In Campania circa il 9% dei cittadini ha bisogno di aiuto per mangiare
E' quanto emerge da un'analisi della Coldiretti
Redazione Irno24 29/03/2020 0
Le maggiori difficoltà alimentari si registrano nel mezzogiorno. In Campania oltre 530mila persone hanno bisogno di aiuto per mangiare, pari a quasi il 9% della popolazione. Sono oltre 364mila in Sicilia e quasi 283mila in Calabria, ma situazioni diffuse di bisogno si rilevano anche nel Lazio con oltre 263mila persone e 235mila persone nella Lombardia devastata dal Coronavirus.
E’ quanto emerge da un'analisi della Coldiretti sull'emergenza alimentare in Italia dopo le misure varate dal Governo, su dati Relazione annuale Fead del Giugno 2019. Con le misure restrittive per contenere il contagio e la perdita di opportunità di lavoro, anche occasionale, si aggrava la situazione e aumenta il numero dei quasi 2,7 milioni di persone che in Italia sono costretti a chiedere aiuto per il cibo con la distribuzione di pacchi alimentari o nelle mense.
"Il nuovo DPCM – spiega Gennarino Masiello, presidente Coldiretti Campania – destina 4,3 miliardi ai Comuni tramite il fondo di solidarietà e 400 milioni tramite un’ordinanza della Protezione Civile per aiutare le persone in difficoltà, in particolare con la formula dei buoni spesa e distribuzione di generi alimentari. Chiediamo ai Sindaci di destinare le risorse all’acquisto di prodotti alimentari italiani e da filiera agricola del territorio.
Le nuove risorse rese disponibili per buoni spesa, buoni pasto o generi di prima necessità possono sostenere l’economia agricola regionale, che in molti comparti si trova in grande difficoltà con il blocco delle esportazioni e la chiusura di agriturismi, bar, ristoranti e mense".
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Redazione Irno24 30/09/2021
Frodi, Uecoop: in Italia +24% pesce straniero, Sos a tavola
Con il balzo delle importazioni di pesce straniero in Italia, che fanno registrare un +24% in quantità nei primi 6 mesi del 2021, è SOS truffe a tavola con la flotta tricolore che negli ultimi 35 anni ha perso quasi 4 imbarcazioni su 10 con un impatto devastante su economia e occupazione.
È quanto emerge da una analisi dell’Unione europea delle cooperative (Uecoop) su dati Istat, in occasione del lancio del Piano nazionale delle cooperative Uecoop per il consumo di pesce Made in Italy a miglio zero nell’ambito del “Programma Nazionale Triennale della Pesca e dell’Acquacoltura” in collaborazione con il ministero delle Politiche agricole.
Gli italiani mangiano circa 28 chili di pesce all’anno, superiore alla media europea ma un quantitativo più basso se confrontato con quello di altri Paesi che hanno un’estensione della costa simile, come ad esempio il Portogallo, dove se ne consumano quasi 60 chili. Ma in Italia la crisi dei pescherecci diminuisce la possibilità di portare in tavola pesce Made in Italy, favorendo gli arrivi dall’estero di prodotti ittici che non hanno le stesse garanzie di sicurezza di quelli tricolore.
Per combattere le frodi è fondamentale prevedere l’obbligo di indicazione in etichetta del giorno in cui il pesce è stato pescato in modo da garantire la massima informazione e trasparenza sulla freschezza del prodotto e l’indicazione di origine va inserita oltre che sui banchi del mercato o dei supermercati anche per i piatti proposti nei menù dei ristoranti, un po’ come avviene per la segnalazione sull’uso di prodotti freschi oppure surgelati.
Nel 2021 le importazioni di pesce straniero rischiano di superare gli 860 milioni di chili secondo le proiezioni di Uecoop sull’anno, con il rischio di un aumento di truffe e inganni: dalla vendita di specie meno pregiate al posto di quelle migliori, all’uso di sostanze per far sembrare il pesce più fresco o per gonfiarlo d’acqua e speculare sul peso. È frequente l’utilizzo di sostanze in grado di ritardare o mascherare i fenomeni alterativi. In alcuni casi sono sostanze il cui utilizzo sarebbe anche consentito, ma che non vengono dichiarate in etichetta, come l’acido citrico o il citrato di sodio o i solfiti, altre volte invece si tratta di sostanze vietate come l’acqua ossigenata con cui si “sciacqua” per sbiancarli, calamari, seppie e polpi.
