"Pizzà Identità Gastronomiche", l'arte incontra il gusto nel cuore di Salerno
La pizzeria che diventa galleria: sapori, colori e tradizione si fondono in un'esperienza unica
Annamaria Parlato 26/02/2025 0
Nel cuore della tradizione gastronomica salernitana, un locale aperto nella primavera del 2022 sta conquistando sempre più spazio nel panorama culinario locale: "Pizzà Identità Gastronomiche", vera e propria espressione identitaria che affonda le radici nella cultura popolare e nella storia della città. Gestito da Nicola Monetti, in collaborazione con Vittorio Di Giovanni, "Pizzà Identità Gastronomiche" nasce con l'obiettivo di valorizzare gli ingredienti del territorio e reinterpretare la tradizione in chiave moderna. Il locale si distingue per un'attenzione particolare alla qualità delle materie prime e alla ricerca gastronomica.
Nicola Monetti, CEO e founder del locale, ha maturato questa idea dopo le sue esperienze all'estero. Il periodo del Covid lo ha portato a riflettere sulla necessità di creare un progetto innovativo, capace di rompere gli schemi a Salerno e lasciare un segno nel panorama gastronomico della città. "Volevamo creare un luogo che fosse più di una semplice pizzeria, un punto di incontro tra il cibo e l'arte, tra la tradizione e l'innovazione", racconta Monetti. "Ogni pizza narra una storia e porta con sé un pezzo della nostra identità".
Il maestro pizzaiolo Vittorio Di Giovanni, invece, ha affinato la sua arte nel salernitano, lavorando accanto a validi professionisti del settore. "Studiamo con cura ogni impasto e ogni combinazione di ingredienti, spesso ispirandoci alle opere d'arte esposte nel locale. Il nostro obiettivo è creare un’esperienza sensoriale completa, che coinvolga gusto e vista". In sala la cordialità di Arianna Giannattasio, supervisor anche della pasticceria.
Ciò che rende unica la proposta di "Pizzà Identità Gastronomiche" è il suo legame con il territorio. A differenza della classica pizza napoletana, qui l'impasto e la cottura vengono studiati per esaltare il sapore degli ingredienti locali. Il locale sorge in Vicolo Masuccio Salernitano, un luogo storico che, ai tempi della Scuola Medica, era un crogiolo di etnie, mestieri e religioni. Questo contesto arricchisce ancora di più l’identità culturale e gastronomica del ristorante dove Monetti e Di Giovanni hanno selezionato prodotti tipici come il tartufo di Colliano, il pomodoro rosa di Rofrano e la robiola di capra cilentana, creando un ponte tra passato e presente.
Grande attenzione è riservata alle verdure, che provengono dai contadini del territorio circostante, al pescato fresco, all’olio extravergine d’oliva, così come alla selezione di vini provenienti da cantine spesso poco note, ma di grande qualità. Lo stesso vale per i salumi e i formaggi, scelti con cura per garantire un'esperienza gastronomica autentica e radicata nella cultura locale. Dal punto di vista tecnico, l'impasto delle pizze segue un processo indiretto, con una lievitazione totale che raggiunge anche le 72 ore. La base è un blend di farine di tipo 1 macinate a pietra, caratterizzato da un'alta idratazione, che conferisce leggerezza e digeribilità ai prodotti finali.
Ma "Pizzà Identità Gastronomiche" è anche un laboratorio sperimentale di ricerca artistica. Il locale promuove l'arte attraverso vernissage e personali di giovani artisti emergenti, creando un ambiente che fonde cultura visiva e culinaria. Le pizze, infatti, vengono spesso ideate ispirandosi alle opere esposte, cogliendo i significati sociali e culturali che si celano dietro ogni creazione artistica.
Attualmente, il locale ospita la rassegna "Il Segno dell'Eccellenza – Missione Creatività", giunta al suo terzo appuntamento. Il progetto, voluto da Nicola Monetti e curato artisticamente da Giuseppe De Martino, in arte Amed, ha lo scopo di promuovere giovani talenti emergenti. Le opere alle pareti sono dell'artista Francesco Quaranta, che utilizza la tecnica della spatola per creare composizioni di forte espressività e profondità emotiva. I suoi lavori spaziano tra ritratti, paesaggi e rappresentazioni astratte, trasformando la materia pittorica in un vero e proprio specchio dell’anima.
