi cerca qualità, atmosfera e un pizzico di cultura nordica nel cuore del Mediterraneo. Anche gli orari sono volutamente nordici, l’apertura è sino alle 16:00 e per cinque giorni settimanali dal mercoledì alla domenica, in cui si chiude alle 13:30.

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Annamaria Parlato 17/12/2024 0

"Estasi Pasticceria" è storia di dolcezza e passione a Salerno

In Via Raffaele Mauri, a Salerno, il profumo invitante di lievitati appena sfornati e dolci irresistibili inebria i passanti, attirandoli verso un accogliente locale che è già diventato un punto di riferimento per gli amanti della pasticceria. Dietro il successo di "Estasi Pasticceria" si cela la storia di una giovane coppia, unita non solo nella vita ma anche nella passione per l'arte dolciaria.

Ivano De Chiara e Irene Cavalieri hanno iniziato il loro viaggio nel mondo della pasticceria con lo stesso sogno: trasformare la loro passione in una professione. Dopo essersi conosciuti durante un corso di pasticceria, in Piemonte, decidono di investire nel loro futuro frequentando corsi avanzati e arricchendo il loro percorso formativo tramite stage presso laboratori rinomati, dove hanno avuto l'opportunità di lavorare al fianco di maestri pasticcieri di fama internazionale.

Dopo aver completato la loro formazione, entrambi pensano di tornare a Salerno e scegliere la città natale di Ivano come luogo in cui aprire la loro prima pasticceria. L’entusiasmo della tenera coppia è contagioso, la loro dedizione è evidente in ogni dettaglio, dal packaging curato alla scelta di ingredienti di altissima qualità. Nonostante siano agli inizi, Ivano e Irene guardano già al futuro con ambizione: "Vorremmo ampliare il laboratorio - spiega Irene - e magari organizzare corsi per trasmettere la nostra passione ad altri giovani".

Per conoscere meglio le novità natalizie, e scoprire alcuni retroscena di questa avventura, abbiamo posto qualche domanda ad Ivano, che con fervore ci ha svelato alcuni dettagli.

Quale è stato il tuo percorso dagli inizi sino ad oggi?

Sono stato sin da bambino appassionato e abituato dalla mia famiglia ad assaggiare a tavola prodotti particolari. Sono cresciuto proprio con la smania di andare sempre alla ricerca del "buono" anche al ristorante. Da adolescente mi cimentavo nella preparazione di alcuni piatti, come la parmigiana. Non ho frequentato l’Alberghiero ma il Liceo Scientifico. Per iniziare a guadagnare i primi soldi, tra il 2013 e il 2014 ho lavorato assiduamente in diverse pizzerie di Salerno ma il richiamo forte l’ho avuto sempre per i dolci. In ogni caso, farine, impasti e lievitazioni in pizzeria mi hanno aiutato anche dopo, quindi è stato molto formativo questo periodo.

Nel 2015 mi trasferisco a Monaco di Baviera per iniziare il mio percorso di pasticciere e nel 2018 rientro in Italia carico di esperienze. Poi, a partire dal 2019, decido di iscrivermi all’Accademia Icook di Luca Montersino e Francesca Maggio, a Chieri vicino Torino. Là conseguo il diploma e conosco anche la mia dolce metà, Irene, nativa di Prato, attualmente anche la mia socia, e il 12 dicembre 2021, subito dopo il Covid, inauguriamo Estasi a Salerno accedendo al bando “Resto al Sud” e ai finanziamenti, tant’è che anche il Gambero Rosso in una delle sue pubblicazioni dedica uno spazio alla nostra storia.

Hai ottenuto da poco un riconoscimento importante: sei un Maestro APEI, ossia Ambasciatore Pasticcere dell'Eccellenza Italiana, l’associazione che raccoglie le migliori professionalità e le eccellenze più esclusive della pasticceria e del mondo del dolce, fondata e presieduta dal grandissimo Iginio Massari. Come mai la scelta è ricaduta sull’APEI e non sull’AMPI, l’Accademia Maestri Pasticcieri Italiani?

A livello di conoscenze, imprenditoria ed esperienze di vario genere, credo che al di sopra di Igino Massari non ci sia nessuno attualmente. Per questo la scelta è ricaduta sull’APEI, Iginio è un maestro ed un mentore, si è battuto anche a livello burocratico per far sì che in Italia venisse al più presto approvata la legge di tutela della figura professionale del pasticciere, che finalmente grazie a lui adesso ha il giusto riconoscimento nel mondo del lavoro. Iginio ha una cultura mostruosa, parla di marketing come un professore di Harvard, le conoscenze che ha sono infinite. In APEI poi ci sono svariati colleghi campioni del mondo, come Gino Fabbri.