Una “furbata” per speculare sul peso ai danni dei consumatori è la “glassatura”, in cui l’acqua utilizzata per mantenere idratata la superficie del pesce viene fatta congelare, creando uno strato superficiale di ghiaccio oppure mediante salamoia o iniezioni possono essere aggiunti additivi alimentari, come i polifosfati o la glicina, che pur non essendo in genere nocivi per l’uomo, tendono a trattenere l’acqua aumentandone il peso del prodotto.
Un discorso a parte meritano poi i pesci da consumarsi crudi (o poco cotti) come nel Sushi, con il rischio della presenza del parassita Anisakis se non viene praticato l’abbattimento termico a meno 20 gradi per almeno 24 ore oppure a meno 35 gradi per almeno 15 ore.
Fra le truffe più diffuse c’è poi lo “scambio” di specie di minor valore al posto di quelle più pregiate: l’Acciuga o Alice viene spesso sostituita da Spratto o Papalina, la Sardina può essere anch’essa rimpiazzata con Papalina o Spratto oppure con Alaccia, mentre in sostituzione del Bianchetto sia fresco che lavorato, ma anche al posto del Rossetto, vengono usate specie, molto diffuse nei paesi asiatici, generalmente importate dalla Cina come prodotto congelato. Il Merluzzo spesso viene sostituito, soprattutto se commercializzato in forma di filetti, con specie meno pregiate ma molto simili nelle dimensioni e nel colore della carne, come il Pollak o il Merluzzo carbonaro.
La Sogliola, molto apprezzata per le sue carni magre e facilmente digeribili, viene scambiata con molte specie dalla forma simile ma di valore commerciale inferiore come la Sogliola turca, la Sogliola atlantica o la Sogliola indo-pacifica con lievi differenze nell’aspetto della pinna pettorale. Il Pesce Persico è una specie di acqua dolce autoctona dell’Italia molto richiesta dal mercato europeo ed italiano e commercializzato in notevoli quantitativi, in particolare sotto forma di filetti. Queste pesce Made in Italy viene largamente sostituito con Persico Africano proveniente principalmente dal Kenya e dalla Tanzania, zone in cui si verificano talvolta gravi problemi di inquinamento.
La Platessa, venduta soprattutto in forma di filetti congelati e ampiamente utilizzata nelle mense, è spesso sostituita con altre specie i cui filetti sono simili, come la Passera, la Passera del Pacifico, la Platessa del Pacifico e la Limanda. Il Nasello è una specie pregiata, venduta prevalentemente fresca ma anche in forma di filetti, che può essere sostituita, in particolare a livello di ristorazione, con pesci di valore commerciale inferiore come per esempio il Capellano o Busbana, il Merlano o Molo, il Melù o Potassolo. Un “classico” degli scambi è quello del Pesce Spada con lo Squalo Smeriglio.
E anche i calamari italiani sono molto spesso sostituiti con “cugini” di minor pregio come il Calamaro del Pacifico, il Calamaro indiano, il Calamaro atlantico o il Calamaro sudafricano mentre al posto di un’ottima Rana Pescatrice si rischia di mangiare un Pesce Rospo, un Pesce Prete o una Gallinella, mentre è molto pericolosa la sostituzione con il Pesce Palla che comprende specie velenose a causa della presenza di una potente neurotossina, la tetrodotossina. Senza pescherecci non ci può essere vero pesce Made in Italy a tavola, per questo è strategico utilizzare parte delle risorse del Recovery Plan per rinnovare la flotta italiana, salvare i 28mila posti di lavoro che garantisce al Paese e promuovere la sovranità alimentare italiana anche nel settore ittico a tutela di imprese e famiglie.
