La milza di San Matteo e la rivalutazione del "quinto quarto" in cucina
Non è festa a Salerno se non c’è odore di aceto, aglio e prezzemolo in casa
Annamaria Parlato 21/09/2024 0
La rivalutazione del "quinto quarto" nella cucina italiana è un fenomeno che ha preso sempre più piede negli ultimi anni, grazie all'interesse per la sostenibilità, il rispetto delle materie prime e la riscoperta della cucina tradizionale. Questo termine fa riferimento a tutte quelle parti meno nobili dell'animale, come frattaglie, intestini, testa, piedi, coda, milza, polmone, cuore e fegato. Queste erano storicamente considerate meno pregiate rispetto ai tagli di carne più costosi, ma oggi stanno vivendo una rinascita grazie a chef e ristoranti che ne esaltano il sapore e il valore.
Il termine "quinto quarto" proviene dalla macellazione tradizionale romana. Si divideva l'animale in quattro parti: i primi due quarti (anteriori) e i secondi due (posteriori), che includevano i tagli più pregiati. Il "quinto quarto" era tutto ciò che rimaneva, cioè frattaglie e parti meno richieste. Queste venivano destinate alle classi popolari o agli stessi macellai. Negli ultimi anni, c'è stata una riscoperta di queste parti "meno nobili", grazie a diversi fattori: innanzitutto, si guarda alla sostenibilità e lotta allo spreco alimentare, infatti con l'aumento della consapevolezza ambientale si è tornati all'idea di utilizzare tutto l'animale, riducendo gli sprechi.
Il consumo del quinto quarto permette di valorizzare tutte le parti dell'animale, in linea con la cucina sostenibile; molti piatti della cucina tradizionale italiana sono a base di frattaglie, come la trippa alla romana, la coratella con i carciofi (Lazio), il lampredotto (Firenze), la pajata e la coda alla vaccinara. Questi piatti erano tipici delle classi popolari, che non potevano permettersi tagli più pregiati. Oggi, vengono rivalutati non solo per il loro valore storico, ma anche per il loro gusto unico e ricco. I grandi chef hanno iniziato a utilizzare il quinto quarto in modo creativo, dimostrando che frattaglie e altre parti meno nobili possono essere elevate a piatti raffinati e gourmet.
La lavorazione e la cottura adeguata di queste parti rivelano sapori profondi e una consistenza interessante, portando i commensali a scoprire nuovi aspetti della cucina. Anche il pubblico ha riscoperto un interesse verso i sapori più intensi e rustici del quinto quarto, attratto dall'autenticità e dalla particolarità di questi piatti, soprattutto nelle trattorie e nei ristoranti che puntano alla tradizione. Oggi, molti ristoranti gourmet utilizzano il quinto quarto per creare piatti innovativi, spesso abbinando ingredienti moderni o tecniche di cottura particolari per esaltarne il gusto.
Ad esempio, è comune trovare tartare di cuore di vitello, paté di fegato e milza, oppure cervella fritte presentate in modo elegante. La riscoperta del quinto quarto rappresenta una combinazione di sostenibilità, rispetto delle tradizioni e creatività culinaria. Questo ritorno alle radici della cucina povera ha trovato una nuova dignità grazie alla gastronomia moderna, dimostrando che ogni parte dell'animale ha un potenziale gastronomico, se trattata con cura e rispetto.
A Salerno il 21 settembre, in occasione della festa patronale, è obbligatorio consumare il piatto tradizionale: a meveza ‘mbuttunata, che ormai si trova dappertutto, perfino nelle pizzerie. La ricetta antica e casalinga è sempre la più richiesta, assieme a quella delle macellerie che la vendono da asporto. Per prepararla bisogna avviarsi il giorno prima, in quanto la pietanza deve riposare nei suoi umori a base di aglio, olio, aceto, prezzemolo e peperoncino. Pulire e tagliare la milza, rigorosamente di vitello, a mo' di sacca, richiede un po' di attenzione e precisione, poiché si tratta di un organo delicato.
Ecco i passaggi da seguire per trasformare la milza in una sorta di "sacca" da riempire o lavorare successivamente. Si inizia risciacquando la milza sotto acqua fredda, per eliminare eventuali residui di sangue e impurità. Con un coltello affilato, bisogna rimuovere la pellicina esterna della milza. Questa è una sottile membrana che copre l'organo e deve essere eliminata perché potrebbe diventare gommosa durante la cottura. Per ottenere una forma a sacca, si deve eseguire un’incisione lungo uno dei lati della milza. E’ meglio utilizzare un coltello affilato, cercando di non tagliare troppo in profondità, per evitare di forare l'organo. Praticare poi un taglio lungo e orizzontale, in modo da aprire la milza come fosse una tasca o una busta.
