Casta e pudica, la Santa Rosa è nata in un convento ma poi si è evoluta
Ha conquistato i pasticcieri campani che l’hanno trasformata in riccia, frolla e coda d’aragosta
Annamaria Parlato 30/08/2022 0
Tra Amalfi e Positano, mmiez'e sciure
nce steva nu convent'e clausura.
Madre Clotilde, suora cuciniera
pregava d'a matina fin'a sera;
ma quanno propio lle veneva 'a voglia
priparava doie strat'e pasta sfoglia.
Uno'o metteva ncoppa, e l'ato a sotta,
e po' lle mbuttunava c'a ricotta,
cu ll'ove, c'a vaniglia e ch'e scurzette.
Eh, tutta chesta robba nce mettette!
Stu dolce era na' cosa favolosa:
o mettetteno nomme santarosa,
e'o vennettene a tutte 'e cuntadine
ca zappavan 'a terra llà vicine.
A gente ne parlava, e chiane chiane
giungett'e' recchie d'e napulitane.
Pintauro, ca faceva 'o cantiniere,
p'ammore sujo fernette pasticciere.
A Toledo nascette 'a sfogliatella:
senz’amarena era chiù bona e bella!
'E sfogliatelle frolle, o chelle ricce
da Attanasio, Pintauro o Caflisce,
addò t'e magne, fanno arrecrià.
So' sempe na delizia, na bontà!
Quando si parla di sfogliatella Santa Rosa, l’immaginazione è forte e subito balzano alla mente scene di monache dai lunghi abiti candidi, con i copricapi neri, che gioiose e rubiconde preparano dolci in segreto nell’antica cucina settecentesca del monastero sospeso sul mare, in quel di Conca dei Marini in Costiera Amalfitana, patrimonio Unesco, un luogo magico dove il tempo sembra essersi fermato.
Leggende e aneddoti vari si mescolano ai pochi documenti d’archivio esistenti e ai testi di storici locali, tanto da creare attorno alla fama di questo dolce un’aura di mistero. Il dolce comunque si sa che nacque per sbaglio, grazie alla genialità di una suora addetta alla cucina, che per evitare gli sprechi di cibo, mentre impastava del pane, decise di dar vita con gli avanzi di quest’ultimo ad una sfoglia ripiena delle cose che il monastero produceva: frutta, liquori, strutto.
Adagiò quindi sulla “pettola”, rimpastata con sugna e vino bianco, della frutta secca rigenerata in liquore agli agrumi, probabilmente limoni, della semola cotta nel latte e zucchero. Ricoprì il tutto con una seconda “pettola” e richiuse, dando la tipica forma a cappuccio, triangolare ma con l’estremità più allungata. Il dolce infatti è conosciuto anche con l’appellativo di “monachina”. Alla madre superiora piacque tanto e ordinò subito che venissero prodotte in grande quantità e vendute ai contadini attraverso una ruota, come forma di sostentamento per il convento, in cambio di alcune monete.
La Santa Rosa ebbe subito una larga diffusione fino a quando, nel XIX secolo, il napoletano Pasquale Pintauro riuscì a procurarsi la ricetta segreta grazie ad una monaca, forse sua zia, portandola nella sua osteria a Via Toledo, che trasformò in secondo momento in laboratorio-pasticceria. Cambiando leggermente la forma e gli ingredienti, fece nascere la sfogliatella sia nella variante riccia che frolla, con un ripieno di semola, ricotta, canditi, latte, uova e zucchero.
Oggi la Santa Rosa si presenta nella sua veste contemporanea, ma tradizionale, attraverso un croccante involucro di sfoglie sovrapposte a strati fittissimi e un ripieno di ricotta, semolino, canditi, uova, aromi, spezie e all’esterno una corona di crema pasticciera con amarene intere e zucchero a velo.
Il convento o conservatorio domenicano di Santa Rosa de Lima fu edificato nella seconda metà del XVII secolo (1681). Ristrutturato secondo criteri conservativi e con rispetto filologico, dal 2012 è un Boutique Hotel di lusso con Spa e ristorante annesso, alla cui guida c’è lo chef stellato Alfonso Crescenzo. Fu costruito ad opera di Sorella Rosa Pandolfi, della nobile famiglia Pontone della Scala, che si stabilì a Conca e a cui fu regalata la Chiesa di Santa Maria di Grado, che essendo quasi in rovina fu ampliata attraverso la realizzazione di un monastero, per ospitare le altre consorelle.
