A Salerno il mare è sinonimo di amicizia, accoglienza e vera cucina con UMI

Approda nel capoluogo la tradizione kaiseki autentica, elegante e semplicemente complessa

Annamaria Parlato 29/11/2023 0

La cucina giapponese ha guadagnato terreno in Italia grazie a una combinazione di fattori culturali, turistici e gastronomici. La sua diffusione continua a prosperare, offrendo agli italiani un'ampia varietà di piatti da gustare e apprezzare. L'aumento della globalizzazione ha portato a un interesse sempre crescente per la cucina internazionale e la cucina giapponese; quest'ultima, con la sua varietà di piatti deliziosi e presentazioni artistiche, ha catturato l'attenzione degli italiani, che sono diventati sempre più curiosi riguardo alle tradizioni culinarie di altre culture.

Il crescente flusso di turisti giapponesi ha contribuito a creare domanda per la ricerca dell'autentica cucina giapponese nel Paese. Questo ha portato all'apertura di numerosi ristoranti giapponesi gestiti da chef nipponici, contribuendo a offrire autenticità nella preparazione dei piatti. Il sushi è diventato particolarmente popolare in Italia, sia nei ristoranti che nel cibo da asporto. La praticità del sushi, la sua presentazione estetica e la varietà di sapori hanno reso questo piatto giapponese una scelta popolare ormai consolidata.

Anche Salerno, come tutte le città cosmopolite, ha negli anni visto l'espansione di ristoranti multietnici ed in particolare asiatici sul proprio territorio. Cucine cinesi e giapponesi strizzano l’occhio a numerosi appassionati, ma pochi sono quelli che davvero fanno la differenza rispetto ai tanti commerciali che di valido hanno ben poco.

Umi, ristorante di cucina giapponese su Via Roma (al suo posto prima c’era il Bar Nazionale), sorto nel 2021 in piena pandemia, si è fatto notare subito per l’eleganza e l’autenticità delle sue proposte: il fusion qui è bandito. Questa parolina di tre lettere significa mare e il menù proposto da Fiorenzo Benvenuto e Gerardo Ferrari, in collaborazione con lo chef Jun Inazawa, è come un acquarello leggero che vibra sulle onde danzanti di turchese, dove il cielo si tinge d'azzurro ed il mare diffonde il suo eterno canto, un'ode antica, un richiamo puro.

Fiorenzo Benvenuto ha esordito: "La Cucina Giapponese tradizionale è una delle più equilibrate e sane del mondo ed è Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO.Siamo l’unico ristorante in Campania ad aver ottenuto la Japanese Food Supporter della JETRO (Japan External Trade Organization), una certificazione a sostegno della diffusione della gastronomia e degli ingredienti giapponesi all’estero, un importante riconoscimento per chi, come noi, vuole promuovere la vera gastronomia nipponica nel mondo. Il ristorante fortunatamente funziona e qui facciamo dell'accoglienza un'arte o meglio Washoku come si dice in Giappone, parola composta da wa che significa armonia e shoku che significa cibo. È la sintesi della cultura gastronomica nipponica che cura ogni dettaglio senza disturbare l’ospite e cerca di intuire le sue esigenze prima ancora che vengano espresse".

Lo chef è originario di Kagawa, una città del Giappone del Sud, e specializzato in cucina “Kaiseki”, una forma di alta gastronomia giapponese che enfatizza l'arte del cibo, la presentazione elegante e la stagionalità degli ingredienti. Originariamente associata alla cerimonia del tè giapponese, la cucina Kaiseki si è evoluta nel corso dei secoli, sviluppandosi in un'esperienza culinaria raffinata e sofisticata. Gli chef cercano di utilizzare ingredienti freschi e di alta qualità, che siano disponibili in quel determinato periodo dell'anno. Ciò significa che i piatti possono variare stagione per stagione.

Un pasto Kaiseki è composto da una serie di piatti (spesso più di una dozzina) che vengono presentati in un ordine specifico. Ogni portata è preparata con grande attenzione alla presentazione e all'estetica, con l'obiettivo di creare un'esperienza visiva e culinaria equilibrata. Questa cucina cerca di offrire un'armonia di sapori, combinando dolce, salato, amaro, acido e umami in un'unica esperienza gustativa, cercando di bilanciare i sapori in modo che nessuno di essi prevalga sugli altri. Gli chef Kaiseki spesso utilizzano strumenti tradizionali, come coltelli giapponesi di alta qualità e stoviglie artigianali. Questi strumenti contribuiscono alla preparazione attenta e alla presentazione meticolosa dei piatti, includendo anche la cerimonia del tè “Kaiseki Ryori”.

