La viticoltura salernitana e i vini Colli di Salerno IGT
La vite fu impiantata già in epoca greco-fenicia e oggi c'è una rivalutazione dei vitigni autoctoni
Annamaria Parlato 30/05/2023 0
La storia del vino in Campania è antica e ricca di tradizioni. La regione, situata nel sud Italia, è stata un'importante area viticola fin dai tempi dell'antica Grecia e dei Romani. Durante l'era greca, la Campania era conosciuta come "Enotria", "terra del vino". Se le origini del vino indoeuropeo vengono all’unisono individuate nella regione del Caucaso, è altrettanto accertato che gli insediamenti greci e fenici in Campania hanno rappresentato il lasciapassare per un gran numero di cultivar orientali, prima della loro diffusione in alcune zone dell’Europa continentale.
La Campania è uno dei territori più importanti al mondo per quantità e varietà di vitigni storicamente coltivati. Un patrimonio ampelografico di notevole valore, costituitosi in circa tre millenni grazie alla posizione strategica sul Mediterraneo. Le migliori bottiglie campane sono da sempre prodotte con uve autoctone e questo è uno dei principali fattori di distinguo del distretto: sono vini per molti versi dal carattere unico, non standardizzati e non facilmente replicabili, che suscitano un crescente interesse tra gli operatori e appassionati di settore.
Gli antichi Greci introdussero la coltivazione della vite nella regione e svilupparono tecniche avanzate di coltivazione e vinificazione. I vini campani, come il celebre "Falerno" e il "Greco di Tufo", erano altamente apprezzati e diffusi nell'antichità. In epoca romana, i vini campani continuarono a godere di una grande reputazione. Plinio il Vecchio lodò l'eccellenza dei vini campani nella sua "Naturalis Historia". La regione era famosa per il "Falerno", il "Falerio" e il "Greco".
Nel corso dei secoli, la viticoltura in Campania ha subito alti e bassi a causa di eventi storici, come le invasioni barbariche, le guerre e le epidemie. Tuttavia, la tradizione vinicola è sopravvissuta grazie alla passione e alla dedizione dei produttori locali. Nel XX secolo, la regione ha affrontato sfide come la fillossera e la perdita di interesse per i vini locali, a favore di vini provenienti da altre regioni italiane. Tuttavia, negli ultimi decenni, c'è stato un rinascimento della viticoltura campana, con un rinnovato interesse per i vini di qualità prodotti nella regione.
Oggi, la Campania è nota per la produzione di bianchi e rossi di alta qualità. I produttori campani stanno lavorando per valorizzare le caratteristiche del territorio, utilizzando metodi di coltivazione sostenibili e adottando tecniche di vinificazione moderne. La storia del vino in Campania continua ad evolversi, con un impegno costante per la qualità e l'identità territoriale, offrendo ai consumatori una vasta gamma di vini unici e apprezzati in tutto il mondo.
La città di Salerno ha una tradizione vinicola che affonda nella storia della regione. Nonostante non sia una delle principali zone di produzione vinicola della provincia, ci sono alcune aziende vinicole che producono vini di qualità nella zona. Nella città di Salerno, e nelle sue immediate vicinanze, è possibile trovare vigneti e cantine che offrono una varietà di vini bianchi e rossi. Tra le varietà di uve utilizzate nella produzione di questi vini, vi sono sia varietà autoctone che internazionali.
Alcuni dei vini tipici prodotti a Salerno e nelle zone limitrofe includono: Costa d'Amalfi DOC - questa denominazione si estende lungo la costa amalfitana e comprende anche parti della provincia di Salerno. I vini prodotti sotto questa denominazione possono essere sia bianchi che rossi, con uve come Falanghina, Biancolella, Fiano, Aglianico e Piedirosso; Paestum IGT - questa indicazione geografica tipica (IGT) comprende parte della provincia di Salerno e si estende fino all'area di Paestum. I vini prodotti in questa zona possono includere varietà autoctone come Aglianico e Fiano, ma anche internazionali come Merlot, Cabernet Sauvignon e Chardonnay;
Colli di Salerno IGP - l'Indicazione Geografica Protetta (IGP) "Colli di Salerno" è una denominazione che copre l'intera provincia di Salerno. Questa IGP comprende una vasta gamma di vini prodotti con varietà autoctone e internazionali, offrendo una diversità di stili e caratteristiche. Il disciplinare dell'IGP (Indicazione Geografica Protetta) "Colli di Salerno" stabilisce le regole e i requisiti che i produttori devono seguire per ottenere il marchio di qualità "Colli di Salerno" per i loro prodotti agricoli e alimentari.
