35 articoli nella categoria Interviste
Anna De Rosa 02/06/2023 0
Ida Baldassarri: disegno astratto e colori forti per comunicare tramite l'arte
Ho conosciuto Ida Baldassarri presso l’Auser Salerno Centro (associazione nazionale per l'invecchiamento attivo), notando subito la sua pittura, una capacità pittorica empirica, un impulso a delineare forme visibili col disegno spontaneo, volgendole con intento narrativo, presto giungendo anche a valore simbolico con l’astrattismo. Il colore è mezzo psicologico per rendere vivente il disegno, renderlo corporeo.
Dove sei nata? Dove vivi?
Sono nata e vivo a Salerno.
Ci racconti un po' di te?
Ho conseguito la maturità magistrale ed ho frequentato il corso di laurea in Pedagogia. Ho vinto il concorso di abilitazione all'insegnamento presto, ed a 21 anni ero titolare di cattedra. Ho insegnato per 40 anni con molto impegno e dedizione, perché amavo trasmettere il sapere a quelle piccole menti desiderose di apprendere. Sono socievole e preferisco stare in compagnia di buoni amici, piuttosto che sola. Ora do priorità alle mie due nipotine, con le quali c'è una particolare empatia.
Come nasce una tua opera? Cos’è per te l’ispirazione?
Mi è sempre piaciuto disegnare, ma poi, nel corso della vita, distratta da altri interessi, non ci ho più pensato. Andata in pensione, dopo un lungo periodo buio e triste, ho iniziato a dipingere, perché mi rilassavo e mi estraniavo dalla realtà. Ho seguito un corso di pittura presso l'Auser Salerno Centro, di cui sono socia, e poi dipingevo spesso a casa, perché lo trovo terapeutico come pure terapeutico è stato per me il gioco del burraco.
Oltre a essere un gioco di carte molto divertente, è anche un'attività sportiva dai molteplici benefici a livello terapeutico. Richiede impegno ed attenzione, fa aumentare la concentrazione e stimola la memoria. È un passatempo che permette di socializzare e di allenare la mente per molte persone di mezza età e più. Curo un corso di burraco presso la sede dell’Auser tutti i lunedì e organizzo tornei. Mi sento utile!
Anche quando dipingo, dopo mi sento gratificata, perché spesso mi piace l'opera che ho creato. Mi ispirano diversi soggetti, che di volta in volta cambiano secondo il mio umore. Preferisco il disegno astratto, che si deve interpretare, e amo i colori forti, definiti. Ho iniziato a partecipare a collettive di pittura e ho avuto riscontro che la mia pittura piace.
Cosa cerchi di comunicare attraverso le tue opere?
Attraverso i miei quadri voglio trasmettere emozioni e comunicazioni.
I riferimenti artistici che ti hanno maggiormente influenzato nel tempo?
Ho provato interesse per Van Gogh, mi piace la forza del suo colore e perché la sua opera è volta all'espressione dei sentimenti. Per Van Gogh pittura e vita sono tutt'uno.
Artisti, galleristi, Istituzioni. Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Penso che nella nostra città bisogna ancora impegnarsi molto, anche se ora vedo che c'è un maggior coinvolgimento nel valorizzare le iniziative inerenti la pittura.
Anna De Rosa 20/05/2023 0
Forme e colori delle stoffe ivoriane si fondono nelle creazioni di Lucia Napoli
La dottoressa Lucia Napoli, oggi creatrice di bigiotteria con stoffe africane, ha lavorato per il Comune di Salerno, prima per le Politiche Sociali, poi è stata Responsabile dell’Archivio comunale, un lavoro che l’ha affascinata e incuriosita, avendo avuto un padre archeologo - Mario Napoli - che è stato un intellettuale a tutto tondo, amico di poeti e artisti.
Mario Napoli fu chiamato nel 1960 a dirigere la Soprintendenza di Salerno. Il suo nome è indissolubilmente legato alla scoperta, nel 1968, della Tomba del Tuffatore, in seguito alle campagne di scavo condotte nell’area di Paestum. Ma del Napoli archeologo si ricorda soprattutto il forte impulso alla ricerca archeologica nell’area di Elea-Velia, che portò alla scoperta della famosa Porta Rosa.
Dove sei nata? Di cosa ti occupi?
Sono nata a Napoli, ma sin da piccola sono venuta vivere a Salerno. Sono una felice pensionata, nel corso della mia esperienza lavorativa mi sono occupata per molti anni di problematiche sociali, per poi essere trasferita ad occuparmi dell’archivio e ho iniziato a dedicarmi alla storia di Salerno. Il mio lavoro mi ha insegnato che creare occasioni di crescita culturale per le persone e i cittadini è un ottimo metodo per prevenire disagi. La cultura serve per far “crescere” le persone.
Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?
E' nato per caso, seguivo mia figlia che, come tutte le ragazze, aveva iniziato a creare bjioux utilizzando vari materiali (cuoi, fimo, alluminio). Poi ha sposato un ragazzo della Costa d’Avorio, è andata a vedere il suo paese ed è tornata con bellissime stoffe. Qui è scattata la scintilla, da allora ho iniziato a creare bjioux, accessori e tante altre cose con le stoffe (cuscini, tavolini, quadri, sciarpe).
Quali abilità hai appreso e quali hai sviluppato, cosa ti caratterizza?
Per la realizzazione delle mie creazioni inizialmente mi sono fatta aiutare da mia figlia, poi ho ripreso ad usare la macchina da cucire lasciata ad impolverarsi per molti anni, e grazie ai miei errori ho migliorato le mie creazioni. Ma la cosa che maggiormente mi caratterizza, nella mia voglia di realizzare oggetti, è trasmettere anche agli altri tutto quello che sto imparando sulla cultura di quei paesi: ho iniziato a studiare il significato delle stoffe, questo è stato anche un modo per potermi avvicinare alla cultura di mio genero.
Come nasce una tua opera? Cos’è per te l’ispirazione?
Quando ho una nuova stoffa mi lascio trasportare dai colori e dalle forme dei disegni per decidere cosa realizzare; un bjioux, un cuscino, una borsa o qualsiasi cosa possa mettere in risalto forme e colori.
Cosa cerchi di comunicare attraverso le tue opere?
Provo a far conoscere un piccolo spaccato della cultura di quelle terre; una delle mie preoccupazioni è di non appropriarmi di una cultura che non è la mia, per cui spesso, principalmente quando accompagno con una didascalia ciò che creo, condivido prima con mio genero. Mi gratifica molto il fatto che qualche cittadino africano riconosca le stoffe e si fermi a parlare con me, apprezzando il modo di approcciarmi al lavoro che svolgo.
Come scegli il soggetto di un tuo lavoro?
E' la stoffa che mi ispira, ma molte volte sono anche le richieste di chi mi segue a suggerirmi cosa realizzare.
Anna De Rosa 30/04/2023 0
Il mare come elemento essenziale dell'opera di Clarita Laureti
Ho conosciuto Clarita Laureti anni fa. La sua arte perché mi piace, mi intriga, mi sorprende con il suo dipingere su superfici grandi per esprimere la sua fede, il suo tormento, la sua gioia, la sua realtà; le sue opere mi trasmettono emozione e meraviglia. I temi di Clarita sono espressione del suo sentire del momento, del suo cavalcare l’emozione che la vista porta nel suo stato d’animo.
Dove sei nata? Dove vivi?
Sono nata a Roma, ma vivo a Salerno da molti anni.
Qual è la tua formazione, che tipo di persona sei, cosa ti caratterizza?