La spatola gli consente di stendere il colore in modo energico, donando alle opere una tridimensionalità capace di catturare lo sguardo dello spettatore e invitarlo a esplorare i dettagli nascosti dietro ogni pennellata. Fino al 16 marzo, sarà possibile ammirare le opere di Quaranta e contribuire alla causa dell’associazione "Differenza Donna", impegnata nella tutela dei diritti delle donne e nella lotta contro la violenza di genere. L’artista ha messo in vendita alcuni lavori della serie "One Love" con una lotteria che consentirà di vincere un’opera 100×100 cm. Parte del ricavato sarà destinato, come detto, a "Differenza Donna", per sostenere le attività a favore delle donne in difficoltà, aiutandole a denunciare soprusi e trovare opportunità di crescita e riscatto.
L’esperienza degustativa invece è iniziata con un tris di polpettine, o meglio di piccoli bonbon, dove ogni boccone è stato un’esplosione di sapori: la prima, con crema di friarielli e salsiccia al vino rosso, ha avvolto il palato con il gusto intenso della tradizione; la seconda, con crema di zucca, nduja e stracciatella di mucca, ha offerto un contrasto tra dolcezza, piccantezza e cremosità; la terza, con confettura di pera, blu di bufala e pera, ha regalato un perfetto equilibrio tra dolce e sapido.
La cena è proseguita con una pizza unica, la "Zucca&Rhum", dove la crema di zucca ha disarmato le papille gustative con la sua dolcezza vellutata, mentre il Corsaro – un erborinato bufalino affinato al Rum Hampden 8 anni – è esploso con note aromatiche intense. L’uva passa contenuta nel formaggio ha aggiunto un tocco di dolcezza, così come le fave di cacao, per non parlare delle trebbie di orzo maltato che hanno donato profondità al morso, mentre il fior di latte e il lardo di Patanegra hanno arricchito la pizza con una cremosità e una sapidità perfettamente bilanciate. Le chips di topinambur hanno apportato croccantezza, mentre il timo limonato e la brezza di rum hanno completato il lievitato contemporaneo con freschezza e una lieve nota eterea.
Per concludere, un dessert che ha esaltato la provincia salernitana: la ricotta di bufala cremosa si è fusa con la confettura di fichi bianchi del Cilento, mentre il crumble di biscotto alla nocciola di Giffoni ha donato una nota croccante che ha chiuso l’esperienza con equilibrio. Il tutto è stato accompagnato dal Pian di Mòntena Rosso IGP Campania dell'azienda Tenuta San Benvenuto a Giovi, nata nel 2018 dalla passione di Benvenuto e Mauro Vicinanza per il settore vitivinicolo. Un blend di Merlot 30% e Aglianico 70% dal colore rosso rubino intenso, con tannini eleganti e un bouquet che ha richiamato frutti di bosco, amarena e leggere note speziate, capace di accompagnare con eleganza la complessità gustativa dell’intero percorso gastronomico.
Al calice si è presentato con un intenso rosso rubino, dai riflessi profondi e luminosi; al naso, il bouquet è stato ricco e avvolgente: sono emerse note di frutti di bosco maturi, amarena e prugna, accompagnate da eleganti sentori speziati di pepe nero, tabacco dolce e cacao. Un leggero accenno balsamico ha profuso ulteriore profondità e floridezza. Al palato, la struttura è risultata morbida e vellutata, con tannini fini ed equilibrati che hanno accarezzato i sapori senza sovrastarli. L'affinamento di 3 mesi in acciaio e 3 mesi in barrique, e infine in bottiglia, ha conferito al vino un'eccellente armonia tra la morbidezza del Merlot e la vivacità dell'Aglianico, regalando un sorso persistente e ricco di sfumature. Il finale si è rivelato lungo, con un retrogusto che ha evocato note di frutta rossa, cioccolato fondente e leggere tostature di legno.
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Annamaria Parlato 29/03/2023
Ciraudo e la pizza con borragine: a Baronissi... Diè Gustibus non est disputandum
Incredibile, che emozione trovare la borragine in una pizzeria e sulla pizza! Sì proprio lei, la pianta tanto apprezzata dalla Scuola Medica Salernitana, rimedio contro la malinconia e la tristezza. Il medico naturalista toscano Giovani Targioni (1764) la definì pianta alimurgica, termine che deriva da “alimurgia” (Alimenta urgentia = nutrimento in caso di necessità), utilizzato per la prima volta per specificare “il modo di rendere meno gravi le carestie, proposto per il sollievo dé popoli”.
