Tipicità gastronomiche e gelato artigianale sul Lungomare di Salerno

In programma la kermesse "Gusto Italia & GelatiAmo" dal 7 al 10 settembre

Redazione Irno24 04/09/2023 0

Si svolgerà martedì 5 settembre, alle ore 10:00, presso il Comune di Salerno, la conferenza stampa di presentazione di “Gusto Italia & GelatiAmo”. L’iniziativa, promossa dalla CNA Salerno, organizzata e realizzata dall’Associazione Italia Eventi, gode del sostegno della Camera di Commercio, del patrocinio del Comune di Salerno e della collaborazione della Centrale del Latte.

Dal 7 al 10 settembre, dalle ore 10 a mezzanotte, sul Lungomare Trieste – Santa Teresa, il filo conduttore saranno le tipicità, i prodotti a km zero, l’artigianato e il gelato italiano. Allestiti un mercatino ed un’area in cui sarà possibile partecipare ad una serie di Laboratori del Gusto. L’iniziativa è ad ingresso libero e gratuito.

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Annamaria Parlato 30/06/2025

Anche nel salernitano la Portulaca, erba grassa che resiste al sole e ai secoli

Tra le erbe spontanee più straordinarie, e ingiustamente dimenticate, che crescono nei campi assolati della provincia di Salerno c’è la portulaca oleracea, detta anche porcacchia, porcellana o erba grassa. Piantina succulenta dal portamento strisciante e dalla stupefacente resistenza, è capace di colonizzare terreni aridi, salini e perfino acquitrinosi, rendendosi utile là dove scarseggiano ortaggi e verdure. Il nome deriva dal latino, portula, ovvero piccola porta ed è riconducibile al fatto che il frutto secco o pisside si apre per espellere i semi alle prime piogge, favorendo così la sua riproduzione.

Un tempo preziosa, oggi ignorata, ha una storia millenaria che parte dall’antica Roma per giungere, tra pochi nostalgici ed erboristi appassionati, fino ai giorni nostri. Nella remota antichità era già apprezzata per le sue virtù medicamentose e alimentari: Plinio il Vecchio, Columella e Varrone ne parlano diffusamente, mentre nel Seicento i cuochi di Carlo II la mescolavano a lattuga, cerfoglio, petali di calendula e fiori di borragine per creare misticanze colorate e saporite, condite con olio e succo di limone.

Era nota per il suo effetto rinfrescante, per le proprietà diuretiche, depurative, antinfiammatorie, e – in un curioso paradosso – sia come rimedio contro la dissenteria che come stimolante intestinale, a seconda della preparazione. Nell’area costiera, la portulaca spunta ancora tra i solchi, invadendo le aiuole, insinuandosi lungo i bordi delle strade. È diffusa ovunque, ma poco considerata: l’abbondanza di verdure nei mercati italiani ha fatto sì che questa pianta antica sia caduta nell’oblio, sopravvivendo solo in rare preparazioni locali come la misticanza estiva laziale.

Eppure, la portulaca ha proprietà nutrizionali e terapeutiche eccezionali: è rinfrescante, ricca di vitamine (A, C e alcune del gruppo B), minerali e soprattutto Omega 3, rari nelle piante terrestri. Usata per secoli contro acidità, febbre, disturbi urinari e mal di testa, era perfino considerata antiafrodisiaca. Secondo Plinio, i signorotti greci la servivano agli ospiti per spegnere gli ardori virili, mentre i pitagorici la bandivano per non turbare la purezza dell’anima. Nonostante la sua cattiva fama sul piano dell’eros, la portulaca affascina ancora oggi per il suo sapore acidulo e salino, che la rende più interessante delle insalate moderne. I suoi giovani rametti possono essere consumati crudi con pomodori e cipolla, oppure cotti, in frittate, minestre, contorni e salse. Diversi chef salernitani propongono alcune ricette semplici e gustose, come un sugo per la pasta con pomodorini e aglio e un pesto a crudo con noci, peperoncino e olio, perfetto su bruschette o pasta fredda.