Vengo da studi classici, mi sono laureata presso l’Università di Salerno in Pedagogia, ho preso la seconda laurea in Lettere e Filosofia e mi mancavano 7 esami per la laurea in Lingua e Letteratura straniere, facoltà che ho lasciato per dedicarmi a studi di economia e sono entrata in banca, dove ho lavorato per 40 anni.
Il mio pensiero va verso una vita con valori sani, la mia priorità sono i miei figli e nipoti, cui do rispetto e tutela. Sono una donna poliedrica, sportiva, amo dipingere e fare ceramica. Prediligo ambienti stimolanti, ricchi di novità, mi piace stare con persone estroverse, esuberanti, odio la solitudine; dedico il mio tempo libero alla pittura partecipando a collettive d’arte ed eventi.
Quando e come è iniziato il tuo percorso artistico?
A 12 anni realizzai un pannello a scuola sui quartieri di Roma, riuscì così bene che venni premiata, compresi che l'arte era la mia passione; in realtà già all'asilo, a 3 anni, mi fu riconosciuta la bravura nel disegno quando mi cimentai in un acquarello. E poi ho continuato a dipingere, a interessarmi anche alla ceramica. Sono un po' figlia d'arte perché, da piccola, quando vivevo a Roma, mia zia, una pittrice quotata, mi portava nei salotti d'arte, nei musei e nelle gallerie dove esponeva.
Come nasce una tua opera? Cos'è per te l'ispirazione?
Amo la vita, il contatto con la natura, soprattutto il mare, qui al sud è l'essenza. I miei quadri riportano sempre l'azzurro del mare. Sono appassionata della musica di Beethoven, all'ascolto di tale bellezza mi ispiro e inizia il mio processo creativo. Dipingo volti di donne con sguardi evocativi amore, smarrimento, inseriti in paesaggi della Costiera Amalfitana che mi ha preso l'anima.
Il mare è elemento di riferimento sia nella vita (non a caso mi sono innamorata del mio allenatore di nuoto, che ho sposato in un matrimonio subacqueo) che nell'arte; è il mio focus, il mio soggetto preferito, mi permette di dimenticare le preoccupazioni quotidiane, i dolori, le ferite inferte dalla vita. La mia pittura è estemporanea, proviene da un impulso immediato, i colori predominanti nelle mie tele sono il turchese, l'azzurro e il blu cobalto.
Cosa cerchi di comunicare attraverso le tue opere?
Lascio emozionare chi le guarda, recependo la mia emotività.
I riferimenti artistici e culturali che ti hanno maggiormente influenzato?
Mi piace Botticelli, mi sento vicina alla sua pittura, uno degli artisti che fu simbolo del Rinascimento con la sua splendida Venere, che rappresenta la potenza generatrice della natura. Mi piace anche Leonardo, perché è ossessionato dalla perfezione e dal tentativo di liberare dalla pietra le figure imprigionate. Provo una sensazione di stupore e meraviglia guardando le sue opere. Mi piacciono le sculture di Michelangelo.
Artisti, galleristi, istituzioni. Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?
Credo ci sia ancora molto da lavorare, bisognerebbe coinvolgere non solo grandi città ma anche i piccoli centri e valorizzare l'attività degli artisti in una sana competizione, solo per passione e senza speculazione.
Annamaria Parlato 25/04/2023 0
Viva la vida! Una nuova Frida Khalo nelle tele di Paola Quatrale
Da Baronissi grida appassionate e atti rivoluzionari, quelli di Paola Quatrale, classe '73, moglie, mamma, insegnante di materie umanistiche, esperta di grafica e pittrice, che non hanno trovato barriere e confini ma che si sono diffusi a macchia d’olio per porre in essere una ribellione attenta e pregna di significati subliminali attraverso il progetto "FridⒶM".
Un omaggio su tela che la Quatrale ha voluto dedicare ad uno dei capisaldi dell'arte contemporanea, la pittrice messicana Frida Kahlo, che con la sua arte ha cambiato radicalmente sia la pittura dell’America Latina sia il pensiero socio-politico dagli anni '30 sino ai giorni nostri. I dipinti di Kahlo sono stati un riflesso delle sue esperienze personali, incluso il suo dolore fisico ed emotivo. Ha sofferto di poliomielite da bambina ed è stata coinvolta in un grave incidente d'autobus da adolescente, che l'ha traumatizzata per tutta la vita, causandole atroci sofferenze.
Frida ha saputo mescolare temi tradizionali messicani e stile contemporaneo, contribuendo a dare impulso al ruolo delle donne nel mondo dell'arte. Il suo stile è stato influenzato dalle culture indigene del Messico e dalle correnti artistiche europee, come realismo, simbolismo e surrealismo. Gli autoritratti di Frida Kahlo erano molto più che semplici rappresentazioni di se stessa o del mondo che la circondava. Piuttosto, le sue opere d'arte fungevano da strumento di espressione, un modo per lei di tradurre visivamente i suoi ricordi e le idee complesse che attraversavano la sua mente.
I suoi autoritratti, in particolare, erano carichi di dettagli nascosti e ricchi simbolismi che, una volta scoperti, rivelavano una visione più profonda dell'artista. Uno degli autoritratti più significativi di Kahlo fu “Autoritratto con collana di spine e colibrì”, che secondo alcuni storici dell'arte fu la dimostrazione che la Kahlo fosse resuscitata e avesse iniziato una nuova vita. A riprova di ciò, il colibrì viene sistemato tra i suoi capelli. La collana di spine intorno al collo simboleggiava il dolore che aveva sopportato nella sua vita.
La Quatrale, partendo dalla conoscenza approfondita del “modus pingendi” della Kahlo, ha esibito con la sua mostra una rilettura dei più celebri autoritratti di Frida, mettendo in luce gli aspetti del suo tormentato vissuto dai toni magici e misteriosi ma intrisi di fascino, colore e “verdad”. E se Frida è nata con una rivoluzione, quella del 1910, vediamo invece l’artista Quatrale cosa ha voluto trasmetterci attraverso la sua arte, che è quasi una riconciliazione con il mondo circostante, con le proprie radici, senza abbandonare mai il passato ma con lo sguardo sempre rivolto al futuro. Le opere di Paola Quatrale sono già state esposte a Napoli, Pontecagnano, Pisa e Castiglione del Genovesi.
E' interessante che per la mostra "FridⒶM" tu ti sia ispirata a Frida Kahlo, pittrice, attivista e personaggio di spicco nel panorama culturale latino e successivamente del mondo intero. Perché hai pensato proprio a lei?
Il mio interesse per Frida è nato in modo casuale, ma forse non troppo, era solo in attesa di venire al mondo. Prima di impugnare il pennello e miscelare colori, ho percorso km di sudate carte: ho letto biografie, romanzi, lettere e diari di e su Frida che, immediatamente, mi hanno catapultato nel suo “magico realismo”. Inoltre, attraversando il suo mondo d’immagini, mi sono ritrovata al cospetto di un’icona che ha immortalato, con la sua arte e la sua vita, l’essenza della libertà. Da qui l’idea della mostra e del titolo FRIDⒶM.
Il 17 settembre 1925 è stata per Frida Kahlo una data significativa: sia una tragedia che una rinascita. A te è mai capitato di rinascere dopo una fase della tua vita, non per forza negativa?