In quale direzione sta andando la pasticceria contemporanea?

La direzione è molto chiara ed evidente, per crescere bisogna studiare, aggiornarsi, avere un locale che rispecchi il dolce che proponi e professionalità a 360 gradi. Per diventare un grande nome bisogna sempre approfondire e non fermarsi mai, investire in attrezzature e abolire il prodotto super dolce, l’uso di semilavorati, margarine e surrogati vari. Questi dolci finti, industriali e stucchevoli, spezzano il gusto, mentre bisogna arrivare ad un prodotto riconoscibile ad occhi chiusi, dove prevalga la materia prima d’eccellenza, togliendo zuccheri e conservanti.

Può quindi esistere un "dolce meno dolce"?

Inizialmente è stata una sfida, ma poi la clientela ha percepito la differenza e ha inteso la nostra filosofia. Infatti dicevano "i vostri dolci non hanno sapore", ma alla fine si sono ricreduti. Il messaggio che vogliamo inviare a tutti è anche quello di una pasticceria più salutare, non le "americanate" o quei reel un po' eccessivi dove si attenta alla salute di ognuno di noi, quella non è la vera pasticceria d’autore. A volte su questi video rendono protagonisti croissant che solo a vederli mi fanno venire i brividi, quella è spazzatura. Quel prodotto non avrà continuità.

La vetrina natalizia della Pasticceria Estasi 24-25

Dall’Immacolata all’Epifania abbiamo i grandi lievitati, sia dolci che salati, ma abbiamo anche tanta tradizione con gli struffoli, i torroni alle mandorle o pistacchio, i roccocò, i susamielli, i mostaccioli ripieni all’amarena, i calzoncelli fritti con olio extravergine di oliva con castagne e vera pera pericina (che recupero da una signora che vive nei Picentini), autentico candito di arancia e cioccolato fondente al 61% ed infine gli scauratielli dolci con il miele e quelli salati, che stiamo pensando di proporre per coloro che passeranno il 24 dicembre e il 31 da noi per un aperitivo, con una fonduta di parmigiano e forse qualche salume in abbinamento o una verdura saltata in padella.

Descrivi ai nostri lettori la vostra linea di panettoni

Quest’anno abbiamo i gusti fissi come il panettone milanese classico, o il Tre Cioccolati, un nostro must, con impasto al cioccolato e in sospensione gocce di cioccolato bianco e al latte e poi ricoperto di cioccolato fondente temperato. Tra le novità il PanAmarena, con amarene di eccellenza e gocce di cioccolato bianco, il Panettone al Pistacchio con impasto piuma (diamo la possibilità di averlo già farcito oppure di farcirlo a casa tramite una sac a poche ripiena di spalmabile), infine glassato al cioccolato bianco e copertura di granella di pistacchio.

Poi ho un altro gioiellino che è ovviamente il Pandoro, estremamente soffice, fioccoso, pieno zeppo di vaniglia e burro di altissima qualità. Ho impiegato otto anni per metterlo a punto. Infine, abbiamo creato due panettoni salati, l’Affumicato con zucca, speck e provola affumicata di Agerola e il Puttanesca con impasto al pomodoro, olive, capperi, un profumo di acciughe, prezzemolo, peperoncino. I clienti impazziscono per i salati, ideali per l’antipasto della tavola natalizia.

Possiamo suggerire una veloce ricetta con gli avanzi di panettoni e pandori da ripetere a casa?

Più che una ricetta è un ricordo d’infanzia, di casa mia, quando ci riunivamo tutti assieme ed i profumi si sentivano ovunque. Consiglio di riscaldare la fettina in padella con una noce di burro, facendola tostare da ambo i lati e poi sopra o un po' di marsala o Grand Marnier, liquori molto profumati, o una semplice crema inglese tiepida alla vaniglia o aromatizzata al rhum.

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Estasi non è solo un luogo dove acquistare dolci, ma un’esperienza che celebra il gusto, la tradizione e l’innovazione. Con il loro talento e il loro impegno, Ivano e Irene stanno riscrivendo la storia della pasticceria a Salerno. A Natale, magia nelle loro mani, biscotti dorati e panettoni regnano sovrani, cannella e cioccolato danzano insieme, in ogni morso, un mondo incantato.

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Annamaria Parlato 13/12/2024 0

UMI riapre a Salerno tra novità e un interessante percorso omasake

Nel cuore di una città illuminata da luci natalizie e riflessi di carta di riso, si apre il sipario di un piccolo e rinomato ristorante giapponese. UMI è in Via Roma 17, si distingue per l'autenticità della cucina nipponica. Il nome stesso, che in giapponese significa "mare", riflette la filosofia del locale, basata su amicizia, accoglienza e tradizione. Ha riaperto i battenti qualche settimana fa, con menù e servizio ancora più intriganti.

