Il pane col soffio è "o' Sciusciello di Pellezzano"
Un PAT che si stava perdendo ma che poi è stato recuperato e arricchito
Annamaria Parlato 22/08/2021 0
Pellezzano deriva da “fundus Pellitianus”, di proprietà del patrizio romano Pellitius o Pelitius con l’aggiunta del suffisso “anus” che indica appartenenza. Il territorio ha vissuto tutta la storia del meridione, dalla civiltà degli etruschi a quella greco-lucana (dall’inizio deil VI secolo a.C. alla metà del III secolo a.C. come dimostra il complesso archeologico di Fratte), dall’avvento dei Picentini alla dominazione romana, come testimoniano la villa romana di Sava e i vari rinvenimenti in tutta la Valle dell’Irno, dalle invasioni barbariche alle incursioni saracene, dalla dominazione longobarda a quella borbonica.
Col passare dei secoli, in questo territorio, situato nella media Valle dell’Irno, si erano formati Casali, ben distinti fra loro, di essi cinque incorporati nella Università di Salerno. I Casali ad occidente della Valle erano: S.Nicola, Coperchia, Pellezzano, Capriglia, Cologna, Nofilo e Casal Barone. Il Consiglio d’Intendenza della Provincia, con deliberazione in data 3 febbraio 1819, si pronunciò per il distacco dei Casali dall’Università di Salerno. Nel mese di dicembre del 1819, nacque, così, il Comune di Pellezzano.
Proprio a Pellezzano quest’anno l’Associazione “Sagra do’ Sciusciello” avrebbe organizzato la 34esima edizione del maestoso evento che raduna dal 1987 buongustai da tutta la Campania, se non ci fossero state le restrizioni dovute alla pandemia da Covid. Ancora un anno di silenzi a Pellezzano, dove proprio nella seconda metà del mese di agosto tanti curiosi sarebbero sopraggiunti per assaggiare questa prelibatezza locale, il sciusciello per l’appunto, con una lunga ed interessante storia alle spalle.
Era un tempo il principale piatto locale; oggi è un cibo tradizionale celebrato nelle feste estive ma che stava per scomparire se non fosse stato per gli abitanti e il Comune di Pellezzano che hanno ben pensato di recuperarlo e valorizzarlo. È un pane gustoso a base di farina integrale, sale, acqua e lievito di birra, impastato in modo semplice, riempito e cotto nel forno a legna. Sciusciello deriva il suo nome da "sciuscio", il suono sussurrante che fa il gas uscendo dai fori sulla superficie del pane sbuffato.
Il pane è vuoto dentro e ha una superficie irregolare. Il colore è bianco cenere con piccole macchie scure fatte durante la cottura. Il sciusciello classico si riempie di strutto e pepe, ma il ripieno può variare con formaggio, carne, pancetta, verdure, patate cioccolato e ciò che delizia i palati più esigenti. Ma di sciuscielli in provincia di Salerno ne esistono altri due e precisamente in Cilento e nel Vallo di Diano, ad Atena Lucana.
Quello cilentano deriverebbe dal latino “iuscellum”, che significa brodo. Infatti è una tradizionale zuppa calda, servita come piatto unico con uova, pane raffermo e cacioricotta che si prepara in primavera quando spuntano i pregiati asparagi di montagna. Ad Atena invece è un grande gnocco a base di pane raffermo, farina, uova e formaggio e una volta impastati, gli sciuscielli vengono cotti in un brodo di pomodoro e patate, insaporito con cipolla e basilico.
Il pane rappresenta tutt’oggi per l’uomo il riscatto dalla fame ma anche la capacità di evolversi. Lo si ritrova come elemento portante di tutta quella ritualistica relativa al ciclo della vita e ai cicli stagionali. Ovunque la sua produzione, preparazione e consumo sono accompagnati da gesti, preghiere, formule e riti di propiziazione e ringraziamento. Allo stesso tempo, questo alimento riveste una grande importanza nel consumo comunitario del pasto, nella necessità di dividerlo e di offrirlo agli altri.