Nella vita si muore e si rinasce continuamente. L’incidente a 18 anni fa morire la Kahlo, che si stava preparando a diventare medico, ma farà nascere Frida, l’artista, l’attivista e l’icona che il mondo intero conosce. La “tragedia” recente che mi ha scombinato la vita – come a tutti noi – è stata la pandemia, soprattutto durante il primo lockdown, che mi ha obbligato a fermarmi e riprogrammare il mio tempo, che ho messo immediatamente a disposizione dell’arte, il mio primo amore. Un evento che ha costretto la Quatrale a farsi da parte e lasciare spazio a PQ, come firmo le mie tele.
Nella vita sei insegnante. Ti trovi più a tuo agio a scuola o vestendo i panni dell'artista?
Passare dalla penna ai pennelli è un attimo. Impugno entrambi con la medesima determinazione e abnegazione. In fondo, il verbo “insegnare” si declina sia da dietro una cattedra sia dinanzi a un cavalletto: sono modi diversi per lasciare un “segno”, un privilegio carico di responsabilità.
Sei autodidatta o hai intrapreso un iter formativo e scolastico specifico per quanto riguarda la pittura?
Ho seguito studi artistici fin dall’inizio. Ho iniziato spiando mio padre all’opera, cercando di carpire tecniche e rubando un po’ di materiali (soprattutto pennelli e colori). Alle elementari, la maestra già aveva intuito questa mia sensibilità artistica, insinuando sentimenti e velleità d’artista. Alle medie, poi, la professoressa di arte, che ancora ricordo con molta riconoscenza, mi ha incoraggiato a imboccare questa strada, fornendomi i primi strumenti per percorrerla. Mi ha condannata alla ‘divina maledizione’ dell’Arte.
Alle superiori ho scelto e voluto frequentare studi artistici, cosa che ho perseguito anche all’università: prima dal punto di vista tecnico-pratico, poi critico-teorico, al fine di avere una formazione completa, senza lasciare mai nulla al caso. Ma si sa che il caso regna sovrano nella vita come nell’arte. Per questo sono tanti i maestri che ho incrociato nel mio percorso, fino ad arrivare a me stessa.
Quali sono i tratti salienti della tua pittura?
Ogni progetto ha le sue esigenze tecnico-espressive. In questo momento ho la necessità di esprimere delle emozioni e dei concetti, ed è da ciò che scaturisce poi la tecnica usata. Evito di entrare nei dettagli per non annoiare. Dico solo che, per quanto concerne il progetto, ho utilizzato tecniche e tratti specifici, perché ho voluto fin da subito fare esplodere i colori, quelli del Messico, soprattutto della sua rivoluzione.
Come Frida, la quale ha sempre sostenuto di essere nata non nel 1907 ma nel 1910, anno della rivoluzione (non a caso la prima tela del mio progetto s’intitola "Mexico MCMX"), anche FridⒶm nasce da una sorta di ribellione. Quindi tecniche e colori sono stati utilizzati e piegati al fine di manifestare quest’esigenza. E si sa che ogni rivoluzione, come la libertà, ha i suoi toni forti e tratti decisi.
Anche tu come Frida sei un'attivista nel tuo piccolo: quale messaggio politico pensi di lanciare attraverso la tua arte?
C’è un libro di Vincenzo Trione dal titolo “Artivismo” che può rispondere a questa domanda: ogni gesto artistico è, o dovrebbe essere, una denuncia, un gesto rivoluzionario, un atto di disobbedienza civile. Si parla tanto di cittadinanza attiva, tutti siamo chiamati a contribuire alla tutela del bene comune. Anche l’arte deve fare la sua parte, anzi soprattutto essa deve ‘attivarsi’ per tenere vive e vigili le coscienze. Il professor Trione lo dichiara esplicitamente: «La loro [quella degli artisti] missione è combattere per la verità, per la condivisione, per la libertà». Questo è FridⒶm.
Analizzando le tue opere si evince che FridⒶm è la rivolta delle donne, è la resistenza delle minoranze discriminate e oppresse. Il pensiero vola immediatamente verso le donne ucraine e iraniane che stanno soffrendo terribilmente. Quanto è potente secondo te l'arte in generale e sino a che punto potrebbe influenzare la società affinché si possa porre un freno e una fine a tali scempi?
Ironia della storia: le prime grandi discriminazioni sono state fatte ai danni di una maggioranza, le donne, in fondo anche dei popoli, per tutelare i privilegi di oligarchie maschiliste e tiranniche. Comunque, al di là di maggioranza e minoranza, la mia arte, il mio impegno artistico, prima di tutto sono una rivendicazione dei diritti delle donne, siano esse iraniane, ucraine, afgane, nigeriane e di ogni altra etnia o provenienza. FridⒶm è un modo per manifestare vicinanza e solidarietà a tutte le “mie amate sorelle”, come sosteneva l’attivista giapponese Nakajima Shōen. Oltre a manifestare e denunciare, ho voluto anche raccontare che esistono tutt’oggi società virtuose di stampo matriarcale, che rappresentano la vera alternativa al sistema socio-economico capitalista e maschilista.
Per questo, tutte le mie Frida sono un costante richiamo alle donne tehuane - ho dedicato a esse una serie di tele dal titolo, non a caso, Tehuane - le quali hanno dimostrato che una comunità guidata dalle donne, e basata sul dono e la condivisione, come quella dell’istmo del Tehuantepec, può rappresentare l’alternativa all’imperialismo machista. Non saprei dire quale potere abbia l’arte dinanzi agli orrori delle cronache, se abbia la forza di frenare o addirittura arrestare tali scempi; di una cosa però sono certa: che denunciare, informare e fare emergere verità storico-politiche possa innescare un cambiamento. Il potere è solo nelle “mani” del popolo, dei cittadini, non fra le “dita” dell’arte.
Hai ammesso di aver assorbito il motto di Frida "Viva la Vida": dove trovi tutte le energie per affrontare le difficoltà che la vita quotidianamente mette davanti al nostro cammino?
L’energia che mi ha spinto a ribadire quella frase tanto nota, «Viva la vida», mi arriva direttamente da Frida, che ho cercato di tradurre con le mie opere. Ad esempio, nella tela “Io ho in mente me”, faccio appello a quel sacro ‘egoismo’, premessa necessaria per amare gli altri, partendo da se stessi. Come diceva Frida: «Innamòrati di te, della vita e dopo di chi vuoi». Ma quel vigore scaturisce anche dal dolore e dalla sofferenza di una colonna spezzata, che nella mia tela si trasforma in “Colonna portante”: la sofferenza che diviene forza, resilienza e addirittura supporto.
La sofferenza come “Passione”, un luogo sacro della vita, che ho cercato di dare forma in alcuni ritratti: la “Passione di Frida” e “Santa Frida”. Tale sacralità confluisce nell’opera che chiude il mio progetto, “Viva (la) Frida”, un inno alla vita che vuole essere il manifesto di un essere completo, in armonia con se stesso e con gli altri, in una sorta di perfezione androgina cui allude Platone.
Pensi di continuare a dipingere, magari puntando ad altri progetti futuri da realizzare?
Non è mai l’artista che decide, ma è l’opera che si serve dell’artista quando e se vuole nascere.
Ringraziandoti per la schiettezza e la disponibilità nel rispondermi, chiudiamo con un'ultima domanda: la Quatrale è più Frida o Paola in questo momento?
Prima di tutto, sono io a ringraziare Te, Direttore, per avere dato spazio e voce alle mie Frida e a quello che rappresentano: il diritto/dovere di essere FridⒶm. E ringrazio tutti i lettori del Tuo quotidiano. Chi è la Quatrale? Pirandellianamente, lotto ogni giorno per liberare l’essere dalla prigione di un nome.
