Salerno, "Omaggio a Carminuccio" di Granammare è tradizione e innovazione

La pizzeria sul lungomare Tafuri da quattro anni non sbaglia un colpo e continua a deliziare i palati

Annamaria Parlato 25/11/2023 0

Se a San Matteo va il merito di aver salvato Salerno dall’incursione saracena del 1544, a Granammare quello di aver sfornato la pizza “Omaggio a Carminuccio”, dedicata alla città e ai salernitani. La pizzeria, inaugurata nell’agosto 2019, si difende benissimo e la triade Santoriello-Gerardi-Cortese ai forni è una squadra vincente che non si cambia.

Il gestore ed ideatore del format Granammare, Nicola Cardillo, quattro anni fa ha avuto la giusta intuizione, rivoluzionando completamente il concept classico di pizzeria cittadina con i cocktail abbinati alla pizza assieme a sfizi e fritti d’autore, in un ambiente sofisticato, elegante ma confortevole. La pizzeria infatti sorge dalle ceneri dell’ex mobilificio Mainardi, istituzione in città, nei pressi del Forte la Carnale, affacciandosi sul mare con la prospettiva privilegiata della Costiera Amalfitana a pochi chilometri di distanza.

L’architetto Michele Citro ha curato il progetto di restyling del locale, sposando tradizione e sperimentazione. Restando coerente con il format gastronomico, ha dato vita a quello che ho definito “design gourmet”. Per l’architetto la proposta di pizza e fritti, affiancati da cocktail, si inoltrava in un mondo pressoché inesplorato, finendo per dare vita ad una relazione tutt’altro che convenzionale; ecco allora che anche i materiali, seguendo questo schema, hanno mixato antico e moderno.

Il design di Granammare è un'ode alla contemporaneità, un mix affascinante di elementi moderni, che si fondono armoniosamente per creare un'atmosfera accattivante. Ogni dettaglio è stato curato per offrire non solo un'esperienza culinaria straordinaria, ma anche un viaggio visivo attraverso l'estetica moderna e l'innovazione. L'ingresso della pizzeria accoglie i clienti in un ambiente aperto e luminoso. Grandi finestre permettono alla luce naturale di filtrare, creando un'atmosfera ariosa e invitante. Il cuore pulsante della pizzeria è rappresentato dal  banco pizza a vista, dove i clienti possono osservare i maestri pizzaioli all'opera. La PizzaCourt lasciata aperta aggiunge un tocco di teatralità e trasparenza, permettendo ai clienti di essere parte integrante del processo di preparazione delle pizze.

Colori vivaci, tratti audaci e motivi geometrici aggiungono un tocco di energia e vitalità all'ambiente. Una gigantografia di pizza sulla parete della sala principale è accompagnata dalla scritta: “Due forni, l’impasto a lunga lievitazione, le materie prime d’eccellenza, la creatività ed è subito magia”. Non fa una piega, è proprio così, anche di sabato sera quando fuori c’è una fila interminabile di persone e tutto arriva nei piatti senza errori. Una gran bella soddisfazione per chi gestisce e per chi si accomoda ad un tavolo, scevro da preoccupazioni ma ricco di prelibatezze che faranno divertire il palato.

Giovanni Santoriello, Claudio Gerardi e Stefano Cortese hanno perfezionato sempre di più il loro impasto, anche senza glutine, mettendo a punto una pizza soffice, leggera e lievemente croccante sul bordo, proprio come vuole la scuola salernitana. La pizza “Omaggio a Carminuccio”, con pomodoro San Marzano DOP, origano, olio all’aglio e peperoncino (in uscita: scaglie di pecorino romano DOP, scaglie di Parmigiano e guanciale croccante, basilico) è intensa, golosa ma equilibrata, un connubio perfettamente riuscito tra tradizione e innovazione. Da provare anche la Granammare, la Ciacia, la Sapori del Vesuvio e Autunno Campano.

Non manca la pizza Vegana, con zucca lunga Napoletana stufata, gocce di crema di fagioli Cannellini, cipolla croccante, salsa al coriandolo, cannella. Consigliati il crocchè di patata viola, il timballo di pasta e patate e i padellini, che stanno spopolando da inizio anno, ossia spicchi da condivisione con impasto multicereale a doppia maturazione e cottura nel famoso contenitore metallico. Il risultato è strepitoso e i condimenti vengono aggiunti in uscita, perché assemblati al momento; come nella Pinzimonio d’Autunno con insalatina croccante di finocchio, carote e sedano, maionese veg al cappero di pantelleria, bacca di pepe rosa, profumo di aceto di mele, spruzzato al tavolo, e nella Cetaria con pop corn di crema al burro di bufala profumata al limone, filetti di alici di Cetara, caramello salato, umami in stile campano.