Il sciusciello infatti nasceva come alimento povero nelle campagne, si cuoceva su pietre roventi e si farciva con quello che si aveva a disposizione, diventando un momento di festa e aggregazione. Potrebbe derivare da alcune tipologie di pani mediorientali come la pita greca o il Khobez arabo che è possibile trovare con forme, spessori e nomi diversi. In Egitto ad esempio prende il nome di aish, e il suo impasto viene aromatizzato con i semi di cumino. Utilizzato per insaporire verdure, pesce o carne, la particolarità di questo pane è il suo impasto morbido e profumato, che durante la cottura in forno si gonfia a palloncino, creando al suo interno un vuoto tutto da farcire come nel sciusciello.
Il pane è uno degli alimenti più ricchi di significati, di funzioni e di valenze culturali. Se ci si spinge al di là dell’idea che sia un semplice cibo che si ottiene mescolando acqua e farina, lasciato più o meno a lievitare, e poi cotto al forno si scoprirà subito che il pane porta con sé memorie,valori simbolici, tradizioni che vanno oltre al semplice sfamare il corpo: il pane sfama anche lo spirito. E’ questa la sua peculiarità: essere al tempo stesso cibo e segno.
Conoscere il pane implica quindi imparare quali sono le sostanze di cui è fatto, le tecniche e i saperi necessari alla sua produzione e al suo consumo e, infine, le reti di relazioni sociali e i significati culturali che caratterizzano le tante forme che assume. La storia di questo alimento narra di tecniche di panificazione già presenti nel Neolitico, dove i cereali più usati, l’orzo e il miglio, davano vita ai pani più antichi, quelli azzimi, non lievitati. Il sciusciello ha una forte valenza antropologica e culturale e come tale va custodito e tutelato affinché non si perda la sua sacralità.
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Annamaria Parlato 02/01/2024
San Severino, intrecci di storia e gastronomia a "Casa del Nonno 13"
Casa del Nonno 13 è un'autentica gemma culinaria in un palazzo d'epoca. Offre non solo una prelibata esperienza gastronomica, ma anche un tuffo nell'arte e nella cultura del Settecento, trasformando ogni visita in un'occasione indimenticabile. Un luogo dove la storia si sposa con la cucina, creando un connubio di eleganza, gusto e fascino.
Nel cuore di un imponente palazzo settecentesco dall’architettura maestosa, nella frazione S. Eustachio di Mercato San Severino, appartenuto alla Famiglia Angrisani che lo abitò per diverse generazioni, le decorazioni d'epoca e l'atmosfera sontuosa fanno di questo ristorante una destinazione culinaria senza paragoni. L’Avv. Antonio Angrisani ha ereditato da suo nonno la proprietà, valorizzata grazie all’abilità dello chef e architetto Raffaele Vitale, che riuscì a portare la stella Michelin proprio a Mercato San Severino, lasciando poi il ristorante nel 2015.
Dopo varie vicissitudini e chef che si sono alternati, oggi la gestione è dell’imprenditore Francesco Palumbo, proprietario anche del Crub a Cava dei Tirreni, che ha portato a Casa del Nonno 13 lo chef Attianese, allievo di maestri dai nomi altisonanti come Glowing, Lavarra, Di Costanzo, Aprea, executive un po' di tempo fa del rinomato Casa Rispoli, sempre nella città metelliana. Gli ambienti per il fine dining con cucina e cantina hanno subìto un recente restyling sotto la direzione dello Studio Di Sessa Architetti, tant’è che l’Arch. Francesco di Sessa, responsabile dei lavori ha spiegato:
“Il progetto di rinnovamento del ristorante casa del Nonno 13 muove dalla consapevolezza dell’eredità, materiale e immateriale, di un luogo unico, fortemente caratterizzato nei suoi spazi e nei suoi materiali, in una indissolubile relazione con il territorio. L’intervento ambisce alla conservazione delle atmosfere intime e familiari che hanno accompagnato la ‘stellata’ storia del ristorante, ma proietta, attraverso calibrati innesti e modificazioni, gli ambienti verso una dimensione più contemporanea della ristorazione”.
Nulla è stato trascurato, ogni dettaglio portato ai massimi livelli vuole offrire un’esperienza appagante e coinvolgente. Antico e moderno si fondono e dialogano, esprimendosi in un linguaggio apparentemente semplice ma intrinsecamente complesso. Dunque, varcata la soglia, i commensali saranno viziati dal fuoco scoppiettante dei camini, dai profumi dell’Agrumeto che d’estate diventa giardino incantato, da dipinti e antiche stampe, dagli intricati cunicoli che lasciano intravedere ora il vetusto pozzo ora la cantina ad arsenale, custode di circa novecento etichette.