Anna De Rosa 10/04/2023 0
Il vissuto che diventa dipinto, l'arte intimista di Anna Ciufo
Il percorso artistico di Anna Ciufo si è arricchito, negli anni, di spunti materici molto evidenti; lo stile, ispirato all’onirico, è preminentemente informale. Le preferenze tematiche sono fortemente orientate all’introspezione e alla reinterpretazione della realtà. Nelle sue opere utilizza l’acrilico, il più delle volte su tela, ma anche su masonite e legno, su cui stende uno strato materico che rende il supporto scabroso, disomogeneo, a volte sconnesso.
Anna Ciufo si è distinta, in qualità di insegnante, per innumerevoli progetti extracurricolari volti alla valorizzazione dell’arte mediante la sensibilizzazione dei bambini all’uso di tali forme espressive, anche e soprattutto attraverso l’esperienza diretta. Ha scritto di arte e letteratura per la rivista online “Lapilli” ed ha curato la presentazione di artisti in cataloghi e mostre; i suoi articoli sono stati pubblicati su note riviste specializzate, le sue opere sono presenti in “Artisti '19” e “Catalogo dell’Arte Moderna”, la sua attività è stata recensita su riviste come “Arte” e “Art Now”, ha realizzato mostre in Italia e all'estero.
Hanno detto di lei: “L’arte di Anna Ciufo spazia dall’espressività della non forma a composizioni dove sono interpretate situazioni di definita connotazione figurale, rivelando un’inquietudine che mira a formalizzare suggestioni di ordine spirituale. Nell’informale, usa una tecnica personale che le permette di creare coinvolgenti tessiture cromatiche, che corrugano la superficie con leggerezza. Il filo conduttore dei suoi lavori è la sua necessità di sperimentare, alla ricerca di nuove soluzioni espressive che siano in grado di trasmettere con efficacia i personali vissuti emotivi” (Paolo Levi).
Dove sei nata? Dove vivi?
Sono nata a Formia e lì ho vissuto per 28 anni. Mi sono poi trasferita a Salerno per esigenze familiari, attualmente vivo a Pellezzano.
Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?
L’interesse per l’arte si è sviluppato in me piuttosto precocemente, intorno ai 13 anni, parallelamente a quello per la poesia. Inizialmente si trattava più che altro di curiosità: sfogliavo libri d’arte ed ero attratta da segni e colori che, nella loro simbiosi, mi comunicavano sensazioni forti, quasi viaggi onirici. Anche la lettura di versi mi forniva strumenti di comunicazione, che la mia timidezza non mi permetteva di utilizzare efficacemente.
Poi, il mio docente di educazione artistica si accorse della mia capacità di esprimermi iconicamente, con originalità e fantasia, per cui mi incoraggiò ad esercitarmi, a seguire quella strada, ad iscrivermi al Liceo Artistico, cosa che mi fu proibita dai miei genitori. Ciononostante, proseguii in tal senso, seguendo la mia passione, con l’aiuto costante del Prof., artista laziale molto conosciuto ed apprezzato, che mi fornì anche l’occasione di realizzare le mie prime piccole mostre.
Che tipo di persona sei? Cosa ti caratterizza? Quali sono i tuoi valori e le tue priorità?
Sono piuttosto riservata e, diversamente da quanto appaia, tendo costantemente a mettermi un po’ troppo in discussione, difetto che qualche volta mi viene in soccorso giacché mi sprona a criticare costruttivamente il mio operato e a migliorare. Una delle doti che tutti mi riconoscono è la lealtà, una trasparenza che non lascia spazio ai compromessi; confesso che questa caratteristica mi inorgoglisce, mi fa sentire in pace con me stessa e con il prossimo.
Essendo un’insegnante, ed avendo una famiglia da seguire, non nascondo che coltivare la passione per la pittura mi è costato non poca fatica; spesso ho dovuto sospenderla per far fronte a impegni a cui dovevo dare necessariamente la priorità, ma ho sempre creduto che la vita non faccia altro che proporci delle scelte davanti alle quali non possiamo tirarci indietro, ed è proprio nel contenuto di quelle scelte che risiedono i miei valori. D’altra parte, quando ho potuto, mi sono esercitata, sempre con impegno, curiosità e col desiderio di sperimentare tecniche diverse: l’incoraggiamento e il contributo professionale del mio Maestro mi hanno permesso di imparare e migliorare, fondendosi con il mio impegno.
Come nasce una tua opera?
Il più delle volte tratto la tela in modo tale che diventi scabrosa, visto che non amo le superfici omogenee; poi la guardo a lungo e, parallelamente, “osservo” la mia interiorità che, inevitabilmente, è stata influenzata, arricchita, agitata da ciò che ho letto, ascoltato o visto nelle ore o nelle giornate precedenti. Lentamente, sulla tela, fra i rilievi e le sgranature, affiora il mio sentire e si materializza. E’ una sorta di travaso: le mie emozioni, i miei pensieri si allontanano da me per fissarsi sulla superficie che ho davanti, ed è in quel momento che mi riconosco, che so di essere ciò che sono, scoprendo il contenuto del messaggio.
Cos’è per te l’ispirazione?
Il desiderio di comunicare prescindendo dal linguaggio comune; le parole, troppo spesso, dimostrano la loro debolezza dinanzi a fatti inenarrabili, tanto gravi, profondi, dolorosi da lasciarci incapaci di esprimerci. E’ così anche nella gioia. Ed è in questi casi che l’arte soccorre e consola, arricchendoci di una punteggiatura, di coniugazioni e paradigmi che mai nessuna sintassi potrà mai offrirci.
Cosa cerchi di comunicare attraverso le tue opere?
Potrei definirmi intimista, sia in poesia che nell’arte iconica. Tutto ciò che dipingo è il mio vissuto, la realtà filtrata dalla mia sensibilità e trasfigurata; sono le mie paure, i miei desideri, i miei stupori, le domande che mi risuonano nella mente, i dubbi esistenziali. Ciò che rappresento sulla tela non è altro che la metafora di tutto questo.
I riferimenti artistici e culturali e gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato?
Tutto ciò che ho visto e vedo durante i miei viaggi, ciò che leggo, i discorsi fatti in famiglia o con gli amici, le mostra visitate, i libri d’arte sfogliati, le notizie ascoltate, uno sguardo incrociato per strada, le bave dei discorsi altrui che mi giungono alle orecchie camminando in un luogo affollato, le luci della notte, il suono del mare sulla battigia. Tutto, nella vita, mi stimola, mi emoziona, mi può dare stimoli, che poi attendo di veder affiorare fra le trame sconnesse della tela.
La mia cifra stilistica, pur essendo intimista, onirica, vagamente surrealista, non è stata influenzata dai molti artisti del passato. che pur ammiro e dinanzi ai quali mi inchino, come Dalì, Magritte, De Chirico, i miei preferiti. Credo di poter affermare che il mio percorso, che inevitabilmente è anche il prodotto di ciò che in loro ho ammirato, non sia stato influenzato da nessuno di essi; è piuttosto l’elaborazione di vari elementi artistici che mi hanno segnata e che si sono trasfigurati in uno stile personale.
Artisti, galleristi, istituzioni. Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?