In questa chiesa si conserva una preziosissima reliquia detta “Capo di San Barnaba”, una delle più importanti in Costiera. Nel corso degli anni le suore sostennero la popolazione locale attraverso la realizzazione di un acquedotto per portare l’acqua corrente in Piazza Olmo. Misero a disposizione anche le loro conoscenze farmaceutiche per la preparazione di medicinali utili a combattere le malattie più comuni. Poi, con le leggi di soppressione degli ordini monastici, nel 1866 la casa religiosa fu destinata a scomparire e le ultime suore restarono lì fino alla loro morte.
Venne in seguito acquistato da un imprenditore romano e trasformato in albergo nel 1924. Infine, dopo la morte di PierLuigi Caterina, ultimo proprietario, l’immobile è stato rilevato dall’ereditiera statunitense Bianca Sharma, che lo ha recuperato con enorme sensibilità, conservando la sua forte identità storica.
Questa sfogliatella si presentava anticamente con un delicato e friabile involucro di pasta frolla lavorata con lo strutto, molto in voga nel XVIII secolo per racchiudere anche pietanze salate, ed ospitava al suo interno della ricotta vaccina dei Monti Lattari, semola, cannella, scorzette di arancia candita o frutta proveniente dall'orto delle monache e rosolio ottenuto dall’infusione di limone, arancia e una parte di liquore.
Un pasticcere napoletano in epoca più moderna pensò bene di utilizzare lo stesso “scheletro” della sfogliatella Santa Rosa, ma variandone la forma e il ripieno. Oggi, nelle pasticcerie salernitane e non solo, è possibile trovare anche la coda d’aragosta o apollino, il cui ripieno è costituito da panna, crema chantilly o crema al cioccolato. Il cavaliere Romolo Mazza fu pioniere a Salerno nella produzione di code d’aragosta, che sono poi diventate fiore all’occhiello della pasticceria gestita attualmente da sua moglie e dai suoi figli.
La Santa Rosa può essere abbinata per quanto riguarda il beverage a un passito di Primitivo o di Falanghina per gli amanti dei vini. Invece, per una scelta più trendy potrebbe sposarsi alla perfezione l’accostamento di una birra artigianale fruttata come una lambic alla frutta, una stout, una Witbier, una Porter, una Weizen, una Ale invernale o speziata.
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Annamaria Parlato 12/09/2021
Metti una sera a cena in quel di Montoro a Casa Barbato: musica Maestro!
I profumi della campagna montorese tipici dell’estate settembrina, la falce di luna, le stelle argentate e l’ottima gastronomia di Casa Barbato. Con queste premesse, martedì 7 settembre alle ore 20 si è tenuto un evento enogastronomico singolare e ricercato proprio nella dimora della Ramata di proprietà dei Barbato, che da anni si battono per la valorizzazione e promozione dei prodotti agricoli territoriali attraverso iter certificati e tracciabili nel rispetto dell'ambiente.
Ospiti d’eccezione della serata, moderata in maniera impeccabile dal giornalista Annibale Discepolo de Il Mattino di Avellino, oltre alla stampa di settore il maestro Beppe Vessicchio, volto storico del Festival di Sanremo, e il Dott. Michele Scognamiglio, specialista in Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Clinica. L’incontro, fortemente voluto ed organizzato da Nicola Barbato, è stato il pretesto per poter discutere con l’esperto nutrizionista delle proprietà salutistiche della cipolla ramata di Montoro nell’ambito di una corretta alimentazione.
Il maestro Vessicchio ha intavolato un discorso da esperto gastronomo sulle antiche ricette che avevano ingrediente principale la cipolla, come la famosa “genovese”. Vessicchio, produttore del vino ReBarba, un Barbera d’Asti affinato con la tecnica dell’armonizzazione musicale, ricordava quando tempi addietro la genovese “pippiava” come il ragù sul focolare domestico per ore se non giornate intere. Il risultato che ne derivava era la cremosità rigorosa dell’intingolo che si mescolava agli ziti o alle candele spezzate a mano e ai pezzettoni di carne succulenta.