Per chi avrà ancora spazio non dovrà perdere il dessert della casa, con ampia scelta di gusti tra caprese, tiramisù, crème brûlée, cheese cake, tanto per citarne alcuni. La lista dei vini è ampia, buona la selezione di birre artigianali e distillati. Il personale è cortese e vigile alle esigenze dei clienti, mentre la signora Doriana Grimaldi, moglie di Nicola Cardillo, è un’attenta padrona di casa, disponibile e solare. Granammare offre un'esperienza culinaria che vale la pena provare; con la sua combinazione di atmosfera ospitale, servizio impeccabile e cibo straordinario, si erge come un gioiello che fonde trasparenze marine con l’oro del grano maturo nel panorama gastronomico locale.

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Annamaria Parlato 26/02/2024

Salerno, le pizze da Màdia non si... conservano ma si sfornano per i buongustai

Son passati sette anni da quando il costruttore Salvatore Iannuzzi ha inaugurato Màdia all’Irno Center di Salerno. Sette anni fruttuosi di recensioni positive e riconoscimenti nelle migliori guide di settore (tre spicchi Gambero Rosso), in cui inizialmente pizzeria e cucina camminavano di pari passo con le proposte in carta dello chef Domenico Vicinanza, poi solo con la pizzeria capitanata dal primo giorno dal talentuoso pizzaiolo di origini vesuviane, Francesco Miranda.

La gestione è oggi nelle mani di suo figlio, Fabrizio Iannuzzi, coadiuvato da un assortito team di collaboratori, sia in sala che al forno delle pizze, coordinato da Miranda. Il termine màdia ovviamente richiama il mobile da cucina tradizionale, spesso in legno, utilizzato per conservare alimenti, utensili e altri oggetti. La màdia poteva avere ante e cassetti ed era spesso posizionata nella zona della cucina, utilizzata anticamente dalle nonne per deporvi anche pane, farina o per avere una superficie di lavoro che poteva essere sfruttata come piano aggiuntivo per la preparazione dei cibi.

Quindi anche il significato che ne deriva è identificato della filosofia della pizzeria, che vuole elargire ai propri clienti un prodotto autentico, genuino, rustico e goloso, una pizza che parla molte lingue e dialetti e che ha ìnsiti profumi e ricordi del passato. L’ambiente, sviluppato su due piani, con le sedute interne che in estate vengono proiettate anche verso il dehors esterno, è confortevole, i materiali in legno lo rendono caldo e amichevole; in alto, sul soffitto, campeggia al centro una gigantesca spiga di grano, un importante segno di riconoscimento per indicare ciò a cui si vuole dare maggiore importanza: farina, grani e impasto.

Ovviamente l’impasto parte dal prefermento, tecnicamente chiamato “biga”, che viene posto in apposite celle per almeno 48h. La biga dona digeribilità, gusto e profumi, che ricordano il pane appena sfornato, quello di una volta, lavorato dalle massaie nelle case di campagna. Per altri impasti viene utilizzato il lievito madre, creato dalle bucce di mela annurca biologica che, quotidianamente, si idratano con acqua e farina. Questo tipo di lievito dona all'impasto note acidule, amplifica il profumo del grano e favorisce ulteriormente la digeribilità.

Miranda ha svelato: “Per il menù primaverile ci saranno delle sorprese. Ho ideato una serie di pizze al tegamino con farine e impasto 100% vegetali, usando addirittura l’acqua per idratarlo, recuperata dall’ortaggio stesso come carciofo e asparago. Per farcirle non mancheranno questi vegetali, uniti ad altri ingredienti che ne esalteranno al massimo il sapore. Non sembrerà di mangiare una pizza al carciofo ma il carciofo stesso. Le mie origini sono contadine e lo studio delle verdure nella loro essenza ha sempre preso il sopravvento su di me. E’ dal 2017 che mi sono concentrato sull’idea di introdurre l’orto in pizzeria e proseguirò su questa strada, che mi è sembrata vincente dal primo momento”.