Varcata la soglia, ogni dettaglio, dalla luce soffusa dell'insegna alla disposizione degli arredi, crea un’atmosfera di raffinata serenità. La luce esterna gioca con le ombre, riflettendo delicate sfumature di rossi, dorati e toni naturali che invogliano a entrare in un mondo di calma e contemplazione. Lì, dietro un banco di legno liscio come la seta, lo shokunin (maestro di cucina kaiseki) prende posto, incarnando un’arte che va oltre la semplice preparazione del cibo. È il maestro del tempo, dello spazio e del sapore.

L’aria è intrisa di profumi delicati: un leggero aroma di mare si fonde con note di riso appena cotto e una sfumatura umami di soia. Attorno al banco, i clienti osservano in silenzio, quasi ipnotizzati. Ogni gesto dello chef è calmo, misurato, eppure carico di intensità. Le mani si muovono con grazia, come in una danza, raccontando una storia che passa di generazione in generazione. Davanti a lui, file ordinate di pesci freschissimi: tonno dal rosso brillante, salmone dalle striature luminose, sgombro argentato, anguilla e polpo dalla consistenza setosa. Lo chef, con coltelli affilati come la poesia di un haiku, esegue tagli perfetti. Ogni fetta è un equilibrio tra spessore, consistenza e dimensione, pensata per fondersi armoniosamente con il riso.

Il riso, l’anima del sushi, è trattato con rispetto e cura. Viene cotto e condito con una miscela precisa di aceto, zucchero e sale, seguendo un rituale antico. Lo chef lo modella con mani umide, mai troppo strette, per mantenerne la leggerezza e la forma ideale. Jun Inazawa ha lasciato il testimone a Tutuami Hayashi, originario di Osaka, la città tempio della gastronomia giapponese nella regione del Kansai, che include anche le località famose di Kyoto e Kobe. Ogni piatto del nuovo menù è pensato per stimolare i sensi, in modo da celebrare la tradizione giapponese, ma con una delicatezza che si abbina perfettamente all'atmosfera festiva e al freddo della notte. La combinazione di piatti leggeri, ma ricchi di sapore, accompagnati da sakè, invita a riflettere e a godere il momento, come un dono prezioso durante le festività di dicembre. Nelle fredde notti invernali, UMI diventa un rifugio perfetto, dove l’eleganza della cucina e l’atmosfera nipponica si intrecciano in un’esperienza indimenticabile.

La concettualità della cucina giapponese affonda le sue radici in valori profondi legati alla cultura e alla filosofia del paese. La cucina non è solo un atto di nutrirsi, ma un’esperienza che riflette l'armonia tra uomo, natura e stagioni. Ogni singola portata è un viaggio sensoriale che celebra la bellezza effimera e la semplicità, princìpi centrali della filosofia giapponese, come il wabi-sabi (la bellezza dell'imperfezione) e il mono no aware (la consapevolezza della transitorietà delle cose). Un percorso da 7 portate, a mano libera “omasake”, è ideale per percepire tutte le sfumature di sapori della cucina kaiseki altamente elaborata, composta da una sequenza di piccoli piatti che mettono in risalto ingredienti stagionali, presentati artisticamente.

Il benvenuto è composto da daikon marinato e acciuga semi-essiccata e in abbinamento un sakè junmai “Hatsumago Yukikoibana Sparkling”, dove prevalgono sentori di crema lattiginosi, che si trasformano poi in una notevole freschezza con una punta acida sul finale, supportata dalle bollicine. Lo stesso pairing accompagna bene anche la zuppa di brodo dashi con orata, cime di rapa e frutti di mare. La base di questa zuppa è caratterizzata da un umami complesso, derivato da alghe kombu e fiocchi di tonnetto essiccato (katsuobushi). Ha una leggerezza fumosa e salina, l’orata aggiunge una dolcezza delicata, che si fonde con il brodo senza sovrastarlo mentre i liquidi filtrati dai frutti di mare arricchiscono la zuppa con note salmastre e minerali, donando profondità al piatto.

La degustazione prosegue con un sashimi su verdure croccanti di tonno e ricciola dalle carni sode e setose, che donano una piacevole masticazione e un retrogusto pulito che richiama il mare. In abbinamento “Stella Muroka”, un sakè junmai daiginjo molto morbido al palato, ottenuto da pressatura manuale del riso che permette di conservarne gli aromi più fruttati. A seguire, un hassan con alga wakame e salmone aburi, melanzana e miso rosso, involtino di pollo e sesamo nero, castagna fermentata e pomodoro marinato e infine temago con miao giallo. Questo piatto è una celebrazione dell’armonia tra dolce, salato, acidulo e umami, offrendo un viaggio sensoriale che combina ingredienti tradizionali giapponesi con tecniche di preparazione sofisticate.