Nel “Livre des simples médecines” del XV-XVI secolo, conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi, si consigliava di mangiare borragine contro l'itterizia, ma cotta con della carne per poi berne il succo con altro succo di scarola. Ancora, a chi soffriva di malattie di cuore o umori melanconici, bisognava farla mangiare assieme a della carne o ad altro alimento cotto con grasso, o anche cruda. Insomma, dai manoscritti si evince che se abbinata alla carne aveva un maggior effetto terapeutico.
Il maestro pizzaiolo Diego Ciraudo nel XXI secolo cosa ha fatto? Ha ideato una pizza su impasto di crusca tostata con lonzardo di suino nero casertano, crostini di pane della casa, fior di latte di vacca Jersey, borragine spadellata e olio evo (la Pizza Reggia). Un genio, un nuovo dottore della “Scuola Medica della Valle dell’Irno”. Proprio in questo territorio, precisamente a Baronissi, e in piena pandemia da Covid, Diego nel 2021 inaugura il suo locale, il sogno di una vita dopo aver fatto sacrifici e rincorso un mestiere che si può dire è nato un po' per gioco, dato che le sue aspirazioni sarebbero state tutt’altre.
Così, dopo aver frequentato corsi specifici per diventare pizzaiolo, e aver partecipato a competizioni di settore (Trofeo Caputo), fiere (Sigep) e importanti eventi (Sanremo Village), sente trasporto e passione per l’arte bianca e non si lascia sfuggire le varie occasioni che si presentano sul suo cammino. Dopo Varsavia, Parigi, New York e Vienna, il battipagliese Diego, forte delle varie esperienze all’estero, rientra in Italia senza più ripartire. Getta l'ancora a Baronissi e, assieme a Domenica Pagnozzi, rende vivo e originale il suo progetto, sfornando pizze contemporanee dal cornicione abbastanza pronunciato, che affondano le radici nella tradizione partenopea ma che si arricchiscono dei migliori prodotti salernitani, fondendo qualità, estro e semplicità.
La colorata pizzeria è piccola ma accogliente, il menù contiene circa una quindicina di pizze selezionate, insalate, taglieri di salumi e formaggi territoriali di elevatissimo pregio, fritti classici e innovativi, calzoni, saltimbocca e pizza fritta con ripieno completo (cicoli, ricotta, pepe, salame, pomodoro e fiordilatte). Qui la gente viene per assaggiare le famose patatine fritte, irregolarmente tranciate a mano e servite in un sacchetto di carta con varie salsine artigianali in cui intingerle; le frittatine di pasta, a dir poco irresistibili; e ovviamente le pizze, soprattutto le special, il pezzo da novanta di Diego, quelle in cui mette anima e testa.
E i dolci? Ma sì, parliamone: il tiramisù è spettacolare e poi c’è "Diè Namite", un calzoncello fritto e zuccherato esternamente, ripieno di fiordilatte e crema al pistacchio o nocciola. Mio Dio, ma come si fa? Però non bisogna tralasciare un’altra circostanza importantissima: la selezione di birre artigianali, molte del territorio Valle dell’Irno, come le ultime arrivate dal birrificio "I Sanseverino" di Mercato San Severino, fra le quali Principessa Costanza e Troisio che si abbinano ottimamente con le pizze in carta.
Prima di lasciarci, ricordiamo che Diego ha dedicato due anni fa anche una pizza al famoso artista americano Jackson Pollock, uno dei massimi rappresentanti dell’action painting, farcita con insalatina mista, salmone marinato, fettine di mela annurca e dressing ai lamponi. Diego continua a stupirci, il cibo è arte e l’arte è cibo per la mente, non lo dimenticare mai.
Redazione Irno24 30/04/2025
A Salerno il rilancio dell'Embarcadero, nuove prospettive per l'icona del gusto
Embarcadero. La suggestione della parola è immediata, evocativa quanto basta di un crocevia di passeggeri, di abitudini quotidiane, di caratteri e personalità. Quel fermento emotivo ed emozionale che caratterizza i luoghi di condivisione, di scambio, di partecipazione. Non poteva, dunque, che chiamarsi Embarcadero l'iconico locale che, sin dagli anni '60, ha rappresentato lo snodo per eccellenza della passeggiata sul lungomare Trieste di Salerno. Per chi arriva e chi va.