Discepolo ha dichiarato: "Due momenti di grande suggestione, divertimento, un modo nuovo di fare cultura attraverso esperienza e professionalità dei relatori Vessicchio e Scognamiglio, che si sono presentati con apparente leggerezza, usando un linguaggio familiare ed amicale, confidenziale, che inevitabilmente ha suscitato interesse ed affascinato e che martedì ne ha dato ampia contezza nel locale della famiglia Barbato in un viaggio emozionale ed emozionante".
Tra un intermezzo e l’altro, gli ospiti e i giornalisti presenti hanno avuto modo di assaggiare un menù a base di cipolla e delle pietanze più rappresentative del menù estivo dell’agriristorante guidato dallo chef Rinaldo Ippolito, come gli sfiziosi antipasti a base di verdure firmate GB Agricola (le zucchine alla scapece con baccalà e limone o il bao con stracotto di manzo e melanzane grigliate) e i robusti secondi di carni tra cui il galletto alla diavola, croccante e dorato con la sua salsina piccante d’accompagnamento. Non sono mancate le famose candele alla genovese e la parmigiana di cipolle.
L’Irpinia DOC Rosato Biologico del Cortiglio è stato abbinato a agli antipasti. Prodotto esclusivamente con le uve biologiche provenienti dal vigneto di Contrada Fosso Cavallo a Fontanarosa, è un vino ottenuto dalla vinificazione in bianco delle sole uve rosse aglianico. Caratterizzato da un fruttato ampio e tipico con note di ciliegia, è un vino dal gusto fresco e gradevole. Al galletto l'Irpinia Aglianico DOC della stessa cantina, un vino rosso giovane, affinato in acciaio, caratterizzato da un fruttato intenso di amarena e visciole, con note speziate e dal gusto morbido e gradevole.
Gli intriganti dessert, il Bignemisù e la Pesca & Mandorla a base di crostata con frangipane alle mandorle, bavarese alle mandorle e cuore di pesca, hanno stupito sul finale tutti i convenuti per la loro raffinatezza. Rinaldo Ippolito, agrichef di Casa Barbato con più di venti anni di esperienza in diverse zone d’Italia, in collaborazione con svariati chef stellati, propone solitamente una cucina che ha visto anche la consulenza di Paolo Barrale, giovane chef stella Michelin, di origine siciliane oramai naturalizzato irpino.
Francesco Savoia, casaro dell’omonimo e noto caseificio di Roccabascerana (AV), ha deliziato i presenti con un assaggio in diretta di pane abbrustolito sulla brace con il caciocavallo impiccato prodotto esclusivamente con il latte delle mucche “pezzata rossa”, un formaggio semiduro a pasta filata a latte crudo. Il caciocavallo impiccato è una tradizione antica praticata in varie zone del sud Italia soprattutto in Irpinia, Basilicata e nella provincia di Foggia.
La tecnica dell’impiccagione si dice sia stata scoperta per caso dai pastori che, per tenere lontani gli animali, appendevano i caciocavalli ai rami degli alberi. Una notte il calore del fuoco acceso troppo vicino ai caciocavalli avrebbe fatto sciogliere i formaggi. Ma il percorso degustativo è stato anche l’occasione per testare la leggerezza e la bontà delle pizze di Casa Barbato, realizzate dall’agripizzaiolo Lorenzo Grimaldi, subentrato ad Alessandro Montefusco già a partire dallo scorso maggio.
Il giovanissimo Grimaldi ha interagito con tantissimi chef di spessore, come Giovanni Mariconda, Raffaele Vitale, Tonino Pisaniello, Paolo Barrale. Il suo è un impasto fatto con un blend di farine della nota azienda Molino Vigevano delle pregiate qualità Tramonti e Oro Tipo, che garantiscono una pizza molto leggera, digeribile, saporita e realizzata con ingredienti di prima qualità, che da sempre contraddistinguono la bontà dei prodotti di Casa Barbato, come il pomodoro pelato dell'azienda Montorese Lina Brand, il fior di latte di Agerola, la mozzarella di bufala del Caseificio Principato, i formaggi di Carmasciando, i salumi Cillo, il prosciutto irpino di Giovanniello, l'olio evo Aprol, la mortadella di Bologna presidio Slow Food.