Il percorso poi continua con ricciola alla brace con miao fermentato e temaki di tonno. Ad entrambe le preparazioni viene abbinato un cocktail a base di “Shirayuki Edo Genshu” e acqua tonica, una combinazione affascinante che gioca sui contrasti tra la potenza del sakè con note di legno, caramello e tabacco, paragonabile a un vino da meditazione, e la freschezza frizzante della tonica. Sull’assaggio di nigiri con capasanta, pesce bianco e salmone e sulla zuppa di miso, perfette le note secche e acide ma sicuramente bilanciate del “Sogen Genshin”, dal gusto sofisticato e ricco, profumo gentile, un junmai daiginjo elegante e morbido.

Il percorso termina con daifukumochi e un nuovo cocktail a base di Shochu, miele e pompelmo rosa. Il daifukumochi, spesso abbreviato in daifuku, è un dolce tradizionale giapponese che consiste in una pasta di riso glutinoso (mochi) ripiena di confettura, generalmente anko (pasta di fagioli rossi azuki) e frutta, in questo caso un mandarancio. Il termine “daifuku” significa letteralmente “grande fortuna”, rendendo questo dessert non solo una delizia culinaria ma anche un simbolo augurale nella cultura giapponese.

L’eccellente servizio di sala (premiato con le tre bacchette dal Gambero Rosso), così come i pairing con vini o sakè, sono curati da Silvana Carrara, che aggiorna personalmente la carta del beverage (la selezione di sakè è la più ampia del salernitano). “Quando si crea un pairing per un menù omakase - spiega Silvana - l'obiettivo non è solo accompagnare i piatti ma amplificare ogni boccone. Il sakè, con la sua varietà di stili, ci offre infinite possibilità per creare dialoghi armoniosi e sorprendenti con le creazioni dello chef. Se desiderate una sorpresa, vi consiglio di assaggiare un Nigori, il sakè non filtrato. La sua texture vellutata e il gusto lievemente dolce lo rendono un accompagnamento ideale per chi ama sperimentare. È perfetto anche con dessert delicati. Ricordate, il sakè non è solo una bevanda, ma una celebrazione della natura e della cultura giapponese. Ogni sorso è un momento di connessione con la terra da cui proviene e con l’arte di chi lo produce”.

Il bartender Dario Daluz si occupa di creare la lista dei cocktail da abbinare ai piatti, molti a base di sakè o shochu. “Quando creo cocktail – afferma Dario - con sakè e shochu, il mio obiettivo è rispettare la tradizione giapponese e, allo stesso tempo, giocare con nuovi sapori e tecniche per sorprendere il palato. Questi due distillati e fermentati sono incredibilmente versatili, con caratteristiche che li rendono unici”.

Non c’è fretta, non c’è distrazione. Il tempo sembra fermarsi mentre lo chef lavora, incarnando il concetto di omotenashi (la dedizione totale all’ospitalità). Ogni porzione è una connessione tra il creatore, il cliente e la natura stessa. Questo è UMI, un ristorante dove ogni piatto è una finestra sul Giappone, una danza di delicatezza che invita a riflettere, a gustare lentamente, a vivere l’esperienza del cibo come una forma d’arte effimera e profondamente legata all’emozione del momento. Un racconto di precisione, bellezza e rispetto.

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Redazione Irno24 11/12/2024 0

"Panolio" e "Gastronomico Irpino" gli assi natalizi di Vignola a Solofra

Nel solco della continua ricerca dell'innovatività in campo dolciario, abbinata ad una solida tradizione, la pasticceria Vignola di Solofra rilancia golose sorprese in vista del Natale. Innanzitutto il "Panolio", un particolare panettone realizzato con lievito madre (vivo dal 1969), senza burro e derivati (dunque senza lattosio), impreziosito da un eccellente olio di Ravece* irpino dell'azienda "Il Mulino della Signora" e dal sedano, candito artigianalmente in pasticceria.

Altra chicca è il Gastronomico Irpino, un panettone salato che mette insieme l'arte di pasticceria, il lievito madre di pasta viva, i salumi e i formaggi irpini: pancetta "stesa", capocollo, pecorino e caciocavallo.

*Il Ravece - con cui cospargere il Panolio dopo averlo affettato - è un pregiato extravergine ricco di sentori fruttati di foglia di pomodoro, banana e mela bianca, affiancati da toni balsamici di basilico, menta e prezzemolo.

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