Penso che ci sia ancora molto da fare, soprattutto nella nostra città. Tranne qualche sporadiche e felici realtà, si coltiva il proprio orticello disdegnando il confronto, che poi è l’unica cosa che fa davvero crescere; le istituzioni, purtroppo, sono interessate ad altro, come se l’arte fosse qualcosa di marginale. I locali che dovrebbero essere messi a disposizione per le mostre d’arte costano molto, tutto è lasciato alla buona volontà e alla costanza di chi si prodiga gratuitamente in tal senso!
Per quanto concerne i galleristi, pochissimi sono quelli che valorizzano l’originalità e le proposte innovative, privilegiando piuttosto opere facilmente commerciabili, per cui spesso si assiste a esposizioni di opere tutte uguali: in questo periodo, il pop rivisitato. Il pubblico è poco partecipativo, se non durante i vernissage. Insomma, la cultura artistica latita, a differenza di altre nazioni, ed è un vero peccato per l’Italia che, della cultura, è stata la vera culla, riconosciuta e apprezzata da tutti.
Anna De Rosa 19/03/2023 0
Il percorso letterario di Belinda Villanova fra poesia e indagini storiche
Ho conosciuto Belinda Villanova anni fa, quando fui invitata ad eventi a cura dell’associazione Daedalus, di cui lei è presidente, e scoprii una donna affascinante e soprattutto una ricercatrice e poetessa. Belinda Villanova è l’autrice delle ricerche storiche alla base della pubblicazione che il Consorzio di Bonifica Destra Sele ha voluto per mettere a fuoco alimentazioni e colture della Piana, dall’inizio del ‘900 ad oggi.
I libri di Belinda Villanova, dottore di ricerca in storia economica, sono numerosi e tutti da leggere per soddisfare le curiosità sul nostro territorio. “Terme e acque termali a Salerno”, “Alimentazione e colture della Piana del Sele”, “La bonifica integrale nella piana del Sarno” sono i titoli di alcuni dei suoi libri.
Dove sei nata? Dove vivi?
Sono nata a Salerno e ci vivo.
Quando e come è cominciato il tuo percorso letterario?
Avevo 12 anni quando ho iniziato a scrivere poesie.
Perché la voglia di scrivere?
Per poter esprimere i miei sentimenti.
Quando hai scritto il tuo primo libro?
A 13 anni dovevo stare a casa per motivi di salute e ho iniziato a scrivere poesie: un libro mai pubblicato!
Come nasce una tua opera?
Da esperienze sentimentali vissute, successivamente lavorando presso l’Università per la ricerca storica del nostro territorio.
Cos’è per te l’ispirazione?
E’ un attimo, una lampadina che si accende e ti fa partire con un progetto che man mano ti appassiona.
Cosa cerchi di comunicare attraverso il tuo scrivere?
Il mio pensiero, lasciare traccia, testimonianza storica delle nostre radici soprattutto per i giovani.
Come scegli il soggetto di un tuo lavoro?
A volte nasce per caso, altre volte vai in archivio e ti ritrovi affascinata da un soggetto che poi vai a ricercare.
Cosa pensi del sistema dell’editoria contemporanea del nostro Paese?
E’ carente, ma non mi sento di parlarne senza avere più informazioni a riguardo. Nella Valle dell’Irno, in particolare, abbiamo piccole realtà pure interessanti. Anni fa pubblicai con la casa editrice locale "IL GRAPPOLO" il mio libro "L’antica civiltà dei mulini ad acqua" che fu portato alla fiera di Torino ed ebbe molta pubblicità.
Progetti futuri?
Tanti, molti interattivi e altre pubblicazioni.
Cosa ti ha lasciato la pandemia?
Oltre la paura, la pandemia è stata esperienza di vita, tempo per riflettere, per dare opportunità ai veri valori come la famiglia. Ci ha dato modo di capire le vere priorità. Quando si vedevano i nonni morire, il mio pensiero andava alla perdita di una fetta di umanità che non poteva essere più testimone. La pandemia mi ha lasciato paura, incertezza del domani, con un bisogno di accelerare e portare a termine in tempi brevi i progetti, ma soprattutto una gran voglia di tranquillità.
Anna De Rosa 05/03/2023 0
Gioia e ricerca del bello nell'attività artistica di Jole Mustaro
Jole Mustaro è nata a Napoli, ma ha origini salernitane, attualmente vive a Salerno nel quartiere Fratte. Fin da piccola, esprime attraverso il disegno l’estro artistico e crea bracciali orientali per le amiche; in seguito, la vena creativa emergerà in maniera preponderante quando realizzerà borse e accessori sia di stoffa che ricamati. Ideatrice di costumi di carnevale e corredi ricamati, ha frequentato, su consiglio del padre, l’Istituto d’Arte ed ha conseguito il diploma di “Maestro d’Arte nel campo della ceramica”.
Vincitrice di numerosi premi di poesia e pittura, ha partecipato a mostre d’arte con successo, presentando quadri e ceramica modellata a mano su tornietta. E’ inserita in diverse antologie d’arte e di poesia. Ha lavorato come educatrice per il recupero di ragazzi con disagi mentali presso una Onlus. Attualmente dipinge su commissione. “Arte passione infinita - dice Jole - che fiorisce ogni giorno nel mio cuore”.
Dove sei nata? Dove vivi?
Sono nata a Napoli perchè la famiglia da Salerno ci si trasferì per motivi di lavoro, per poi ritornare a Salerno per la forte nostalgia di mio padre, anche per la sua fede calcistica. Attualmente vivo Salerno, ma ho vissuto la mia infanzia felice a Napoli.
Quando e come è iniziato il tuo percorso artistico?
A scuola si facevano le cornicette alla prima pagina dei quaderni, io ero brava a realizzarle e mio padre, ammirandole, mi disse "Da grande ti farò frequentare la scuola d’Arte". Orgoglioso di me e dei miei disegni. Infatti, ho frequentato l’Istituto Statale d’Arte con indirizzo ceramica, però la mia intenzione era di frequentare il Liceo Artistico, ma quando mio padre mi accompagnò per fare l’iscrizione vide un viavai di studenti nell’androne, forse era il cambio di aule o forse un'assemblea, e lo interpretò come confusione e poco studio e mi portò via.
Mi portò di corsa a fare l’iscrizione a Mercatello, dove c'era l’Istituto d’Arte. E lì c'era silenzio, coi ragazzi in aula a fare lezione, e mi iscrisse. Io volevo disegnare, dipingere e mi sono ritrovata a fare ceramica, MAESTRO D’ARTE nel campo della CERAMICA applicata, sul mio diploma c’è scritto così! Ma ho sempre realizzato quadri senza tralasciare la ceramica.
Poi nel tempo ho iniziato a frequentare associazioni artistiche e socio culturali, come poetessa, declamando i miei versi, poi ho cominciato a portare anche i miei quadri. Uno dei miei primi quadri, nel 2004, lo dedicai a mio figlio, fu esposto presso il Comune di Bellizzi, durante un evento organizzato dall’associazione "Bellizzi Arte e Società" in cui rivestivo il ruolo di socia/segretaria.
Quella sera, tra i relatori, c’era la critica d’Arte Maria Pina Cirillo, che mi incoraggiò parlando della mia opera e da allora ho continuato con passione a partecipare a collettive d’arte. Poi ho incontrato la curatrice di eventi Anna De Rosa e partecipo con i miei quadri a ogni suo evento in luoghi storici della città: Palazzo Genovese, Arco Catalano, Palazzo della Provincia.
Cosa ti caratterizza, quali sono i tuoi valori e le tue priorità?