E’ necessario mantenere intatta la struttura esterna della milza per poterla poi farcire o lavorare ulteriormente. Una volta incisa la milza, all'interno si possono trovare piccole vene o tessuti più duri. Utilizzare un cucchiaio o le dita per rimuovere i tessuti interni più fibrosi o duri, facendo attenzione a non rompere la "sacca" esterna. Dopo averla pulita, bisogna sciacquarla nuovamente sotto acqua fredda per eliminare eventuali residui interni. Ora la milza è pronta per essere utilizzata come sacca.
Si imbottisce a questo punto con prezzemolo, aglio, un pò di sale e peperoncino, fino a riempirla per intero, e poi si cuce l'apertura con del filo. In una pentola alta e larga, si fa soffriggere l’olio extravergine con l’aglio. Dopodiché si inserisce la milza e si fa dorare su tutti i lati. Un volta dorata, si sfuma con abbondante aceto nero, acqua e sale, e si lascia cuocere per altre due ore. Raffreddata e tagliata a fette spesse, di modo che se ne possa riconoscere anche l’imbottitura, si lascia riposare con il suo condimento in frigorifero, pronta per essere gustata il giorno dopo, racchiusa in un panino o consumata come secondo piatto. L’odore di aceto sarà penetrante, ma questa tecnica antica è tipica della cucina tradizionale salernitana, che oggi si sta cercando di recuperare.
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Annamaria Parlato 31/07/2024
L'estate vista da Arcimboldo, pittore manierista amante di frutta e ortaggi
Arcimboldo fu un virtuoso manierista che lavorò nelle corti italiane ed europee. Le sue figure allegoriche come l’Estate furono di gran successo nel soddisfare il gusto di opere fantastiche e stravaganti. Nell’ambito della pittura manierista, Giuseppe Arcimboldi, chiamato Arcimboldo, fu un pittore molto originale. L’artista assecondò il gusto delle corti italiane ed europee del secondo Cinquecento.
L’Estate, un olio su tavola con dimensioni di cm 66×50, appartenente al gruppo delle Stagioni (Inverno, Primavera, Autunno), fu realizzato nel 1563 e nel 1569 donato all’imperatore Massimiliano II d’Asburgo. Oggi è conservato al Louvre di Parigi, anche se si tratta della seconda versione datata 1573, richiesta sempre dall’imperatore. Le originali della prima versione sono conservate al Kunsthistorisches Museum di Vienna e sono Inverno ed Estate, mentre Autunno e Primavera sono andate perdute.
Il soggetto rappresentato nel dipinto Estate è femminile, il cui volto posto di profilo è composto da una pesca, ciliegie, un cetriolo, una melanzana e altre primizie. Il vestito è formato interamente da grano, sul collo merlato si nota la scritta GIUSEPPE ARCIMBOLDO F, mentre sulla manica è inciso l'anno 1573; dal petto spunta un carciofo. Analizzando più a fondo il viso, si possono scorgere altri dettagli, come teste d’aglio, pere e spighe di grano. Questi elementi, che presi singolarmente sono solo ortaggi, in realtà, grazie alla maestria dell’Arcimboldo, prendono vita sul volto di una donna.
Arcimboldo utilizza una tecnica minuziosa e dettagliata per disporre ogni elemento in modo da creare un ritratto realistico. La combinazione di oggetti naturali per formare caratteristiche umane è eseguita con grande perizia, rendendo il ritratto riconoscibile e al contempo fantastico. Ogni oggetto utilizzato nel dipinto ha un significato simbolico legato all'estate e alla sua abbondanza. L'uso di frutta matura e vegetali simboleggia la fertilità, la crescita e la prosperità di questa stagione.