Francesco nella sua màdia ha un impasto speciale per ogni giorno della settimana: dal lunedì alla domenica c’è l’impasto con farina di tipo 1, il giovedì e il venerdì l’integrale e dalla domenica al mercoledì i clienti possono assaggiare la pizza in pala, con impasto a base di semola Senatore Cappelli, farina integrale e farina di tipo 2. La pizza di Francesco ha un cornicione non troppo pronunciato, con buccia leggermente croccante, la base è sottile ma robusta abbastanza da sostenere i condimenti senza perdere la sua consistenza.

Consigliata tra le “pizze d’inverno 2024” è la “Cilento a colori”, sia per la cromìa utile ad allontanare il grigiore invernale sia per il il connubio di sapori sprigionato dagli ingredienti, di cui broccoli saltati con aglio, olio e peperoncino, bufala affumicata, salamino, cacioricotta di capra del Cilento, datterino giallo e olio al peperoncino. In abbinamento è consigliata una birra con gradazione alcoolica più elevata, come l’inglese Spitfire Strong Lager (9 gradi) a bassa fermentazione, nata per volere del birrificio Shepherd Neame, in ricordo dell’ottantesimo anniversario del primo volo dell’iconico cacciabomardiere Spitfire. Una pizza che richiama esattamente il concept di Màdia, valorizzando l’elemento vegetale a 360 gradi.

Da non perdere anche la “Come una sorrentina”, un omaggio al classico piatto di gnocchi dell'omonima Penisola, con impasto soffice alle patate cotto in tegamino a tre lievitazioni, datterino della piana del Sele emulsionato con parmigiano reggiano 24 mesi e fiordilatte bruciato a cannello. Per chiudere in bellezza, un dessert artigianale ci sta tutto e quindi da provare è il “Dolcino tiepido” con farina Senatore Cappelli, albicocca e semi di papavero al profumo di menta, servito su salsa inglese all’albicocca e pellecchiella del Vesuvio. Un dessert piacevole, non stucchevole, che lascia il palato pulito e incanta con la sua rusticità, una carezza avvolgente e raffinata, da intenditori.

In abbinamento è perfetto il rum jamaicano Appleton Estate 8 years old Reserve di color miele, dalla grande luminosità di preziosi riflessi bronzati, naso consistente di spezie e frutta secca con sentori di miele e legno, note di vaniglia e nocciola, scorza d'arancia e melassa. Con un ambiente accogliente, un personale attento e cibo eccezionale, questa pizzeria offre un'esperienza gastronomica che vale la pena provare per assaporare le cose buone come una volta.

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Annamaria Parlato 22/11/2024

Le novità al "Nobi" di Fisciano, De Martino nella piena maturità espressiva

Dopo due anni, si ritorna da Nobi per la seconda volta, soprattutto per scoprire le novità sia del comparto hospitality sia del fine dining. Il ristorante, ubicato in Contrada San Lorenzo a Fisciano, fortemente voluto dalla famiglia Di Leo per rendere omaggio alle eccellenze agricole prodotte nell’omonima azienda di Castel San Giorgio, fondata da Nobile Di Leo, è l’estensione della storica Masseria Nobile. Legumi, ortaggi vari (essenzialmente pomodori) caratterizzano la produzione in loco che poi viene trasformata a Castel San Giorgio, come il pomodoro San Marzano DOP, i datterini gialli Dolly e i marzanini. Alla guida di Nobi ci sono Ilaria Di Leo e Nicola Gregorio, mentre la cucina è affidata allo chef salernitano Michele De Martino.

Oltre ad essere un luogo di soggiorno, la masseria è in continua espansione, con progetti futuri che puntano a migliorare ulteriormente i servizi e gli spazi, mantenendo però sempre il legame con la tradizione e la natura che l’ha ispirata. La combinazione di ambienti eleganti, spazi all'aperto e cucina raffinata, ma accessibile, fa di questa masseria una destinazione perfetta per chi cerca un luogo dove il lusso incontra la semplicità, il comfort si fonde con l’arte, e ogni angolo racconta una storia di continua crescita e innovazione. Situata in una posizione strategica, lontano dal caos della città ma al tempo stesso facilmente accessibile, questa masseria è un vero angolo di paradiso, totalmente immersa nelle verdi colline della Valle dell’Irno, dominate da vaste distese di noccioleti.

