Sul lungomare di Salerno la tavoletta di cioccolato più lunga del mondo

L'artefice sarà Mirco Della Vecchia, noto per i suoi numerosi Guinnes World Record

Redazione Irno24 22/10/2025 0

Il prossimo 2 novembre, alle ore 17:00, il Lungomare di Salerno accoglierà un record dolcissimo. A raggiungerlo sarà il maestro cioccolatiere Mirco Della Vecchia, noto per i suoi numerosi Guinnes World Record, guadagnati realizzando sculture e preparazioni di cioccolato sorprendenti. A coadiuvarlo un altro straordinario artigiano: il perugino Fausto Ercolani.

Questa volta, nell’ambito delle attività di "Salerno Dolcissima", darà vita alla tavoletta di cioccolato più lunga al mondo. Gli oltre 35 metri di dolcezza uniranno e racconteranno l’intero territorio salernitano, con la presenza dei limoni della Costa d’Amalfi e dei fichi del Cilento. Al termine della preparazione, tutti coloro i quali avranno scelto di acquistare dagli artigiani e dai produttori del mercatino potranno degustare gratuitamente l’originale creazione dolciaria.

La kermesse "Salerno Dolcissima", una delle tappe itineranti del tour di Choco Italia, prenderà il via giovedì 30 ottobre 2025 e proseguirà fino a domenica 2 novembre sul lungomare, all’altezza della spiaggetta di Santa Teresa. E' promossa dalla CNA Salerno, organizzata dall’Associazione Italia Eventi, con il patrocinio del Comune di Salerno, della Camera di Commercio di Salerno, dell’UNOE e dell’Associazione The Chocolate Way.

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Annamaria Parlato 21/09/2024

La milza di San Matteo e la rivalutazione del "quinto quarto" in cucina

La rivalutazione del "quinto quarto" nella cucina italiana è un fenomeno che ha preso sempre più piede negli ultimi anni, grazie all'interesse per la sostenibilità, il rispetto delle materie prime e la riscoperta della cucina tradizionale. Questo termine fa riferimento a tutte quelle parti meno nobili dell'animale, come frattaglie, intestini, testa, piedi, coda, milza, polmone, cuore e fegato. Queste erano storicamente considerate meno pregiate rispetto ai tagli di carne più costosi, ma oggi stanno vivendo una rinascita grazie a chef e ristoranti che ne esaltano il sapore e il valore.

Il termine "quinto quarto" proviene dalla macellazione tradizionale romana. Si divideva l'animale in quattro parti: i primi due quarti (anteriori) e i secondi due (posteriori), che includevano i tagli più pregiati. Il "quinto quarto" era tutto ciò che rimaneva, cioè frattaglie e parti meno richieste. Queste venivano destinate alle classi popolari o agli stessi macellai. Negli ultimi anni, c'è stata una riscoperta di queste parti "meno nobili", grazie a diversi fattori: innanzitutto, si guarda alla sostenibilità e lotta allo spreco alimentare, infatti con l'aumento della consapevolezza ambientale si è tornati all'idea di utilizzare tutto l'animale, riducendo gli sprechi.

Il consumo del quinto quarto permette di valorizzare tutte le parti dell'animale, in linea con la cucina sostenibile; molti piatti della cucina tradizionale italiana sono a base di frattaglie, come la trippa alla romana, la coratella con i carciofi (Lazio), il lampredotto (Firenze), la pajata e la coda alla vaccinara. Questi piatti erano tipici delle classi popolari, che non potevano permettersi tagli più pregiati. Oggi, vengono rivalutati non solo per il loro valore storico, ma anche per il loro gusto unico e ricco. I grandi chef hanno iniziato a utilizzare il quinto quarto in modo creativo, dimostrando che frattaglie e altre parti meno nobili possono essere elevate a piatti raffinati e gourmet.

La lavorazione e la cottura adeguata di queste parti rivelano sapori profondi e una consistenza interessante, portando i commensali a scoprire nuovi aspetti della cucina. Anche il pubblico ha riscoperto un interesse verso i sapori più intensi e rustici del quinto quarto, attratto dall'autenticità e dalla particolarità di questi piatti, soprattutto nelle trattorie e nei ristoranti che puntano alla tradizione. Oggi, molti ristoranti gourmet utilizzano il quinto quarto per creare piatti innovativi, spesso abbinando ingredienti moderni o tecniche di cottura particolari per esaltarne il gusto.

Ad esempio, è comune trovare tartare di cuore di vitello, paté di fegato e milza, oppure cervella fritte presentate in modo elegante. La riscoperta del quinto quarto rappresenta una combinazione di sostenibilità, rispetto delle tradizioni e creatività culinaria. Questo ritorno alle radici della cucina povera ha trovato una nuova dignità grazie alla gastronomia moderna, dimostrando che ogni parte dell'animale ha un potenziale gastronomico, se trattata con cura e rispetto.

A Salerno il 21 settembre, in occasione della festa patronale, è obbligatorio consumare il piatto tradizionale: a meveza ‘mbuttunata, che ormai si trova dappertutto, perfino nelle pizzerie. La ricetta antica e casalinga è sempre la più richiesta, assieme a quella delle macellerie che la vendono da asporto. Per prepararla bisogna avviarsi il giorno prima, in quanto la pietanza deve riposare nei suoi umori a base di aglio, olio, aceto, prezzemolo e peperoncino. Pulire e tagliare la milza, rigorosamente di vitello, a mo' di sacca, richiede un po' di attenzione e precisione, poiché si tratta di un organo delicato.

Ecco i passaggi da seguire per trasformare la milza in una sorta di "sacca" da riempire o lavorare successivamente. Si inizia risciacquando la milza sotto acqua fredda, per eliminare eventuali residui di sangue e impurità. Con un coltello affilato, bisogna rimuovere la pellicina esterna della milza. Questa è una sottile membrana che copre l'organo e deve essere eliminata perché potrebbe diventare gommosa durante la cottura. Per ottenere una forma a sacca, si deve eseguire un’incisione lungo uno dei lati della milza. E’ meglio utilizzare un coltello affilato, cercando di non tagliare troppo in profondità, per evitare di forare l'organo. Praticare poi un taglio lungo e orizzontale, in modo da aprire la milza come fosse una tasca o una busta.

E’ necessario mantenere intatta la struttura esterna della milza per poterla poi farcire o lavorare ulteriormente. Una volta incisa la milza, all'interno si possono trovare piccole vene o tessuti più duri. Utilizzare un cucchiaio o le dita per rimuovere i tessuti interni più fibrosi o duri, facendo attenzione a non rompere la "sacca" esterna. Dopo averla pulita, bisogna sciacquarla nuovamente sotto acqua fredda per eliminare eventuali residui interni. Ora la milza è pronta per essere utilizzata come sacca.

Si imbottisce a questo punto con prezzemolo, aglio, un pò di sale e peperoncino, fino a riempirla per intero, e poi si cuce l'apertura con del filo. In una pentola alta e larga, si fa soffriggere l’olio extravergine con l’aglio. Dopodiché si inserisce la milza e si fa dorare su tutti i lati. Un volta dorata, si sfuma con abbondante aceto nero, acqua e sale, e si lascia cuocere per altre due ore. Raffreddata e tagliata a fette spesse, di modo che se ne possa riconoscere anche l’imbottitura, si lascia riposare con il suo condimento in frigorifero, pronta per essere gustata il giorno dopo, racchiusa in un panino o consumata come secondo piatto. L’odore di aceto sarà penetrante, ma questa tecnica antica è tipica della cucina tradizionale salernitana, che oggi si sta cercando di recuperare.

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