In sala, Alessandro Pecoraro è un attento food&beverage manager, è un tutt’uno con Attianese, c’è sintonia tra i due e ogni cosa procede secondo la giusta direzione. Il suo mood cordiale e appassionato trasmette la stessa dedizione e affetto che si ritrovano nei piatti, l’entusiasmo che mette nel raccontare storie dietro le ricette e nel consigliare un vino è un valore aggiunto che arricchisce ulteriormente il pasto. Il menù è una lettera d'amore ai prodotti locali e alle ricette tramandate di generazione in generazione, mantenendo la medesima filosofia di Raffaele Vitale. Le portate sono un inno alla freschezza e alla semplicità, con ingredienti provenienti direttamente dai produttori della zona.
Nella terrina di maiale arrosto, cremoso di papaccelle e giardiniera del Nonno, così come nei tortelli ripieni di maiale, in brodo di pollo e verdure della minestra maritata o nella faraona dal petto arrosto e coscia glassata, pop-corn di miglio, radicchio tardivo e castagne, vi è l’esaltazione della ricchezza agricola della Valle dell’Irno e dell’Agro-Nocerino-Sarnese. Ogni singola preparazione è una dichiarazione di benevolenza per la tradizione, assemblata con maestria e rispetto per la materia prima.
Lo chef è prodigo di attenzioni per i commensali, a partire dal ricco benvenuto che comprende vari divertissement salati, sino a terminare con lo coccole dolci che arricchiscono il dessert come gli struffoli, il panettone con impasto al cacao e confettura di albicocca pellecchiella del Vesuvio o le caldarroste nel padellino di rame. Tra i dolci, consigliato è l’Agrumeto a base di semifreddo al mandarino, coulis alle arance, kumquat e agrumi autunnali della tenuta Casa del Nonno 13.
La carta dei vini mette in risalto le gemme vinicole nazionali e internazionali, offrendo una selezione che sposa perfettamente i piatti del menù. In carta anche due proposte, o meglio due percorsi creati da Attianese, “Inverno” e “Mano Libera”, con sette portate a cui abbinare sei vini e un fine pasto, optando per la formula “Oltre”. Continuando con questa lena, la stella perduta potrà essere presto riconquistata.
Casa del Nonno 13 regala una fuga autentica e appagante, invitando i commensali a immergersi nei sapori, nell’essenza e nelle tradizioni che caratterizzano questo particolare territorio della vasta provincia di Salerno. Un luogo in cui l'affezione per la terra si traduce in un banchetto che nutre non solo il corpo ma anche la mente.
Redazione Irno24 27/01/2023
Ilaria Castellaneta di Salerno conquista il titolo di "Pastry Queen 2023"
Grande affermazione a Rimini per la pasticciera salernitana Ilaria Castellaneta, che ha conquistato il campionato mondiale 2023, fregiandosi del titolo di "Pastry Queen 2023". L'evento, a cadenza biennale, si è tenuto il 24 e 25 gennaio nella Dolce Arena del SIGEP, la grande kermesse della riviera romagnola. Castellaneta ha preceduto le rappresentanti del Giappone e dell'India.
Queste le prove della finale: dessert al bicchiere con gelato al caffè espresso, dessert al piatto caldo e freddo al cioccolato e marron glacè, bon bon mignon a forma di anello gioiello al cioccolato, piccola scultura vassoio in cioccolato, torta realizzata con stampo, elaborato artistico in zucchero e pastigliaggio. Presidente di giuria il Maestro Pasticciere Iginio Massari.
Annamaria Parlato 18/10/2025
Pizza senza glutine a Salerno, la rivoluzione inclusiva di Pignalosa
Il 15 ottobre, a Salerno, la pizzeria "Le Parùle" di Giuseppe Pignalosa, a Marina d’Arechi, ha aperto un nuovo capitolo nella sua storia: quello della pizza inclusiva, del buono che accoglie e non esclude. Una serata-evento interamente dedicata al mondo senza glutine, curata insieme al giornalista enogastronomico Alfonso Del Forno, esperto di birra artigianale e alimentazione gluten free, che ha trasformato la propria intolleranza al glutine in un’occasione di ricerca e divulgazione.