Nel primo decennio di vita, l'originaria impronta di “semplice” approdo marittimo, funzionale all'attracco dei traghetti con destinazione la prospiciente Costiera Amalfitana, già più che mai “Divina”, si era poi adattata su un modello più consistente, tanto che quel chiosco/bar, insegna del centro città, era diventato un punto di riferimento irrinunciabile per una piacevole sortita mondana. Tuttavia, sul finire degli anni '70, sfavorevoli congiunture (in primis la "delocalizzazione" in Piazza della Concordia dell'attracco per la Costiera) hanno segnato un periodo al ribasso per il locale, non più così “centrale” nell'economia salernitana.
Nonostante diversi tentativi di recupero, non propriamente andati in porto, tanto per rimanere in tema “navigazione”, bisogna praticamente arrivare ai giorni nostri per la vera e propria rinascita dell'Embarcadero, grazie all'intuizione imprenditoriale di Alessandro Vicidomini e Ivan Guzzo, con la supervisione di Filippo Bove: la loro gestione, secondo un percorso votato alla qualità nel solco della tradizione, come testimonia l’ottimo lavoro in cucina dello chef Antonio Perna, sta restituendo all'Embarcadero la sua connotazione di “approdo”. Di gusti, innanzitutto. E di sguardi, dal momento che la veranda sul mare, all'occorrenza terrazzo, è un invito esplicito a godere del cibo e dello scenario incantevole del Golfo di Salerno, ammirabile da un prospettiva a dir poco privilegiata, quasi più che tridimensionale.
Approdo anche di stili, poichè l'Embarcadero è concepito per offrire agli avventori un “viaggio esperienziale” completo: caffetteria come approccio, cocktails e sfiziosità al piano superiore per stuzzicare il palato, pranzo/cena nella sala interna per definire ed arricchire il “momento” gastronomico, durante il quale una cantina di selezionata qualità (curata dallo stesso Guzzo) accompagna piatti che rinnovano e “rinfrescano” i sapori autoctoni in modo coerente e rispettoso, senza lasciare il passo ad “esotiche” divagazioni del momento.
Annamaria Parlato 09/11/2022
Nobi, il ristorante di Fisciano in cui si fa ricerca sulla materia prima
Nobi sta per “nobilitare” le ricchezze agricole del territorio fiscianese, ma anche per “Nobile” Di Leo, colui che ha sottolineato - Ho immaginato un luogo dove chiunque potesse imparare ad amare la terra come lo amo io - e ha dato vita ad una masseria con food court in cui poter dar sfogo ad ogni vezzo gastronomico. Chi ha fame di novità, infatti, vuol godere di un’ottima cucina d’autore in un clima confortevole, curato nei minimi dettagli e in cui ci sia un buon rapporto qualità-prezzo.
Nobi accomuna tutte queste caratteristiche, perché il ristorante sorge in Contrada San Lorenzo di Fisciano, a due passi dall’uscita autostradale, dall’Università, da Salerno centro e da Avellino, completamente circondato da noccioleti, orti e natura rigogliosa; inoltre, esternamente ed internamente, la location è stupenda, con le due piscine di cui una a sfioro e le sale abbellite dal design d’autore, in cui predominano attraenti e vivaci tele e sculture di arte contemporanea; infine, la cucina di Michele De Martino è una garanzia da ogni punto di vista ed i costi sono nettamente inferiori alla norma, includendo i vini, considerando che c’è tanta perizia e che la materia prima è di estrema eccellenza.
Nobi è la naturale continuità della Masseria Nobile, azienda di punta del salernitano (Castel San Giorgio) dal 1966 per la produzione di legumi e pomodori, di cui datterini gialli Dolly, San Marzano DOP e marzanini. La coltivazione dei pomodori resta a Fisciano e l’inscatolamento avviene nello stabilimento di Castel San Giorgio, a pochi chilometri dai filari. “Nobile” è un marchio di proprietà di Calispa Spa, oggi alla terza generazione, che seleziona il meglio della produzione dandole un nome “nobile”, come il lavoro che da cinquant’anni viene svolto quotidianamente, controllando tutti i processi e garantendo al consumatore un prodotto sicuro, buono, sano e genuino.