All’esterno, la masseria è circondata da paesaggi naturali mozzafiato, con due piscine che invitano al relax. La zona della piscina è un punto di ritrovo ideale, non solo per nuotare ma anche per trascorrere momenti piacevoli con un aperitivo, un cocktail o un pranzo informale. Il punto ristoro esterno, grande novità del 2024, vicino alla piscina, è pensato per offrire una cucina più semplice e accessibile, ma non per questo meno gustosa. Qui, i piatti sono leggeri e ideali per una pausa durante una giornata di sole. Ingredienti freschi e locali si trasformano in insalate, panini ricercati, piatti veloci ma innovativi che permettono agli ospiti di gustare un’esperienza gastronomica senza la formalità di un ristorante tradizionale. Un menù che gioca sull’idea di semplicità, perfetto per accompagnare momenti di convivialità a bordo piscina.

“Spesso le persone associano Nobi agli eventi di banchettistica – spiega De Martino – e alla formula piscina+light lunch. Ma non si riduce a questo, noi siamo innanzitutto ristorante, voglio specificarlo. Poi, altra cosa importante, che voglio precisare, è che banchettistica e ristorazione sono due comparti completamente diversi. I miei colleghi abituati a lavorare per i grandi eventi hanno una forma mentis diversa da chi è abituato a fare cucina. Io invece cerco di fondere le due cose e quando allestisco un buffet porto la mia idea di piatti e ristorazione in un finger o in una portata da banchetto, metto la stessa intensità, lo stesso concetto”.

Altra novità il menù, che diventa ancora più intrigante, sfidando i confini della cucina territoriale, con un occhio di riguardo per coloro che sono affezionati ai sapori classici, quelli che evocano comfort, memoria e tradizione. Questo menù non rinuncia all'innovazione e alle tecniche contemporanee, le mescola con il rispetto per ciò che è familiare e rassicurante. Ogni piatto racconta una storia, quella di un incontro tra passato e presente, tra il conosciuto e il sorprendente, mantenendo sempre un legame profondo con la cucina tradizionale. La cucina di De Martino non è solo una rielaborazione intellettuale, ma un'esperienza ideata per emozionare e soddisfare ogni palato. Con una passione innata per la cucina, lo chef ha perfezionato l'arte di mescolare la tradizione gastronomica con un tocco di modernità, senza mai perdere di vista l'autenticità.

Michele è custode della tradizione, delle ricette del centro storico di Salerno, la sua amata città natale, che hanno segnato la cultura gastronomica della sua terra. Conosce a fondo i piatti storici, quelle preparazioni che raccontano il vissuto delle persone, dei luoghi e dei sapori che hanno attraversato generazioni. Ogni ingrediente che seleziona è scelto con cura e proviene dai fornitori locali, per garantire la freschezza e la qualità della materia prima. La sua cucina è un omaggio a ciò che è genuino e naturale, con piatti che esaltano il vero sapore degli alimenti, senza troppi fronzoli. Ma allo stesso tempo, sa che l’innovazione è essenziale per restare al passo con i tempi. Le sue preparazioni non sono mai banali: un ingrediente tradizionale viene presentato in modo sorprendente, una tecnica moderna viene usata per esaltare i sapori senza modificarli. È un maestro nel reinterpretare i classici, rendendoli freschi, dinamici e visivamente spettacolari, pur rimanendo fedele alla loro essenza.

“Il mio obiettivo finale non è solo quello di preparare cibo - prosegue De Martino - ma di creare emozioni attraverso ogni piatto. Sono in grado di percepire le esigenze della clientela, adattando le mie creazioni alle preferenze individuali, senza mai compromettere la qualità. Per me, la cucina è un atto di cura, un modo per comunicare passione e dedizione attraverso ogni ingrediente, ogni tecnica, ogni presentazione. Ho deciso di mettere da parte la frenesia del mondo dello spettacolo gastronomico per dedicarmi esclusivamente al mio menù, al perfezionamento dei piatti e alla cura dei dettagli. Non sono interessato a seguire le tendenze: per me, la vera soddisfazione è sapere che il mio menù racconti una storia autentica e che i clienti apprezzino sinceramente ciò che mangiano”.