Grimaldi utilizza esclusivamente la biga come prefermento, ottenendo un impasto con un’idratazione al 70-75% che si lascia maturare per oltre 48 ore. Nella panificazione con metodo indiretto, la biga è un preimpasto ottenuto miscelando acqua, farina e lievito in proporzioni tali che esso risulti piuttosto asciutto (circa 450 g di acqua per 1 kg di farina e 10 g di lievito di birra fresco). Il risultato è quello di una pizza-nuvola, scioglievole e dal cornicione molto pronunciato. La cottura è stata testata più volte dal maestro Grimaldi sino a divenire uniforme e perfetta tanto da non rovinare o bruciare la pizza.
Francesca Barbato ha ammesso: "Anche se da un po' di tempo mio padre mi ha affidato la gestione del marketing aziendale, penso che si debba sempre credere nei giovani che cercano di crescere creando un futuro migliore; mettendo sempre al primo posto la passione! Solo con quest’ultima una persona può far valere il progetto che ha cercato di pianificare, facendolo diventare reale e produttivo; Lorenzo ha tutte le carte in regola per sposare le nostre idee in materia di agricoltura e sostenibilità attraverso la sua spettacolare pizza. Stiamo mttendo appunto un menù autunnale in cui inseriremo nuovi piatti con zucca e funghi porcini che arricchiranno anche le pizze".
Nicola Barbato ha continuato: "I giovani sono quelli che ci regalano sempre emozioni. Anche qui, nel nostro agriturismo come nei campi, c’è bisogno di innovazione e rinnovamento. Lorenzo Grimaldi è un giovane su cui io, mia moglie Luisa e i miei figli abbiamo creduto, perché loro sanno innovare e rinnovare apportando cosi valore aggiunto alla nostra realtà e al territorio".
Da standing ovation le pizze Ciaccarella (con wurstel artigianale di suino nero casertano alla senape, fior di latte di Agerola, sticky artigianali di patata rosina) e Hirpinia, un omaggio alla terra dei Barbato, con cipolla ramata di Montoro grigliata (confezionata dalla padrona di casa Luisa Tolino), salsiccia dell’azienda agricola Ferrara, blu di pecora Carmasciando e fior di latte di Agerola. Dove le parole finiscono, inizia la musica ma soprattutto il buon vino e il buon cibo.
Annamaria Parlato 24/06/2020
Alta cucina, vini profumati e luna d'argento per "Vinorosso Ammare"
“A sera quanno 'o sole se nne trase e dà 'a cunzegna a luna p' 'a nuttata, lle dice dinto 'a recchia I' vaco 'a casa: t'arraccumanno tutt' 'e nnammurate”. I versi della poesia di Totò 'A cunzegna sono il preludio di una serata romantica, magica e benaugurante che ha decretato ufficialmente l’inizio dell’estate 2020.
Vinorosso Ammare è stato l’evento enogastronomico curato in ogni dettaglio da Angela Merolla lunedì 22 giugno, comunicatrice e food event manager, che in collaborazione con Opera Chef at Home e Vinorosso Osteria di Nocera Superiore ha riunito vigneron, produttori e chef presso il Goccia a Mare, esclusivissima terrazza e lounge restaurant tra Salerno e Vietri sul Mare. La brezza marina, uno spicchio di luna e l’ottima cucina di mare abbinata a vini di eccellenza del territorio irpino e ai distillati del casertano hanno deliziato i numerosi ospiti che hanno piacevolmente accolto la proposta degli chef e organizzatori.
Forse dopo lunghi mesi di privazioni e di isolamenti, la voglia di uscire adesso si fa sentire e momenti come questi sottolineano quanto la vita sia imprevedibile ma contemporaneamente ricca di sorprese e possibilità che non bisogna lasciarsi sfuggire. Opera chef at Home è passione per il territorio campano, creatività, correttezza, etica e solidarietà. Questi sono gli ingredienti della cucina di Fabio Ometo, Francesco Onze, Antonio Borriello e Tommaso Di Palma. Una cucina che sceglie di custodire la memoria della cultura italiana e delle origini, e di nutrire privilegiando materie prime sane nel rispetto del lento scorrere delle stagioni. Una cucina anche in grado di innovare, creando grandi piatti adatti ai tempi odierni.