La giovanissima Ilaria Di Leo, con il compagno originario di Vietri sul Mare, Nicola Gregorio, è alla guida del ristorante e anche dell’azienda di famiglia. Affiancata da un team di sala rispettoso delle regole dell’ospitalità, ha migliorato nel tempo le solide fondamenta già edificate dai suoi genitori, ristrutturando in maniera impeccabile la proprietà, in modo da ricavarne anche confortevoli alloggi in cui pernottare. La piscina è dotata anche di angolo cocktail per trascorrere piacevoli momenti en plein air, degustando un aperitivo accompagnato da finger food direttamente preparati in cucina. La struttura si presta molto bene per ricevimenti e feste private.
Michele De Martino, chef salernitano con un ricchissimo bagaglio di esperienze alle spalle, nelle più rinomate cucine salernitane e della Costiera Amalfitana (l'ultima durata due anni da Casamare a Salerno), ha accettato una nuova scommessa, lasciando la città ma sicuro di ritrovare a Fisciano tutto quello di cui un professionista della cucina ha bisogno: prodotti a Km 0, stimoli e fiducia in ciò che progetta quotidianamente. La degustazione dei piatti, originali, innovativi, capaci di non perdere mai d’occhio la tradizione, è risultata molto convincente.
Soddisfacente e intrigante, nelle sue tonalità amaranto, il cocktail di benvenuto analcolico "Bosco del Venezuela" (frutti di bosco, basilico, lime, zucchero di canna scuro, ginger ale, fava di Tonka), con sfiziosi appetizer dal fascino asiatico e latino, fra cui spicca il calzoncino fritto, simil empanada dominicana, con ricotta, salame e ketchup di San Marzano Nobile come topping.
Le chicche da provare sono però sicuramente la “seppia in carbonara” tra gli antipasti (una tagliatella di crudo di seppia, adagiata su crema cacio e pepe e guarnita con uovo alla Cracco, pancetta croccante e tenacoli fritti, una vera esplosione di sapori e consistenze) e il “riso è Nobile” tra i primi, un piatto apparentemente semplice ma di grande complessità, con base bianca al burro e parmigiano, guarnita poi con crema di pomodoro giallo e di pomodoro San Marzano, e in cima pomodorini arrostiti. Stessa cosa dicasi per la “triglia viene da Livorno”, un sandwich ripieno del rossiccio pesce di scoglio e salsa livornese, adagiato sulla sua bisque e arricchito da una scarolina capperi e olive che non manca mai nella cucina salernitana di De Martino.
Nel menù autunnale, il commensale potrà divertirsi nello scorgere crudi di mare, tartufi neri irpini, ortaggi di stagione, limoni profumatissimi, carni succulente come quelle di maialino, pasta artigianale di leggerissima fattezza, il pescato locale, pani e focacce autoprodotte in abbinamento ad olii cilentani e le aromatiche mediterranee.
Intento ad esporre i suoi piatti, lo chef ha aggiunto: “Adoro Gennaro Esposito, ma la mia è una cucina salernitana, oserei dire quasi antica e di recupero dei vecchi ricettari, in cui tecniche di conservazione come la scapece erano frequenti. A Salerno non esistono tantissimi piatti, ma milza o interiora, scarola, moscardini affogati, ciambotte di verdure e preparazioni in tegame non mancano mai. Qui al Nobi cercherò di riproporre quello che in pochissimi conoscono, a cui darò un tocco di contemporaneità, partendo sempre dalla materia prima che il vasto territorio campano offre. Sto anche pensando a dessert innovativi, tant’è che sto ampliando le mie conoscenze in materia”.
La cantina del Nobi spazia dai vini regionali a quelli nazionali e non mancano bollicine, champagne, grappe, whisky, cognac e passiti. Il dessert consigliato è il “cioccolati e lampone” con bisquit al cioccolato, cremoso ai lamponi, cioccolato fondente e cioccolato bianco, mini-capolavoro di bellezza per occhi e palato. Nobi affonda le sue radici in terreni annaffiati da passione, amore, talento; il suo modus operandi comincia proprio da qui, dalla nobilitazione del territorio e dei saperi agricoli, che diventano emozionali e magneticamente suggestivi.