Sono una persona che ama fare tutte le cose normali di questo mondo: gioisco quando viaggio, quando cucino, quando creo un nuovo quadro, una nuova poesia! Sono serena, vivere in una famiglia numerosa è allegria ogni giorno. Ho avuto un bravo padre lavoratore, intelligente, che ci aiutava a fare i compiti. Trascorrevamo l’estate al mare ed io sono rimasta solare, come l’estate nelle pubblicità. CERCO SEMPRE IL BELLO IN TUTTO.
La timidezza di quando ero bambina mi è servita per osservare, mi ha fatto sviluppare l’empatia, la sensibilità; cerco sempre di sdrammatizzare, ma sono determinata nell’affrontare le difficoltà. La mia priorità è mio figlio, a cui ho dedicato il mio primo quadro, poi le persone a me care e poi l’Arte.
Come nasce una tua opera?
Dal vissuto della mia infanzia e adolescenza felice, prendo materiale nel mio bagaglio interiore. Dipingo la sera e mi capita di fare le ore piccole, mi immergo nella pittura, nel mio mondo, io e la pittura, è puro relax, dipingo 6/7 ore di seguito. Dipingere per me è una forma sublime per esprimere il mio stato d’animo, una vera coccola a me stessa.
Cos'è per te l’ispirazione? Come scegli il soggetto di un tuo lavoro?
L’ispirazione di un’opera nasce dalla bellezza che ci circonda, dai colori della bouganville che crescevano nel parco dove vivevo, insieme alle ortensie, il verde dei prati; il soggetto è l’ispirazione del momento.
I riferimenti artistici che ti hanno maggiormente influenzato nel corso del tempo?
Sono legati allo studio dei grandi maestri del passato, ma poi predomina il proprio estro, la propria visione, la propria esperienza pittorica. Leggo le biografie dei grandi artisti, amo Leonardo, Raffaello, Hayez, Cezanne, Renoir, Kandisky, Frida, Artemisia, ma soprattutto Caravaggio.
Artisti, galleristi, Istituzioni. Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?
Per quanto riguarda i colleghi e colleghe artisti, vedo in tutti entusiasmo, impegno, dipingono da anni. Nota dolente è che per partecipare alle Biennali, ai concorsi, alle gallerie, ci sono spese esose che non possiamo permetterci. Riconosco che è il loro mestiere, ma poi il guadagno è solo loro, noi artisti difficilmente riusciamo a vendere. Sarà forse il nostro territorio?
Anna De Rosa 18/12/2022 0
La "spericolata" creatività di Giuliano Napoli, trasformista della materia
Non è facile intervistare Giuliano Napoli, non è facile inquadrarlo in un solo settore. E' un creativo spericolato, crea opere incredibili con tecnica di riciclo di vari materiali, con infinite sperimentazioni. E' un visionario dalla percezione veloce ed alterata, incoerente e incostante, con una grande capacità di razionalizzare tutto questo. Napoli è un artista dalla creatività vivace ed empirica, che spazia e sperimenta; un trasformista della materia, ricicla tutto ciò che non serve e gli dà nuova vita.
Quando non è assorbito dal suo lavoro, raccoglie i rifiuti e li trasforma in opere d’arte ecologiche e innovative. Le sue opere si trasformano in installazioni che hanno per base di appoggio tronchi recuperati ovunque, soprattutto sulle spiagge, con giochi di luci e suoni.
Dove sei nato? Dove vivi?
Sono nato a Salerno, per un lungo periodo della mia vita ho vissuto a Roma, dove ho lavorato come clown nei reparti pediatrici e oncologici di diversi ospedali; girando un po' per l'Europa, ho portato avanti un progetto di ricerca artistica sul mondo del clown. Da qualche anno sono rientrato a Salerno e poi mi sono trasferito a Eboli, per stare vicino alla famiglia, mantenendomi però saldamente ancorato al mondo artistico del territorio salernitano.
Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?
Ho memoria di me da piccolo pronto a cantare, recitare, creare in ogni momento di ogni giorno. Poi, da grande, la mia ricerca artistica mi ha portato a fare un viaggio molto intimo sul mondo teatrale del clown, portandomi a creare spettacoli che ho portato in giro in teatro, ma in particolar modo nelle scuole di Roma, legando gli spettacoli ad un progetto di educazione alla salute e alla solidarietà.
Quando non ero nelle scuole, facevo clownterapia negli ospedali di Roma, in sinergia con le politiche sociali di Roma e con l'Università LA SAPIENZA, come docente per la Formazione di operatori sociali; nel 2004 ho anche fondato l'associazione RIDERE PER VIVERE, portando per la prima volta in Campania la comicoterapia negli ospedali napoletani Santobono e San Paolo e in quello di Mercato San Severino.
Dal 2016, la mia creatività si è spostata su una ricerca artistica completamente diversa. Ho cominciato a creare opere come denuncia di una società legata agli sprechi. Attraverso le mie opere, che uso come specchio di un mondo sempre più legato al consumismo, creo foto, video e installazioni. Realizzo le mie opere con tecniche di aggregazione di materiali di riciclo, fondendoli in installazioni cromatiche che prendono vita grazie a giochi di luci, mostrando allo spettatore universi materici, plastici, significativi secondo il tema trattato, quindi foto, luci, riciclo, rielaborazioni, musica, video e altro per esprimere l'anima del gesto creativo.
Come nasce una tua opera? Cos’è per te l’ispirazione?
L’unica costante è il saper guardare e ascoltare. Quando ho un’ispirazione, a volte è come un “fermo immagine”, un blocco momentaneo dello scorrere quotidiano, il più delle volte è un semplice inciampare su ostacoli non percepibili. Mi piace perdermi tra e nelle cose che normalmente accadono, rinnovando un’attenzione muta, come un dono, un regalo inatteso, un’immagine che ti si spacchetta nella mente, ora, per un attimo.
I riferimenti artistici e culturali che ti hanno maggiormente influenzato?
Il mio percorso artistico è anomalo. Io non ho studiato arte, ma l'ho incontrata in un momento particolare della mia vita. È stata un forte àncora alla realtà. Ho cominciato a fare sperimentazione perché diversamente il periodo che attraversavo mi avrebbe condotto lungo percorsi difficili. E allora ho riempito la vita di cose che mi davano piacere.
Poi ho scoperto che le persone che assistevano alle mie sperimentazioni vivevano con me quel rito di sospensione creativo, e da loro avevo dei ritorni che mi facevano scoprire artisti ai quali potevo fare riferimento per quello che sembrava delinearsi come mio percorso artistico. È cosi che ho scoperto Alberto Burri. Mi piace pensare che un soffio di vento abbia tenuto sospeso nel tempo un po' del suo mondo interiore, e che per caso mi sia entrato nel cuore, facendomi sentire quello che provo quando creo una mia opera.
Artisti, galleristi, Istituzioni. Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?
In Italia il mondo dell'arte non è considerato come andrebbe fatto. Come dicevo prima, nel mio percorso di vita ho fatto una ricerca teatrale sul clown. Questo percorso l'ho condotto a Berlino. Un'esperienza utopistica in Italia, se consideriamo che a Berlino lo stato ci ha messo a disposizione un teatro per creare, un sostegno economico, e ogni sera avevamo un pubblico che pagava il biglietto semplicemente per sostenerci: veniva a vedere cosa era stato creato durante il giorno e ci dava dei riscontri su ciò che teatralmente funzionava ed era comico. Un modo completamente diverso di fare arte. Artista e pubblico che diventano un insieme nel condividere un percorso.
Cosa ti ha lasciato la pandemia?