L’Estate dell’Arcimboldo è fresca e colorata, profuma di frutta, il cui sapore dolce è tipico della cucina rinascimentale, più ricca di quella medievale, acida e speziata. Inoltre, i piatti della cucina rinascimentale o moderna, come le composizioni pittoriche dell’Arcimboldo, erano presentati non in successione ma a gruppi, per suscitare stupore e meraviglia. Le vivande erano disposte in maniera scenica nei banchetti dei nobili e le modalità di preparazione erano sempre originali, come in una rappresentazione teatrale. La frutta e gli agrumi ebbero una posizione preminente sulla tavola rinascimentale, divenendo la portata d’apertura di un pasto. Le verdure, le insalate e i legumi acquisirono più importanza, aromatizzati con spezie locali o con salse leggere a base di frutta o piante aromatiche, mescolate con mollica di pane, farine, uova e mandorle.
Questo dipinto sembra travolgerci, le verdure quasi ci inebriano con le loro forme e con un po’ di fantasia si può immaginare che dalla tela escano fuori e si posizionino in un buffet di una cena all’aperto tra amici. I lavori di Arcimboldo sono un esempio precoce di arte surreale. La sua capacità di trasformare oggetti ordinari in ritratti complessi e immaginativi lo ha reso un precursore del surrealismo, secoli prima che il movimento emergesse ufficialmente.
Annamaria Parlato 26/05/2023
"Mascuotto" di Bracigliano: una croccante storia di acqua, lievito e farina
Il pane duro, o pane raffermo, veniva tradizionalmente riutilizzato in molte ricette e preparazioni per evitare di sprecarlo; fu così che in molte regioni d’Italia nacquero piatti storici come la ribollita o la pappa al pomodoro. L'utilizzo del pane raffermo in queste preparazioni permetteva di evitare lo spreco alimentare e di creare piatti gustosi e nutrienti. Nel Sud Italia e in Campania, il pane avanzato veniva biscottato e diventava ingrediente di molte preparazioni contadine, come il famoso “mallone braciglianese” di rape e patate o la classica panzanella con pomodori, origano, basilico e olio evo a crudo.
Il pane biscottato o “mascuotto” è infatti altra tipicità del Comune di Bracigliano, che basa la sua economia essenzialmente su prodotti agricoli. Il mascuotto era un alimento utilizzato principalmente dalla popolazione contadina e dalle persone che lavoravano nei campi. Questo alimento aveva diverse caratteristiche che lo rendevano adatto ad essere consumato in determinate situazioni. La sua durezza e la capacità di conservarsi a lungo faceva sì che diventasse ideale per i contadini che lavoravano per molte ore sotto il sole.
Il mascuotto poteva essere facilmente trasportato come cibo da campo e, quando era il momento di mangiarlo, veniva ammollato in acqua per renderlo più morbido e gustoso. Inoltre, era un alimento economico e nutriente, che poteva essere preparato utilizzando ingredienti semplici e facilmente reperibili come farina, acqua e sale. Per questi motivi era accessibile alla maggior parte della popolazione, compresi i contadini e le persone con risorse limitate.
Nel corso degli anni, il mascuotto è diventato un alimento apprezzato e consumato anche al di fuori delle comunità contadine, quasi gourmet o per veri intenditori, tant’è che rinomati chef si cimentano nella preparazione di piatti innovativi, aggiungendolo come ingrediente di base o per dare croccantezza al piatto. Questo pane biscottato dalla classica forma a tozzetto è così apprezzato dai braciglianesi e dalle popolazioni limitrofe che ogni anno, a luglio, in occasione della festa patronale dei Santi Nazario e Celso, diventa il protagonista di una famosa sagra e di molte pietanze, in primis il mallone, indirettamente anche della promozione turistica comunale.
L'origine del pane biscottato può essere fatta risalire all'antica Roma, dove il pane veniva cotto due volte per renderlo più durevole e conservabile a lungo. Questo pane tostato era spesso consumato dai soldati romani durante le lunghe campagne militari. Con il passare del tempo, questa pratica si diffuse in altre parti d'Europa. Nel Medioevo, il pane biscottato divenne una parte importante della dieta dei marinai e dei viaggiatori, poiché il pane tostato era facile da conservare durante i lunghi viaggi in mare.
Con il germano, introdotto dai longobardi nel territorio salernitano, o col frumento si confezionavano i “biscocti”, così detti perché cotti due volte, alimento essenziale per gli uomini delle galee, che li inzuppavano nell’acqua di mare. Inoltre, il pane biscottato era considerato un alimento ideale per le persone che soffrivano di disturbi digestivi, poiché la cottura due volte lo rendeva più facilmente digeribile. Durante il Rinascimento, il pane biscottato divenne una prelibatezza apprezzata anche dalle classi nobili. Veniva spesso servito con vino o bevande calde come il caffè o il cioccolato.