Questa filosofia di cucina è stata poi riproposta nel menù della serata composto da: Benvenuto… Bollicine e Fritturine Terra e Mare in coppetto, Tartare di Tonno rosso con cremoso di ricotta di fuscella ai limoni di costiera, Gambero viola al frutto della passione, Tartare di Ricciola con salsa di peperoni arrosto, Zeppola d’Ostrica su crema di patate al rosmarino, Gambero e bufala croccanti con rucola e pomodorini, Risotto con Totani, Cozze e peperoncini verdi fumaroli, Mezzi Paccheri trafilati al bronzo ai crostacei, Trancio di Ricciola scottata con salsa moijto, patata fondente alle erbette di campo, mazzolino di asparagi al bacon, Ricotta, pere e cioccolato. Gli chef sono stati affiancati anche dal patron di Vinorosso Osteria Cosimo Ruocco e da un ospite d’eccezione che si è reso subito disponibile: lo chef Antonio Tecchia.
Tra i piatti elencati hanno brillato in originalità la zeppolina di ostica su crema di patate e rosmarino e nel gusto il risotto con cozze, totani e peperoncini verdi e il dessert a base di ricotta, pere e cioccolato con la sua tazzina fondente tutta da mordere. Presente alla degustazione Federico Basso, titolare assieme alla famiglia della nota azienda olearia Basso e di Villa Raiano, l’azienda vitivinicola presente sin dal 1996 in località Cerreto a San Michele di Serino (AV). I vini presentati per l’occasione sono stati un Villa Raiano-Spumante Metodo Classico Ripabassa e un Villa Raiano-Fiano d’Avellino Docg annata 2019.
Il Fiano è un vino bianco prodotto solo con uve Fiano provenienti da quattro vigne differenti situate in altrettanti comuni della provincia di Avellino e precisamente: Candida, Montefredane, Lapio e San Michele di Serino. I grappoli vengono raccolti manualmente, trasportati in cantina in piccole cassette per evitare lo schiacciamento degli acini. Le uve sono sottoposte ad una pressatura soffice a grappolo intero per ottenere il mosto fiore. La vinificazione e l’affinamento sulle fecce fini per 4 mesi avviene interamente in tini di acciaio. Questo vino profumatissimo si è egregiamente abbinato ai piatti di pesce proposti per la serata, soprattutto al risotto, mentre lo spumante (50% fiano e 50% greco) è stato il degno partner dei fritti di benvenuto in coppetto.
In chiusura è stato servito in abbinamento al dessert l’Elixir Falernum della Distilleria Petrone di Mondragone, un liquore nobilitato in barrique con brandy invecchiato 3 anni, in cui la fierezza dell’acquavite di vino e la sensualità dei suoi aromi si sono armonizzati con la delicata dolcezza dei frutti di bosco. La serata si è rivelata un vero successo, non è mancato nulla: location mozzafiato con vista sui due fratelli di Vietri, ottima cucina d’autore, le millerighe bianche e blu del tovagliato a ricordare la bella stagione sopraggiunta, clima piacevole e conviviale. E allora cosa desiderare di più? Forse altre dieci, cento, mille serate come questa.
Redazione Irno24 29/05/2023
A metà luglio la "Festa della Pizza" torna a Salerno
In occasione del 25° "compleanno", la Festa della Pizza, per tanti anni itinerante, torna a Salerno. L'evento, organizzato dall'associazione Alimenta, presieduta da Maurizio Falcone ed Alfonso Aufiero, si terrà dal 12 al 16 luglio 2023 in piazzale Salerno Capitale, a pochi metri dal Grand Hotel.
Sapori e tradizioni della Campania, accompagnati da musica e spettacolo. La presentazione sarà affidata a Pippo Pelo e Adriana Petro, direttamente da Radio Kiss Kiss. Sul sito ufficiale tutti gli aggiornamenti.