Ecco alcuni punti chiave del disciplinare dell'IGP "Colli di Salerno"
1. Area geografica: L'IGP "Colli di Salerno" si applica ai prodotti provenienti da un'area geografica specifica nella provincia di Salerno; 2. Viticoltura: Vengono utilizzate varietà di uve autorizzate per la zona, che possono includere sia varietà autoctone che internazionali; 3. Regole di produzione: Il disciplinare stabilisce le norme riguardanti la coltivazione delle uve, le pratiche di vinificazione, l'invecchiamento dei vini e le caratteristiche organolettiche desiderate.
4. Etichettatura: I prodotti che ottengono l'IGP "Colli di Salerno" devono rispettare le specifiche regole di etichettatura, che includono informazioni come l'origine geografica, il nome del prodotto e l'indicazione dell'IGP; 5. Controllo e certificazione: Un ente di controllo designato è responsabile del monitoraggio e della certificazione dei prodotti che desiderano ottenere l'IGP "Colli di Salerno". Questo garantisce che i produttori rispettino le regole e i requisiti del disciplinare.
Il terroir di Salerno è l'insieme di fattori naturali e umani che contribuiscono alle caratteristiche uniche dei vini prodotti nella provincia di Salerno. Questi fattori includono il clima, il suolo, l'altitudine, la topografia e le pratiche agricole tradizionali. Clima: La provincia di Salerno è influenzata dal clima mediterraneo, con estati calde e secche e inverni miti e umidi. L'ampia variazione termica giornaliera contribuisce alla maturazione e all'equilibrio delle uve;
Suolo: Il terreno varia notevolmente nell'area di Salerno, con una combinazione di suoli vulcanici, calcarei e argillosi. Questa diversità di suoli conferisce ai vini una vasta gamma di caratteristiche, influenzando il profilo aromatico, la struttura e l'espressione delle varietà di uve coltivate; Altitudine e topografia: La provincia di Salerno presenta una notevole varietà di altitudini e topografie. Ci sono zone di pianura, colline e montagne, che influenzano la distribuzione delle vigne e le condizioni di coltivazione. L'altitudine può contribuire a una maggiore escursione termica, favorendo la complessità e l'equilibrio dei vini;
Pratiche agricole tradizionali: Tramandate di generazione in generazione, sono parte integrante del terroir di Salerno. Queste includono metodi di potatura, gestione delle vigne, selezione delle uve e tempi di vendemmia ottimali, che riflettono la conoscenza e l'esperienza dei viticoltori locali. Tutti questi elementi combinati contribuiscono a definire il terroir di Salerno e conferiscono ai vini una specificità e un carattere distintivo.
I vini di Salerno spesso presentano una buona struttura, una vivace acidità, aromi intensi e complessi, e riflettono l'influenza del territorio in cui sono coltivate le uve. Le principali varietà di uve coltivate nella viticoltura salernitana includono: Aglianico, una delle varietà più importanti della zona, usata per la produzione di vini rossi di qualità, come il Taurasi DOCG; Fiano, varietà bianca autoctona che produce vini bianchi freschi e aromatici, come il Fiano di Avellino DOCG; Greco, un'altra varietà bianca autoctona che viene utilizzata per produrre vini bianchi secchi e aromatici, come il Greco di Tufo DOCG; Falanghina, varietà bianca diffusa in tutta la Campania, inclusa la provincia di Salerno, ed è utilizzata per produrre vini bianchi aromatici. Sono coltivate anche varietà internazionali come Chardonnay, Merlot e Cabernet Sauvignon.
La viticoltura salernitana si concentra sulla produzione di vini di qualità, valorizzando le caratteristiche del territorio e rispettando le tradizioni locali. Le tecniche di coltivazione, la vinificazione e l'invecchiamento dei vini sono attentamente monitorati per ottenere vini che riflettano l'identità del territorio di Salerno.
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Annamaria Parlato 18/06/2024
Esplorando sapori e atmosfera al ristorante Casamare di Salerno
Il mare, con la sua mutevole natura, è capace di rispecchiare e influenzare profondamente le emozioni umane, offrendo un'esperienza sensoriale completa e unica. La vastità dell'acqua e i colori cangianti al tramonto o all'alba sono spesso fonte di ispirazione e ammirazione. "Casamare" al Corso Garibaldi di Salerno ne è la massima espressione e celebrazione, è il ricordo del suo artefice, l’architetto e chef Raffaele Vitale, che lo ha progettato nei minimi dettagli come tutti i locali a sua firma, in cui a venir fuori è il concetto di comunità in cui le persone costruiscono relazioni significative, condividono esperienze e si supportano reciprocamente per il benessere individuale e collettivo.