Redazione Irno24 30/06/2022
Censimento Istat, in Campania meno aziende agricole ma più grandi
Meno aziende agricole, ma più grandi. Così il quadro dei primi dati sul 7° Censimento generale dell’Agricoltura, elaborati dall’Istat. Il fenomeno – commenta Coldiretti Campania, che ha partecipato direttamente al censimento attraverso i suoi uffici territoriali – è omogeneo in tutta Italia, ma a distanza di dieci anni restituisce un quadro nuovo per la regione, che sarà approfondito per comparto e per provincia con la pubblicazione dei dati completi.
Il numero assoluto delle imprese in Campania è calato drasticamente, ma a fronte di un rafforzamento strutturale. Nel 2010 le aziende agricole censite erano 136.872, mentre nel 2020 sono 79.353, pari al 7% del totale nazionale. La superfice agricola utilizzata (SAU) cala da 550mila ettari a 516mila, pari al 4,1% italiano. Nonostante questi numeri negativi, la dimensione media delle aziende agricole campane passa da 4 ettari a 6,5 ettari.
Ad incidere su questi numeri – sottolinea Coldiretti Campania – è la cancellazione dal rilevamento statistico dei terreni agricoli gestiti dagli hobbisti, che non sono imprese agricole. Pertanto, il dato che emerge è la crescita progressiva di imprese agricole più strutturate, più innovative e con più terreno a disposizione. Dai primi dati Istat si rileva anche il numero di aziende agricole con capi di bestiame, che in Campania sono 13.353, pari al 16,8% del totale nazionale. Sono 16.768 mila le aziende solo zootecniche, pari al 21,1% nazionale. La somma dimostra il peso importante degli allevamenti in regione.
“Da questi primi numeri – evidenzia Gennarino Masiello, presidente Coldiretti Campania – si coglie un trend interessante, che fotografa un cambiamento in atto negli ultimi vent’anni. Ma se una tendenza esiste, va ancora accompagnata e sostenuta. Ben venga il chiarimento che si è fatto nelle statistiche delle superfici agricole utilizzate, ma questo deve diventare il punto di forza per smuovere l’eccessiva rigidità nella vendita e nei fitti dei terreni.
È urgente un riordino fondiario che sblocchi la terra a favore della produzione agricola, indirizzando gli incentivi economici solo a chi vive di agricoltura, agli imprenditori agricoli professionali. Se continuiamo a distribuire risorse a chi fa un altro mestiere e coltiva per hobby, alimentiamo un meccanismo che blocca la cessione dei terreni a chi fa impresa e crea occupazione. Questa è la sfida che ci attende e che consentirà di rafforzare tutto il sistema agricolo regionale”.
Redazione Irno24 18/07/2022
Coldiretti Campania, agricoltori sotto tiro tra siccità e speculazione
Torna lo spettro della speculazione sui campi di grano, ma nell’anno peggiore per caldo e inflazione. Con costi triplicati e rese dimezzate, i cerealicoltori sono in estrema sofferenza. Lo denuncia Gennarino Masiello, presidente di Coldiretti Campania e vicepresidente nazionale, dopo l’ultima quotazione della Commissione Cereali della Camera di Commercio di Bari che ha segnato -45 euro a tonnellata per il grano duro.
“Siamo in una situazione esplosiva – denuncia Masiello – perché ai soliti movimenti speculativi in piena trebbiatura, che sono l’unica spiegazione all’improvviso crollo di prezzi a fronte di domanda crescente e scarsità di offerta, si somma una condizione estrema di costi e caldo. Bisogna ricordare infatti che quest’anno abbiamo prodotto al triplo dei costi, con aumenti dal 100 al 200% su tutto: gasolio, fertilizzanti, sementi, trasporti, ricambi, attrezzature.
Una condizione di difficoltà a cui si sono aggiunte le temperature eccezionali che vanno avanti da maggio, costringendo le piantine di grano ad un’accelerazione dei processi naturali con conseguente anticipazione dell’essiccazione. Questo significa che siamo passati da una produzione di circa 50 quintali per ettaro alla metà, in alcuni casi sotto i 20 quintali per ettaro, ossia un terzo. Gli effetti dei cambiamenti climatici sono pesanti e le poche piogge di giugno non sono servite a niente”.