Per fortuna ho trovato un lavoro che mi occupa tanto tempo, ma il richiamo dell’arte è sempre forte e appena ho occasione sono presente ad eventi con performance di fotografia e altro.
Progetti futuri?
Il sogno di recuperare un paese fantasma e trasformarlo in un luogo di rinascita attraverso l'arte, per tutti quelle persone che purtroppo in un momento della loro vita hanno incontrato dipendenze di ogni genere.
Anna De Rosa 04/12/2022 0
Arte come passione e professione nel lungo percorso di Maria Pina Cirillo
La salernitana Maria Pina Cirillo, critico d'arte e di letteratura, si interessa di arte iconica e critica letteraria dal 1992 e, da sempre, di storia delle tradizioni popolari. Psicologa dell’arte, ha condotto approfonditi studi e ricerche, sviluppando interessanti teorie di lettura del rapporto autore-opera-fruitore. Curatrice di importanti manifestazioni culturali, ha partecipato, in qualità di organizzatrice, consulente e/o relatore, a numerosi eventi e trasmissioni radiofoniche e/o televisive, pubblicando articoli su riviste specializzate.
Il tuo primo contatto con l’arte? Cos’è per te l’arte?
Il mio primo contatto con l'arte iconica è avvenuto molto presto, quando, a 4-5 anni, ho potuto ammirare le opere di arte sacra nelle chiese napoletane che mio padre, innamorato della città in cui aveva studiato, mi ha portato a conoscere. Un momento di intensa emozione, che ancora conservo nel cuore. Per quanto riguarda, invece, il ricordo di un'artista al lavoro, mi è rimasta l'immagine di Andrea Celano, un pittore, scultore, ceramista, amico di famiglia, che andavamo a trovare nel suo studio/atelier. Per me l'arte è bellezza, armonia ma, soprattutto, libertà espressiva, voglia e capacità di comunicare, di approfondire il rapporto con se stessi e gli altri.
Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata una professione?
Ho iniziato a pensare all'arte non soltanto come momento di benessere, ma come qualcosa da condividere con gli altri, quando mi sono resa conto che fare o fruire arte migliorava la qualità della vita. Pur avendo affrontato il mondo della letteratura molto presto (a 16 anni ho scritto la mia prima recensione sulla sezione Mediterraneo di Montale e poi, qualche anno dopo, nella mia tesi, ho trattato la produzione poetica di Edoardo Sanguineti), ho, però, iniziato "ufficialmente" come critica d'arte solo nel 1992/93, quando ho fondato il Circolo Culturale "Athena", di cui sono presidente.
Da allora, spesso in sintonia con altre associazioni sul territorio, ho proposto mostre, conferenze, convegni. Particolarmente importanti sono stati i concorsi nazionali ed internazionali di fiabe, favole e racconti (Premio letterario "Elisabetta Casuccio") e di fotografia per i diritti degli animali (Premio "Amici di Petrosino"), entrambi svoltisi nelle bellissime sale del Palazzo di Provincia, che hanno fatto registrare un elevatissimo numero di partecipanti e una folta e qualificata presenza di pubblico.
Come scegli i progetti o gli artisti da seguire?
Mi faccio guidare sia da fattori razionali che emozionali. Devo, infatti, essere interessata al progetto, condividerne la visione e gli scopi, riconoscerne la validità. Relativamente alla scelta degli artisti da proporre o recensire, mi interessano sia le scelte stilistiche e tematiche che la personalità perchè, facendo psicanalisi dell'arte, ciò che mi colpisce è il rapporto tra il lato umano, quello culturale e quello artistico, che coinvolge non soltanto l'autore ma anche i fruitori.
Un aneddoto nella tua esperienza che ricordi con il sorriso e uno con disappunto
Un ricordo particolarmente gradevole è legato ad una delle prime manifestazioni da me organizzate. A Salerno, nella sede del Centro Artisti Salernitani, in via Mercanti, ho curato e presentato la collettiva d'arte "Nugae", articolata in due momenti. Una prima parte "tradizionale", con l'esposizione, per una settimana, di dipinti e fotografie di diversi artisti, alcuni famosi, altri emergenti, ed una seconda fase, di un solo giorno, con un evento apparentemente classico ma, in realtà, molto ironico e anche abbastanza provocatorio.
In questo secondo segmento, ho esposto creazioni fuori degli schemi ed ho preparato quattro recensioni, da stampare ed appendere alle pareti, quale esplicazione delle opere in mostra. In realtà si trattava di pezzi che non avevano alcun senso logico: il primo era un'accozzaglia di paroloni che parodiavano le recensioni ampollose di alcuni noti critici d'arte che, evidentemente, ritenevano di essere considerati tanto più importanti quanto più le loro parole fossero state di difficile comprensione.
Il secondo era in un inglese che non aveva alcun senso, così come il terzo, scritto in un latino maccheronico decisamente "out". Infine, nella quarta scheda, le parole erano formate da lettere greche semplicemente accostate le une alle altre, che creavano vocaboli inesistenti. La serata era completata da una relazione sulla storia dell'arte di due famosi critici (in realtà due persone che impersonavano dei critici ed esponevano, con passione, teorie strampalate). Il risultato più incredibile, che in realtà speravamo di ottenere, è stata l'attenzione di una fetta di spettatori che ha creduto si trattasse di discorsi seri e che ha letto con attenzione le finte recensioni, commentandole variamente.
Un evento che ricordo con disappunto è, invece, una collettiva in cui era inserita l'opera di una giovane artista, forse troppo piena di sé. In quell'occasione, si decise di mettere di fronte alla porta d'ingresso una tela particolarmente interessante, capace di attrarre i visitatori, invogliandoli ad entrare, con vantaggio per tutti. Gli artisti furono d'accordo, tranne la ragazza, la cui tela, tra l'altro, era in una posizione strategica. Così, mentre ero impegnata ad organizzare la presentazione, lei e il fratello, girando tra i vari gruppetti che stazionavano nella sala, iniziarono a parlare di evidente favoritismo.
Avvisata dagli altri artisti, ho aperto la manifestazione ricordando che la nostra associazione si basava sull'amicizia e sulla stima reciproca, e che nell'allestire una mostra è importante considerare il risultato finale ed è perciò necessario tenere conto della grandezza delle tele, dell'impatto visivo e del rapporto con le altre creazioni. In ogni caso, si invitava chi si fosse ritenuto danneggiato dall'allestimento a parlarne in privato, esponendo le sue perplessità. In trent'anni di manifestazioni ed eventi non si è mai ripetuto un episodio del genere.
Se potessi incontrare un artista del passato tuo preferito e uno del presente cosa gli chiederesti?
Se potessi incontrare un artista del passato sceglierei sicuramente Sandro Botticelli, le cui opere mi comunicano un grande piacere estetico, emozionale ed intellettuale. Non credo farei domande, in quanto sarei troppo emozionata e, soprattutto, interessata ad osservarlo mentre crea le sue splendide opere, e ad ammirare le sue figure femminili, così attuali nonostante la non piccola distanza temporale.
Tra gli artisti contemporanei, deciderei di avere una conversazione con Banksy, lo street artist certamente più noto al mondo, anche grazie alla monumentale spettacolarità delle sue opere. Mi piacerebbe sapere come coniuga le sue scelte stilistiche, non esenti da icone reiterabili e facilmente riconoscibili, con l'idea di creazione artistica come elemento inimitabile, la cui valenza è data proprio dalla sua unicità, e quanto questo significhi tendere ad un'arte seriale.