Il menù di Umi si caratterizza per i suoi piatti caldi ma anche freddi, le tempure, la brace, le zuppe, sushi e sashimi. Interessanti restano sicuramente udon e soba di grano saraceno, spesso serviti freddi con una salsa di immersione a base di salsa di soia e mirin, il riso con anguilla, la zuppa di pesce in brodo dashi, funghi e porro, sushi di cui hosomaki maguro e selezioni nigiri. I dolci sono invitanti, particolare è la creme brûlée giapponese al sesamo e vaniglia.

La manager di sala Silvana Carrara è attenta alla clientela, con garbo consiglia e descrive i piatti, suggerendo gli abbinamenti più indicati con le birre artigianali giapponesi, i sakè e i migliori vini nazionali e internazionali. C’è anche la possibilità di seguire un menù degustazione “Omasake”, che tradotto significa lascio fare a te, un atto di fiducia verso lo chef e la sua capacità di selezione delle migliori portate della cucina regionale per i propri commensali. Non è difficile infatti assistere alla performance culinarie dello chef Inazawa, che ha una sua postazione in sala proprio per esibire la sua maestria nei tagli e nell'assemblaggio del sushi, la cui materia prima freschissima viene manipolata al momento.

Ukiyo-e, panneli noren, atmosfera zen sono le componenti principali del design di rara bellezza che caratterizza Umi, un locale con pochi tavoli, un grande banco monolitico con sgabelli e oggetti minimal che riempiono gli spazi studiati nei minimi dettagli per ricreare le atmosfere delle città e dei ristoranti giapponesi. E se un proverbio giapponese recita: “Un viaggio di mille miglia inizia con un solo passo (千里の道も一歩から)”, allora Umi in quasi tre anni di vita di passi ne ha consumati già tanti, con la sobrietà che lo distingue e che lo ha già reso famoso agli occhi delle guide e della critica nazionale.

Il mare, custode di misteri e meraviglie, è poesia scritta con schiuma e sale, una melodia senza fine, un viaggio eterno nel cuore dell'infinito, nell'anima di chi con le mani può plasmare la materia prima e intessere pennellate audaci su tela infinita, intrecciando sogni con ali di libertà, nell'abbraccio salato della brezza che tutto avvolge e incanta.

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Redazione Irno24 20/01/2021

Coldiretti, bene stop falsa mozzarella: "tarocco" vale 100 miliardi

Con l’emergenza Covid e la frenata del commercio internazionale sale il rischio di falsi Made in Italy sulle tavole straniere che hanno raggiunto l’astronomica cifra di 100 miliardi di euro, sottraendo risorse e opportunità di lavoro all’Italia. E' quanto stima la Coldiretti nell'esprimere apprezzamento per lo stop alla falsa mozzarella di bufala dop catalana.

Nel mondo – ricorda Coldiretti – più due prodotti agroalimentari Made in Italy su tre sono falsi senza alcun legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese. A taroccare il cibo italiano sono soprattutto i paesi emergenti o i più ricchi, con i formaggi che si classificano tra gli alumenti più colpiti.

Molti dei formaggi di tipo italiano sono “tarocchi” nonostante il nome richiami esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese, dalla Mozzarella alla Ricotta, dal Provolone all’Asiago, dal Romano al Parmigiano, fino al Gorgonzola. Fra le brutte copie dei prodotti caseari nazionali in cima alla classifica c’è proprio la mozzarella di bufala campana, seguita dal Parmesan, dal provolone, dalla ricotta e dal Romano realizzato però senza latte di pecora.

La pretesa di chiamare con lo stesso nome prodotti profondamente diversi – conclude Coldiretti – è inaccettabile e rappresenta un inganno per i consumatori ed una concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori.

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Annamaria Parlato 22/01/2023

Vlad Dracula "strega" l'Augusteo di Salerno, la nostra rilettura "gastronomica"

Nonostante le condizioni meteo avverse con grandine, pioggia, vento e gelo, sala gremita al teatro Augusteo di Salerno, e di giovani che finalmente ritornano al teatro, riappropriandosi del suo fascino. Il musical Vlad Dracula, diretto dal salernitano Ario Avecone, lo scorso 6 gennaio si presentò alla città attraverso un singolare flash mob tra le strade del centro, in preda alla folla delle Luci d’Artista, inscenando un corteo di giovani donne in abiti da sposa illuminate dalla luce fioca delle candele (le spose di Dracula) e suscitando enorme curiosità tra i passanti.