Anche nel florovivaismo la portulaca trova spazio grazie alla sua cugina, la portulaca grandiflora, dai fiori sgargianti. È proprio studiando le variazioni cromatiche spontanee nei suoi rami che si è scoperta la possibilità di ottenere piante chimera, composte da tessuti geneticamente diversi, moltiplicabili per talea e apprezzate nel mercato ornamentale. Attenzione però a regalarla: nel linguaggio dei fiori la portulaca significa “senza pudore”, forse per il suo modo disordinato e impetuoso di crescere. Eppure, proprio in questo suo istinto vitale, nella sua umile resistenza, nella capacità di nascere fra le crepe del cemento salernitano o nelle piane assolate, la portulaca racconta una storia antica quanto la civiltà. La portulaca è resiliente, sopravvive al caldo, alla siccità, all’inquinamento.

Nei paesi del Mediterraneo orientale, in Grecia, in Siria e in Turchia, è ancora venduta nei mercati come verdura preziosa. In Sud America, dove è stata introdotta dai colonizzatori, viene coltivata e consumata abitualmente. Eppure in Italia, terra di ortaggi ricchissimi, è stata dimenticata, confinata alla memoria orale dei nonni e agli studi degli etnobotanici. È una pianta da riscoprire, da rispettare e – perché no – da riportare nei piatti, magari in una nuova cucina contadina di territorio, attenta alla biodiversità e alla memoria.

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Annamaria Parlato 20/04/2024

La mela limoncella, frutto raro a Baronissi e poco conosciuto

Non è la mela del peccato di Adamo ed Eva, né tantomeno quella computerizzata di Steve Jobs, né quella avvelenata di Biancaneve, è molto di più. E’ un frutto prelibato che cresce in Campania: la mela limoncella. Questa mela storica ha un sapore più complesso e sfumature uniche, che la rendono diversa dalle varietà commerciali più comuni.

Di origini italiane antichissime, questo tipo di mela veniva coltivata soprattutto nell’area centro-meridionale (Campania, Abruzzo, Molise, Puglia) in montagna o collina. L’albero ha una fioritura abbastanza tardiva, ha chioma folta, attecchisce bene in terreni poco fertili ed è adatto per coltivazioni a basso impatto ambientale. Preferisce sicuramente habitat più temperati, in quanto è sensibile al freddo.

La mela limoncella è così chiamata poiché ha un aroma asprigno, citrino, che ricorda gli agrumi. Ha la polpa bianca dotata di buona serbevolezza, la buccia gialla picchiettata di macchioline marroni sparse qua e là, è di piccole dimensioni ed ha una particolare forma oblunga a metà tra il cilindro ed il cono. La cavità peduncolare è profonda e stretta, la cavità calicina è poco profonda, aperta e pieghettata. La buccia cerosa è particolarmente profumata, infatti in passato le donne usavano adagiare queste mele tra il bucato, per regalare ai tessuti il piacevole aroma di frutta.

La raccolta avviene in ottobre, e a partire da novembre, sino alla primavera, ne avviene la consumazione. Se viene conservata in luoghi idonei (fruttai o anche in frigorifero), le sue proprietà organolettiche migliorano, sia in fragranza che in sapidità della polpa, ed è infatti considerata tra le più pregevoli cultivar meridionali di mele. Oggi è quasi in via di estinzione. Ad Agerola, in provincia di Napoli, queste mele ancora si coltivano ed hanno dimensioni leggermente più grosse, tanto da esser nominate “Limoncellone”. A Baronissi, le limoncelle crescevano spontaneamente e oggi si sta cercando di recuperarle per diffonderne la conoscenza e il consumo.

Al pari della mela annurca, ha un’ottima croccantezza e si presta molto bene in cucina. Si possono consumare cotte, fresche o in succhi. Sono adattissime nella preparazione del sidro o addirittura essiccate se ne possono ricavare delle salutari chips da sgranocchiare come snack. Nell’area beneventana, la mela limoncella è stata fatta rientrare nel progetto di Slow Food “Arca del Gusto”, che preserva le eccellenze gastronomiche poco conosciute dall’inquinamento, dalla globalizzazione sfrenata, dalle tecniche agricole industriali. Trovare e provare queste mele può essere un'esperienza affascinante per gli appassionati di frutta e di storia agricola.