La sua è una scelta di vita consapevole, che riflette il valore di lavorare con passione e senza le distrazioni dell'industria del food, ma concentrandosi solo su quello che importa di più: il piacere di cucinare per gli altri e la gratificazione di offrire piatti che parlano da soli. Infatti, i piatti del menù invernale 24/25 parlano e come: spettacolare è il “To... Il Foies Gras” un filetto di tonno scottato, patate alla maggiorana, fondo bruno di vitello leggermente speziato e foies gras di oca. La ricchezza del foies gras, la freschezza del tonno, la morbidezza della patata e la profondità del fondo bruno uniscono terre e mare in un'armonia di sapori complessa. La maggiorana aggiunge una nota erbacea che bilancia la complessità del piatto, rendendolo equilibrato.

Incantevole il cestino dei pani, abbinato all’olio extravergine di Marco Rizzo, dai lievi sentori di vegetale fresco che aprono ad un amaro gentile, cui segue un piccante breve e delicato, che adesso è diventato più corposo rispetto al passato con pani al lievito madre, farine rimacinate a pietra di grani antichi, focacce ai pomodorini confit, cialdine croccanti di riso e curcuma e piccolo babà rustico caldo alla maniera di un casatiello napoletano. Imperdibili gli antipasti uovo cotto a 62 gradi con amatriciana di seppia, spuma di pecorino e tartufo e il velo di calamaro con cime di rapa e chips di patate affumicate su salsa di provola.

Piatto giocoso e sorprendente la candela spezzata ripiena di genovese su fonduta di pecorino, salsa di cipolle e cipolla croccante di Montoro. Il piatto si caratterizza per l’armonia tra la dolcezza intensa della cipolla, la profondità del ragù di manzo e la sapidità cremosa della fonduta di pecorino. I sentori principali sono quelli di caramello, provenienti dalla cottura lenta delle cipolle, e umami dalla carne della genovese, che si amalgamano con il gusto leggermente piccante del pecorino. La pasta, con il suo ripieno succulento, agisce come un contenitore perfetto per trattenere questi sapori complessi, mentre la salsa di cipolla dona freschezza e leggera acidità, bilanciando il piatto. Il risultato finale è un piatto che gioca con il contrasto tra dolcezza e sapidità, dove la cremosità della fonduta e la morbidezza della genovese creano una sensazione di calore e soddisfazione, arricchita dalla profondità della cipolla e dalla persistenza del pecorino.

E il dessert? Le percezioni gustative bisogna scoprirle direttamente accomodandosi al tavolo di Nobi, non è giusto anticipare tutto, anche se un aiutino può starci: nocciola, gianduia, frolla al cacao, cioccolato bianco. Insomma, una goduria senza fine, un dessert che sa sorprendere, regalando al palato un'esperienza sensoriale che oscilla tra il comfort e la raffinatezza. Grande attesa anche per la cantina, attualmente in fase di allestimento con ulteriori novità per l’anno prossimo.

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Annamaria Parlato 21/09/2024

La milza di San Matteo e la rivalutazione del "quinto quarto" in cucina

La rivalutazione del "quinto quarto" nella cucina italiana è un fenomeno che ha preso sempre più piede negli ultimi anni, grazie all'interesse per la sostenibilità, il rispetto delle materie prime e la riscoperta della cucina tradizionale. Questo termine fa riferimento a tutte quelle parti meno nobili dell'animale, come frattaglie, intestini, testa, piedi, coda, milza, polmone, cuore e fegato. Queste erano storicamente considerate meno pregiate rispetto ai tagli di carne più costosi, ma oggi stanno vivendo una rinascita grazie a chef e ristoranti che ne esaltano il sapore e il valore.

Il termine "quinto quarto" proviene dalla macellazione tradizionale romana. Si divideva l'animale in quattro parti: i primi due quarti (anteriori) e i secondi due (posteriori), che includevano i tagli più pregiati. Il "quinto quarto" era tutto ciò che rimaneva, cioè frattaglie e parti meno richieste. Queste venivano destinate alle classi popolari o agli stessi macellai. Negli ultimi anni, c'è stata una riscoperta di queste parti "meno nobili", grazie a diversi fattori: innanzitutto, si guarda alla sostenibilità e lotta allo spreco alimentare, infatti con l'aumento della consapevolezza ambientale si è tornati all'idea di utilizzare tutto l'animale, riducendo gli sprechi.