“Essere celiaci non significa rinunciare al piacere di un impasto fragrante o di un fritto perfetto – racconta Del Forno – ma imparare a riconoscere chi sa lavorare con consapevolezza e rispetto. Questa serata è un segno di apertura, un invito a condividere la tavola, tutti insieme, senza barriere e con piacevolezza”. Fino a pochi anni fa, per i ristoratori, proporre pizze e piatti senza glutine era una vera impresa. Reperire prodotti di qualità era difficile, spesso ci si affidava a basi industriali o surgelate, lontane dal gusto autentico della tradizione mediterranea.
Oggi, grazie alla ricerca e all’impegno di artigiani come Pignalosa, il senza glutine non è più un compromesso, ma un territorio di sperimentazione che parla di artigianalità e di rispetto per chi vive con un’intolleranza. Dietro un impasto gluten free c’è un equilibrio complesso: al posto delle farine di frumento, si utilizzano miscele studiate con cereali e pseudocereali naturalmente privi di glutine, come riso, mais, sorgo o grano saraceno, a cui si aggiungono amidi di patata o tapioca per dare sofficità e struttura. Per ricreare l’elasticità perduta, indispensabile nella stesura e nella lievitazione, entrano in gioco addensanti naturali come la gomma di xantano o le fibre di psillio, veri alleati di un impasto che deve essere al tempo stesso leggero, digeribile e stabile.
In un ambiente accogliente e riscaldato, pensato per la convivialità, l’esperienza ha preso forma attraverso un percorso degustativo senza compromessi. Il benvenuto ha celebrato la tradizione con un ragù napoletano servito per accompagnare una pagnottella senza glutine del laboratorio salernitano “Pasticceria e Lievitati Arienzo”, fragrante e profumata come il pane di una volta, tutto da "scarpettare". A seguire, un antipasto partenopeo che ha raccontato la Campania più autentica: frittatina di pasta dorata al punto giusto, crocchè con fonduta di provolone del monaco, crocchè al tartufo e focaccia burro e alici di Armatore di Cetara. Ogni morso ha dimostrato che il senza glutine, se ben interpretato, non è una copia, ma un linguaggio gastronomico autonomo, fatto di tecnica e sensibilità.
Il cuore della serata è stato l’impasto. Diverso dal classico, ma non inferiore: più delicato al tatto, con una struttura che esige equilibrio tra umidità e forza, perché privo della rete glutinica che dona elasticità. Eppure, nelle mani di Pignalosa, il disco di pasta gluten free si è trasformato in un esercizio di precisione e gusto, con una cottura che ha restituito leggerezza e profumo. Le pizze servite hanno spaziato dalla Margherita, con il suo equilibrio perfetto tra pomodoro e latticino, alla “Zuccotta”, creazione autunnale con fonduta di zucca, capicollo, fiordilatte, porcini e tarallo sbriciolato, fino a una bianca al tartufo intensa e suadente e al calzone ripieno con la scarola, omaggio alla tradizione salernitana.
Il dessert ha chiuso la degustazione con una caprese bianca morbida e profumata di limone e mandorle, accompagnata da un gelato al caramello; un abbraccio dolce e deciso, in perfetto dialogo con le birre senza glutine del birrificio campano Màgifra di Vitulazio (CE), di cui sono state proposte tre etichette in abbinamento: la Venere, una Session IPA dagli aromi agrumati, la Brat 25, una Belgian Strong Ale complessa e avvolgente, e la Royce, una Porter dalle note tostate e cioccolatose medaglia d'oro alla dodicesima edizione del WGFBA 2025, concorso internazionale dedicato esclusivamente alle birre artigianali senza glutine organizzato in collaborazione con Unionbirrai, nella categoria alta/bassa fermentazione – birre scure.
“Il senza glutine non deve essere un’alternativa, ma un’opportunità per fare meglio, per studiare e per comprendere – spiega Giuseppe Pignalosa –. Questa è la direzione che vogliamo intraprendere: creare un menù inclusivo, dove nessuno si senta ospite, ma parte di una stessa esperienza di gusto. E presto arriverà anche il nostro menu senza lattosio, per ampliare ancora di più il senso di accoglienza che vogliamo trasmettere”. La serata del 15 ottobre si è rivelata agli ospiti e alla stampa di settore un manifesto di cucina contemporanea, dove tecnica e sensibilità sono diventati strumenti di inclusione. A Le Parùle di Marina d’Arechi la pizza non si è limitata a sfidare le regole: le ha riscritte, partendo dal desiderio di far convivere piacere, identità e libertà a tavola.