Molti agricoltori e coltivatori stanno lavorando per preservare e valorizzare queste varietà storiche, coltivandole in piccole quantità e promuovendo il loro uso in cucina e nella produzione di liquori, confetture e altri prodotti artigianali. I frutti rari giocano un ruolo importante sia dal punto di vista ecologico che culturale, e la loro valorizzazione ha diversi benefici: conservandoli, contribuiscono alla diversità genetica delle piante coltivate e una maggiore biodiversità può rendere le colture più resilienti alle malattie, ai parassiti e ai cambiamenti climatici, inoltre possono arricchire la dieta quotidiana con micro e macronutrienti, migliorando la qualità della nostra alimentazione.

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Annamaria Parlato 29/09/2023

Le uova sbattute con il caffè erano la colazione dei salernitani

A fine estate, con l'inizio dell’autunno, le nonne di un tempo erano solite preparare in casa alimenti ricostituenti e corroboranti, come l’uovo sbattuto con il caffè. Mentre si aspettava che "salisse" il caffè, si sbatteva un tuorlo d'uovo freschissimo con un bel cucchiaio di zucchero in una tazzina da cappuccino, poi, mescolando lentamente, si aggiungeva il caffè bollente, senza utilizzare la tecnica del bagnomaria.

Una bevanda fortificante, sicuramente non adatta chi segue diete ipocaloriche ma densa di ricordi, emblema della cultura contadina salernitana. Prima, tra l’altro, vegetazione e campagna avevano il sopravvento su cemento armato e impalcature; coltivare la terra e allevare animali da cortile era prassi quotidiana. In casa tutti avevano uova fresche, zucchero e caffè. Ai bambini veniva somministrata questa bevanda cremosa prima di uscire da casa per andare a scuola, ma anche gli adulti ne approfittavano, data la sua bontà a cui era difficile resistere.

Oggi, per una maggiore scrupolosità, relativa all’igiene, si opta per lo zabaione cosiddetto “della nonna”, che prevede appunto la cottura dell’uovo a bagnomaria. Lo zabaione è un dolce al cucchiaio molto calorico grazie ai tuorli d'uovo ed è anche pieno di energia. Questa caratteristica lo ha reso un dessert ideale per i lavoratori agricoli e contadini, che avevano bisogno di una fonte di energia concentrata per affrontare lunghe giornate di lavoro fisico nei campi.

Ecco come solitamente viene preparato lo "zabaione delle nonne"

Ingredienti: Uova (solitamente solo i tuorli), Zucchero, Caffè o Marsala, Aromi come vaniglia o scorza di limone (a scelta), Biscotti o frutta per servire (a piacere).

Procedura: 1. Tuorli d'uovo e zucchero: In una ciotola, si rompono le uova e si separano i tuorli dagli albumi. Si aggiunge lo zucchero ai tuorli d'uovo. La quantità di zucchero dipende dal gusto personale, ma solitamente si usa una quantità significativa per ottenere un sapore dolce. 2. Mescolare: Si mescolano energicamente i tuorli d'uovo e lo zucchero, fino a ottenere un composto cremoso e omogeneo. Questa fase è importante per assicurarsi che lo zucchero si sciolga nei tuorli.

3. Riscaldare il caffè: In una piccola pentola, si riscalda il caffè o il marsala a fuoco medio-basso. Se si desidera, è possibile aggiungere vaniglia o scorza di limone per aromatizzare il caffè. 4. Combinare il caffè con i tuorli: Una volta che il caffè è caldo (ma non bollente), si versa lentamente il composto di tuorli e zucchero nel caffè riscaldato. Si continua a mescolare costantemente, per evitare che le uova si cuociano troppo.

5. Cottura a fuoco basso: Si continua a mescolare il composto a fuoco medio-basso, fino a quando diventa cremoso e densamente liquido. Dovrebbe diventare una consistenza simile a una salsa leggera. 6. Servire: Lo zabaione delle nonne può essere servito immediatamente, tradizionalmente in piccole tazze o bicchieri da dessert. È delizioso da solo o accompagnato da biscotti secchi o frutta fresca.

Lo "zabaione delle nonne" è un dessert semplice e classico, che celebra la tradizione culinaria salernitana e del Centro-Sud Italia. La sua consistenza cremosa e il suo sapore dolce lo rendono una prelibatezza amata da tutti i nostalgici delle antiche usanze, che non tramontano mai, riuscendo a sbloccare ricordi ed emozioni.

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