Il consumo del quinto quarto permette di valorizzare tutte le parti dell'animale, in linea con la cucina sostenibile; molti piatti della cucina tradizionale italiana sono a base di frattaglie, come la trippa alla romana, la coratella con i carciofi (Lazio), il lampredotto (Firenze), la pajata e la coda alla vaccinara. Questi piatti erano tipici delle classi popolari, che non potevano permettersi tagli più pregiati. Oggi, vengono rivalutati non solo per il loro valore storico, ma anche per il loro gusto unico e ricco. I grandi chef hanno iniziato a utilizzare il quinto quarto in modo creativo, dimostrando che frattaglie e altre parti meno nobili possono essere elevate a piatti raffinati e gourmet.

La lavorazione e la cottura adeguata di queste parti rivelano sapori profondi e una consistenza interessante, portando i commensali a scoprire nuovi aspetti della cucina. Anche il pubblico ha riscoperto un interesse verso i sapori più intensi e rustici del quinto quarto, attratto dall'autenticità e dalla particolarità di questi piatti, soprattutto nelle trattorie e nei ristoranti che puntano alla tradizione. Oggi, molti ristoranti gourmet utilizzano il quinto quarto per creare piatti innovativi, spesso abbinando ingredienti moderni o tecniche di cottura particolari per esaltarne il gusto.

Ad esempio, è comune trovare tartare di cuore di vitello, paté di fegato e milza, oppure cervella fritte presentate in modo elegante. La riscoperta del quinto quarto rappresenta una combinazione di sostenibilità, rispetto delle tradizioni e creatività culinaria. Questo ritorno alle radici della cucina povera ha trovato una nuova dignità grazie alla gastronomia moderna, dimostrando che ogni parte dell'animale ha un potenziale gastronomico, se trattata con cura e rispetto.

A Salerno il 21 settembre, in occasione della festa patronale, è obbligatorio consumare il piatto tradizionale: a meveza ‘mbuttunata, che ormai si trova dappertutto, perfino nelle pizzerie. La ricetta antica e casalinga è sempre la più richiesta, assieme a quella delle macellerie che la vendono da asporto. Per prepararla bisogna avviarsi il giorno prima, in quanto la pietanza deve riposare nei suoi umori a base di aglio, olio, aceto, prezzemolo e peperoncino. Pulire e tagliare la milza, rigorosamente di vitello, a mo' di sacca, richiede un po' di attenzione e precisione, poiché si tratta di un organo delicato.

Ecco i passaggi da seguire per trasformare la milza in una sorta di "sacca" da riempire o lavorare successivamente. Si inizia risciacquando la milza sotto acqua fredda, per eliminare eventuali residui di sangue e impurità. Con un coltello affilato, bisogna rimuovere la pellicina esterna della milza. Questa è una sottile membrana che copre l'organo e deve essere eliminata perché potrebbe diventare gommosa durante la cottura. Per ottenere una forma a sacca, si deve eseguire un’incisione lungo uno dei lati della milza. E’ meglio utilizzare un coltello affilato, cercando di non tagliare troppo in profondità, per evitare di forare l'organo. Praticare poi un taglio lungo e orizzontale, in modo da aprire la milza come fosse una tasca o una busta.

E’ necessario mantenere intatta la struttura esterna della milza per poterla poi farcire o lavorare ulteriormente. Una volta incisa la milza, all'interno si possono trovare piccole vene o tessuti più duri. Utilizzare un cucchiaio o le dita per rimuovere i tessuti interni più fibrosi o duri, facendo attenzione a non rompere la "sacca" esterna. Dopo averla pulita, bisogna sciacquarla nuovamente sotto acqua fredda per eliminare eventuali residui interni. Ora la milza è pronta per essere utilizzata come sacca.

Si imbottisce a questo punto con prezzemolo, aglio, un pò di sale e peperoncino, fino a riempirla per intero, e poi si cuce l'apertura con del filo. In una pentola alta e larga, si fa soffriggere l’olio extravergine con l’aglio. Dopodiché si inserisce la milza e si fa dorare su tutti i lati. Un volta dorata, si sfuma con abbondante aceto nero, acqua e sale, e si lascia cuocere per altre due ore. Raffreddata e tagliata a fette spesse, di modo che se ne possa riconoscere anche l’imbottitura, si lascia riposare con il suo condimento in frigorifero, pronta per essere gustata il giorno dopo, racchiusa in un panino o consumata come secondo piatto. L’odore di aceto sarà penetrante, ma questa tecnica antica è tipica della cucina tradizionale salernitana, che oggi si sta cercando di recuperare.

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