Vorrei anche discutere dello scardinamento del mercato della mediazione, che potrebbe diventare un'importante scelta per molti artisti che, in tal modo, si affrancherebbero dalla dipendenza dalle gallerie, con un'indiscutibile equivalente ricaduta economica, ma certo farebbe mancare una visione terza dell'opera, che si ritroverebbe stretta tra l'intenzione comunicativa del suo creatore e la libera interpretazione del suo fruitore, non sempre in possesso degli strumenti necessari ad una corretta decodifica e all'arricchimento dei messaggi dell'opera stessa. Mi piacerebbe anche sapere come si possa coniugare la volontà di ottimizzare al massimo il profitto economico del proprio lavoro con la volontà di comunicare messaggi sociali e politici.
Quanto conta la comunicazione nell'arte?
La comunicazione nell'arte è fondamentale, soprattutto in tempi in cui l'uso dei mass media è così massiccio e pervasivo. Infatti, se un tempo la fruizione dell'arte era appannaggio di pochi, l'accesso alla cultura e, in tempi recentissimi, ai social di un numero sempre crescente di persone, l'ha resa più popolare ma, nello stesso tempo, anche maggiormente dipendente da un'efficace strategia comunicativa. Promuovere un evento artistico, diffondere efficacemente la notizia, renderlo "di moda" diventa, in tal modo, un momento centrale e contribuisce al successo dell'iniziativa ed alla popolarità dell'artista.
Come hai vissuto la pandemia? Cosa ti ha lasciato?
Per quanto mi riguarda, soltanto i primi tre mesi sono stati davvero espressione di un tempo sospeso, non soltanto per l'assenza dei rapporti umani, ma anche per il senso di incertezza che li ha dominati. Ho vissuto, invece, diversamente gli altri mesi di questi due anni fuori dal comune. Ne ho infatti approfittato per portare a termine tante cose che non avevo il tempo di fare e, non appena possibile e secondo tutte le regole, ho curato mostre e partecipato comunque ad eventi culturali.
Ciò che mi ha colpito di più in tale periodo è stata la rinuncia totale di tante persone a vivere, sia pure in situazioni di massima sicurezza, anche i piccoli momenti di socialità. Al termine di questa esperienza ho, innanzitutto, apprezzato di più la quotidianità con i suoi piccoli riti e le cose di ogni giorno. Inoltre, credo di essere diventata più forte, più determinata e più attenta agli altri.
Tuoi prossimi progetti?
In futuro vorrei dedicare più tempo alle cose che mi interessano ed alle persone che mi circondano. Culturalmente parlando, continuerò ad occuparmi di arte e letteratura, intensificando la partecipazione a convegni nazionali ed internazionali; ad esempio in Spagna, a Salamanca, per parlare del rapporto tra le tradizioni siciliane presenti nelle opere di Verga e usi e costumi corrispondenti nel Cilento antico. Ho anche in programma la curatela di alcune mostre con il Cilentofest, di un evento a Carrara e di una manifestazione ia Nocera. Dedicherò anche tempo ed energie alla didattica dell'arte, quale momento ineludibile per una crescita armoniosa ed integrale dei ragazzi.
Anna De Rosa 22/11/2022 0
Lo spirito creativo di Giovanna Avallone fra libertà, essenzialità e fantasia
Giovanna Avallone è una persona speciale, soprattutto per la sua natura libera, libera da tutto; fosse stata uomo, magari ora sarebbe una rockstar in tournée per il mondo. Questo è il suo essere libero e creativo, amante della natura con full immersion in lunghe camminate a piedi, con bagaglio l'essenzialità.
Bella donna, colta, disinvolta, potrebbe essere snob e chiedere la luna, ma a lei basta il mare e raccogliere sulle sue spiagge conchiglie e sassi preziosi, stravolgendo, in preda ad attacchi di creatività, l'habitat della sua casa, i cui poveri mobili, rigorosamente riciclati, implorano un posto definitivo per non scollarsi e scrostarsi. E sul muro blu del soggiorno ha dipinto l'albero della vita: in bianco, senza radici, ma ricco di rami che vanno lontano.
Per appagare il suo bisogno di camminare, ha creato il progetto "Due donne due mari", nell'ambito del quale, con altre donne, compie la traversata a piedi dal Tirreno all'Adriatico o allo Ionio, prossimamente al Mediterraneo, senza soldi. Come nel programma tv "Pechino Express", ma lei porta un messaggio contro tutte le violenze. "Le intermittenze dei cuori" è il titolo del suo libro. Giovanna prende a schiaffi e scuote il lettore con un inizio "monotono", ben rappresentativo della quotidianità vissuta dalle donne, come vuole un sistema patriarcale che fa leva sul bisogno di amore, di accudimento, che si dice sia nel DNA femminile: una mamma che cucina, porta le figlie a scuola; la sentite la monotonia?
Ma poi ecco scoprire che la protagonista, Nina, ha tante passioni, tanti amici, ama la natura e gli animali, la matematica, la fantascienza. Ha avuto amori importanti e delusioni, dubbi e incertezze. Ed ecco che un bel giorno Nina scompare, all'inizio si pensa al bisogno di staccare la spina dalla routine, una pausa volontaria con fuga breve. Poi amici e famiglia si rivolgono ai Carabinieri. Man mano, il mistero si infittisce e si riempe di colpi di scena, con gli amici che la cercano nei suoi luoghi, i boschi, e tante sorprese svolgono la matassa. Vite parallele, non svelo altro.
Dove sei nata? Dove vivi?
Sono nata a Vietri, abito a Cologna di Pellezzano ma vivo pienamente la città di Salerno.
Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?
Come tutti i creativi, ho iniziato fin da piccola, conservo ancora un quadretto realizzato alle elementari.
Perché la voglia di scrivere e dipingere?
Leggere, scrivere, dipingere e decorare mi fanno viaggiare con la fantasia, perché nella realtà non è sempre possibile.
Come nasce una tua opera? Cos’è per te l’ispirazione?
Soprattutto dalla natura in cui amo immergermi, adoro camminare per ore e ore. Amo il mare e tutto ciò mi ispira creativamente.
Cosa cerchi di comunicare attraverso il tuo scrivere?
La vita non è solo ciò che sta intorno a noi, nel nostro orto, è anche oltre.
Come scegli il soggetto di un tuo lavoro?
In modo istintivo, nell'emozione che ricevo.
Cosa pensi del sistema dell’editoria contemporanea del nostro Paese?
Purtroppo non si dà merito al prodotto, vengono stampate opere a spese degli stessi autori. I concorsi, i premi sono già assegnati senza una vera apertura ai nuovi autori. Ho nel cassetto un testo di fantascienza, un editore mi ha stampato un'unica copia.
Come hai vissuto la pandemia?
Vivendo vicino a un bosco, con la mia famiglia e i miei cani, ho fatto lunghe passeggiate all'aperto. Caricandomi di energia per poter affrontare la chiusura di tutto, ho realizzato varie opere, dal dipingere su tele a decorare pietre e bottiglie; soprattutto ho realizzato un murale sulla parete del mio soggiorno, un albero bianco su fondale blu notte.
Progetti futuri?
Vivo la vita giorno per giorno. Famiglia, animali, natura, hobby, tanta creatività, organizzando eventi contro la violenza di genere e contro il bullismo con l’associazione "FELICITA", di cui sono presidente; attualmente, con soci e amici, sto realizzando un evento sulla prevenzione oncologica per il 16 dicembre, con una bella mostra di fotografie, video. E un calendario 2023, con apericena, "NUDI PER LA VITA" .