Venerdì 20 gennaio, alle ore 21:00, la prima delle tre serate ha registrato il tutto esaurito nelle vendita dei biglietti, a riprova che il genere noir o gotico ha un elevato potere attraente e attrattivo. Gioco di luci strepitoso, a cura di Alessandro Caso, lo spettacolo si è palesato come un’originale rivisitazione del romanzo di Bram Stoker, innovativa ed estremamente contemporanea, a tratti futuristica.

Vlad, interpretato dal salernitano Giorgio Adamo, è alla ricerca spasdomica della sua Elizabeth, che ritrova negli occhi della seducente Mina, moglie del giornalista Jonathan Harker. Tanti gli spunti di riflessione e gli interrogativi che il palcoscenico ha posto all’attenzione del pubblico: temi ambientalisti, il ruolo della stampa e dei giornalisti, il potere della tecnologia che può agevolare l’uomo ma anche distruggerlo con le sue bizzare macchine.

Vlad Tepes è sicuramente meno assetato di sangue e più umano, quasi un nostalgico romantico di un passato che non ritornerà, un vampiro dall’animo poeticamente addolorato per la perdita della sua amata ma non rassegnato, insomma un assassino che si lascia quasi “catturare”, mettendo a nudo le sue angosce e fragilità. Le scenografie, realizzate da Michele Lubrano Lavadera, sono ambientate nell’epoca post-industriale di fine 800 dal sapore steampunk e fantascientifico.

Un fiume di applausi ha concluso la serata, durata all'incirca due ore, godibilissima, testimonianza della creatività salernitana, un esempio di come al Sud si possano creare dei piccoli gioielli grazie al lavoro di squadra e alla bravura del team di attori che, con sacrificio, già in epoca Covid vi ha lavorato assiduamente. Avecone ha dichiarato: “Non ci speravamo più, abbiamo rinviato tante volte la tournée per via della pandemia e della chiusura dei teatri. Pensavamo di non farcela e di non ritornare più sul nostro palcoscenico, ma stasera siamo qui e sono orgoglioso della mia squadra, composta da professionisti talentuosi. Questo è il Sud che piace. Spero che Salerno ci porti fortuna e che le altre regioni d’Italia apprezzino il nostro innovativo spettacolo”.

Da Vlad a Dracula: storia e leggenda del vampiro più noto al mondo intero

Chi non conosce il vampiro più famoso del pianeta, il più sanguinario e spietato associato alla nebbiosa terra di Transilvania? Tutte le arti lo hanno sempre descritto in maniera fantasiosa, ma c’è anche un fondo di verità nella sua storia. La Transilvania, che si trova al centro della Romania, è circondata da tre parti dalle montagne dei Carpazi. Proprio qui nasce il personaggio Dracula, che dal suo castello getta panico e terrore tra le popolazioni dei villaggi circostanti.

Nel XV secolo, Enrico VI e gli Inglesi combatterono nella guerra delle Tre Rose, quando re dell’Ungheria fu il rumeno Matei Corvin e quando Mohamed II cercava di conquistare l'Europa cristiana. In questo frangente, ragioni diverse causarono la trasformazione del re della Valacchia (provincia romena) in un vampiro sanguinario. Vlad Tepes III o l’Impalatore regnò in Valacchia dal 1448 al 1476 e con la sua morte finì anche il suo regno. I ritratti lo presentano con folti baffi, naso adunco, occhi grandi e sguardo penetrante. Vlad III fu chiamato Dracula perché ereditò il soprannome del padre Vlad II chiamato Dracul, dall’ordine del Dragone. Dracula, o più correttamente Draculea, appartiene alla categoria dei nomi romeni che terminano in “ulea”.