Nel corso dei secoli, la produzione del pane biscottato si è evoluta. All'inizio, il pane veniva tagliato a fette e tostato nel forno, ma con l'avvento delle moderne tecniche il pane biscottato viene realizzato utilizzando macchinari specializzati. Oggi, il processo di produzione del pane biscottato coinvolge spesso la fermentazione dell'impasto e l'uso di farine selezionate, per ottenere una consistenza e un sapore specifici.
La composizione esatta del pane biscottato può variare leggermente a seconda della ricetta e del produttore, ma di solito contiene i seguenti ingredienti: farina di grano tenero o grano duro, segale, mais o integrale, a seconda delle preferenze, acqua per impastare, sale marino e lievito madre. Le fasi della sua elaborazione sono: lavorazione dell’impasto, modellatura in pezzi a forma di parallelepipedo, lievitazione e prima fase di riposo, infornata e cottura, sfornatura, seconda cottura (i pezzi poi vengono spezzati rigorosamente a mano), confezionamento ed etichettatura. Il prodotto fresco deve avere un caratteristico odore delicato di tostato, che può ricordare il profumo del legno di ulivo o di vite.
A Bracigliano, da oltre duecento anni, il Biscottificio Calabrese ancora sforna mascuotti, friselle e biscotti di vario genere, ma molto probabilmente, come si evince dalle fonti letterarie, la presenza del mascuotto sul territorio risale all’epoca angioina e nel XVII secolo era proposto nelle osterie di paese. Bagnato pochi secondi nel tipico “vacile” pieno d’acqua fresca, è il perfetto pasto che asseconda tutti i dettami della dieta mediterranea, se abbinato all’olio di oliva, verdure, pesce, latticini. Chi non ricorda la zuppa di latte che i nonni preparavano ai bambini per la colazione? La sua semplice composizione rende il pane biscottato adatto a molte diete e lo trasforma in un alimento versatile per accompagnare salse, formaggi, antipasti e altro ancora.
Redazione Irno24 23/12/2020
Tradizionale menù di pesce alla Vigilia, i consigli Coldiretti per evitare fregature
Nei menu della vigilia di Natale sarà servito il pesce per quasi 8 italiani su dieci (78%), a conferma di una tradizione molto radicata in Italia che resiste anche al tempo del Covid, con l’arrivo del lockdown per le feste natalizie. E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixè. A scegliere menù con solo carne - precisa Coldiretti - sarà il 16% delle famiglie, mentre una ristretta minoranza (6%) si indirizzerà verso piatti a base di verdure.
Se durante le festività di Natale si registrano le punte massime, in Italia il consumo di pesce è pari ad oltre 28 kg a testa durante l’anno, superiore alla media europea di 25 kg e a quella mondiale di 20 kg. Sulle tavole per le feste è forte la presenza del pesce nazionale a partire da alici, vongole, sogliole, triglie, anguilla, capitone e seppie ma il 68% degli italiani assaggerà il salmone arrivato dall’estero, appena l’8% si permetterà le ostriche e altrettanti il caviale spesso di produzione nazionale che viene anche esportata.
Per non cadere nelle trappole del mercato, in una situazione in cui la grande maggioranza dei pesci in vendita provengono dall’estero, il consiglio della Coldiretti è di guardare l’etichetta sul bancone dove deve essere specificato il metodo di produzione (pescato, pescato in acque dolci, allevato), il tipo di attrezzo oggetto della cattura e la zona di cattura o di produzione (Mar Adriatico, Mar Ionio, Sardegna, anche attraverso un disegno o una mappa).
Per quanto riguarda il pesce congelato c’è l’obbligo di indicare la data di congelamento, e nel caso di prodotti ittici congelati prima della vendita, e successivamente venduti decongelati, la denominazione dell’alimento è accompagnata dalla designazione “decongelato”.
Per garantirsi la qualità il pesce fresco – ricorda Coldiretti – deve avere inoltre una carne dalla consistenza soda ed elastica, le branchie di colore rosso/rosato e umide e gli occhi non secchi o opachi, mentre l’odore non deve essere forte e sgradevole. Infine, meglio non scegliere i pesci già mutilati della testa e delle pinne, mentre per molluschi e mitili, è essenziale che il guscio sia chiuso.