Vlad III, conquistato il potere, fu spietato e sanguinario. Le violenze erano tra le più terribili, come il massacro del 1460, nel giorno di San Bartolomeo, quando in una città della Transilvania furono impalate 30.000 persone. Da quegli atroci delitti, Vlad III divenne per tutti Dracul, il demonio. Il principe in persona nel suo diario racconta delle carneficine, del cannibalismo e del modo in cui impalava le vittime, tra le quali bambini e donne, ma anche vergini di cui si narra raccogliesse il sangue per berlo con vino ed alcol. I pali che servivano per uccidere i nemici erano studiati per accelerare o rallentare l’agonia, e a seconda della vittima usava pali diversi. Questi accadimenti storici ispirarono sicuramente lo scrittore Stoker per dar vita al suo famoso romanzo, pietra miliare nella letteratura vampirica.

Se Dracula diventasse per un attimo umano, cosa apprezzerebbe maggiormente a tavola?

Il musical, la storia e la letteratura hanno fatto sorgere spontaneamente, in chi scrive e si occupa da tempo di enogastronomia, questo interrogativo. Probabilmente il conte non abbandonerebbe del tutto il sangue ma andrebbe alla ricerca di preziosi alimenti richiamanti e contenenti il liquido rosso. Partendo dalla scelta del vino, si orienterebbe verso pregiati rossi italiani, come il Sangue di Giuda DOC dell’Oltrepò Pavese che può accompagnare formaggi stagionati, primi corposi, salumi oppure, nella variante dolce, dessert secchi a base di confetture come le crostate; o il Sangue di Drago, meglio noto come Teroldego Rotaliano DOC, un vino che nasce da un vitigno autoctono del Trentino, dal colore intenso, quasi nero, corposo e ricco, ottimo se abbinato alle carni succulente.

Un cocktail che piacerebbe di sicuro a Dracula potrebbe essere un classico Bloody Mary a base di vodka, succo di pomodoro e spezie piccanti o aromi come la salsa Worcestershire, il tabasco, il consommé, il cren, il sedano, il sale, il pepe nero, il pepe di Caienna e il succo di limone, forse associato alla figura di Maria I d’Inghilterra, detta la Sanguinaria. Tra i cibi non disdegnerebbe carni alla brace dalla tipica cottura al “sangue”, insaccati con sangue come i boudin alpini, le mustardele piemontesi, i sanguinacci lombardi, i mallegati toscani, i sangùnèt pugliesi, i mazzafegato umbri, le susianelle laziali, i sanguineddi sardi.

Ancora, ingurgiterebbe sanguinacci campani al cioccolato, oggi privi di sangue di maiale perché in Italia dal 1992 ne è stata vietata la vendita, compagni fedeli di chiacchiere nel periodo carnevalesco anche in Basilicata e Calabria; il migliaccio di Carnevale, che anticamente era a base di sangue e miglio, il sangue fritto di maiale cotto con alloro, scorze di agrumi e poi soffritto in padella con sugna e cipolle, condimento ideale per gli spaghetti, la torta di sangue tipica del settentrione con formaggio, latte e pangrattato.

Nei secoli, l’uso del sangue per scopi alimentari fu spesso vietato. Nell’ebraismo biblico il tabù del sangue risale alla notte dei tempi. Il Genesi descrive le prime generazioni di uomini come vegetariani, con un’alimentazione prevalentemente a base di frutta. Nel VII secolo d.C., precisamente nel 692, il Concilio Quinisesto (Quinisextum), tenuto a Costantinopoli, vietò espressamente il consumo di qualsiasi alimento contenente sangue. Solo più tardi, a partire dalla fine del XIX secolo, gli alimenti contenenti sangue come ingrediente cominciano ad essere tollerati. Dracula in ogni caso nel XXI secolo avrebbe l’imbarazzo della scelta, storcerebbe un tantino il naso per agli e cipolle ma resterebbe soddisfatto di un sanguigno percorso degustativo tra i prodotti tipici regionali italiani.

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Redazione Irno24 29/10/2024

"Salerno Dolcissima" dal 31 ottobre al 3 novembre a Santa Teresa

Dal 31 ottobre al 3 novembre 2024, a Santa Teresa, sul lungomare Trieste, la fiera del cioccolato artigianale "Salerno Dolcissima". L'evento, promosso da CNA, è organizzato e realizzato da Associazione Italia Eventi e gode del patrocinio del Comune di Salerno e della Camera di Commercio di Salerno.

Tanto buon cioccolato artigianale, caratteristici dolci della tradizione italiana, torroni della tradizione siciliana, cremini, croccanti di nocciola, spalmabili alla nocciola di Giffoni IGP. Fra gli appuntamenti: laboratori, salotti del dolce, show cooking dedicati al cioccolato e ai dolci della tradizione salernitana.

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