Dipinti dai colori pastello, acquerelli, tempere, ceramiche vietresi, l’antico e il moderno che dialogano senza dissonanze, qui ogni cosa è coinvolgente, è espressione del territorio circostante e delle persone che nel tempo lo hanno reso identitario. Gli interni sono caratterizzati da tonalità neutre come il bianco e il beige, arricchite da elementi naturali come legno e pietra. L'uso di materiali trasparenti permette alla luce naturale di illuminare lo spazio, creando un ambiente arioso e rilassante. Bello a vedersi è l’angolo dei prodotti tipici, valorizzati da Casamare, e la cucina a vista con l’espositore dei pesci e crostacei.
Entrando nel ristorante, si è subito accolti da un senso di tranquillità e freschezza, come se il mare avvolgesse i commensali. Le onde leggere che lambiscono la costa sembrano riflettersi nel design fluido e armonioso degli interni. Gli arredi sono semplici ma eleganti, con dettagli che ricordano le forme mutevoli della sabbia, dell'acqua e del cielo. Mario La Mura è stato capace di costruire passo dopo passo il locale perfetto, iniziando con il suo primo in Piazza Flavio Gioia, sino al trasferimento in quello che fu 13 Salumeria e Cucina by Casa del Nonno 13, sotto l’egida dello chef stellato Vitale. C’è stata anche una sede estiva ai Cantieri Soriente, che oggi è invece occupata dal neonato Karai Sunset di cucina giapponese, guidato dallo chef Antonio Paraco. Ai fornelli di Casamare passaggio del testimone tra diversi chef salernitani: prima Michele De Martino, poi Antonio Petrone ed infine Vincenzo Pepe, sous-chef al Re Maurì ed esperienze di lungo corso anche al Faro di Capodorso di Maiori con Pierfranco Ferrara.
La cucina marina di Pepe, con qualche infiltrazione di terra, si fa apprezzare non solo per il suo sapore fresco e di carattere, ma anche per la sua capacità di andare al sodo, di riflettere con “sentimento” la cultura e l'ambiente delle comunità costiere. È espressione culinaria che celebra le risorse naturali marine in modo gustoso, sano e sostenibile, aiutando anche i piccoli produttori del salernitano. L'essenza e la diversità del cibo proveniente dal mare si manifestano attraverso una ricca varietà di ingredienti, tecniche di preparazione e influenze regionali che celebrano e rispettano le risorse naturali marine. Questo rende la cucina di Pepe gustosa e appagante, culturalmente ricca e diversificata. C’è la possibilità di assaggiare un percorso degustazione “A Mano libera” a 75 euro, vini esclusi, intitolato Cinque Mari, dettato dall’estro dello chef ma ovviamente a la carte si potrà spaziare tra numerosi piatti sia caldi che freddi, cotti e crudi, che daranno un’idea più ampia della filosofia di cucina di Casamare. La cantina a vista è meravigliosa, occupa un intero corridoio che porta alla sala privè, abbellita da bonsai e tanto legno, ingloba etichette nazionali e internazionali per un’ampia scelta che tocca anche l’Australia.
Il benvenuto, un cannoncino al forno con spuma tonnata e salsa barbecue artigianale, è risultato un buon incipit per accogliere i due antipasti “Giardino di Primavera” e “In Tempura”, il primo un velo di seppia cotto a bassa temperatura con adagiati taccole, asparagi, fagiolini, dadolata della stessa seppia, crema di piselli e polvere di olive; il secondo una triglia di scoglio fritta farcita di fior di latte di Agerola, spinacino al burro, bottarga di tonno e gel di arancia. Delicatissima la seppia e strabiliante la triglia preparata in tempura, con impasto leggero e croccante che ha avvolto il pesce, fornendo una texture croccante all'esterno. La tempura è apparsa delicata e non ha mascherato il sapore naturale del pesce, il fiordilatte con i suoi sentori lattiginosi si è armonizzato bene con le carni saporite della triglia, stessa cosa per il burro degli spinaci che ha apportato anche una nota di sapore leggermente nocciolato e cremoso. La bottarga ha aggiunto un sapore intenso e salato al piatto, con una nota di mare che ha arricchito il profilo di gusto complessivo, il gel all'arancia ha offerto freschezza agrumata e un tocco di dolcezza che ha bilanciato il sapore salato della bottarga.
Tra i primi, attraente la Linguinetta del Pastificio Vicidomini trafilata al bronzo con scampo, zafferano e arancia candita. Lo zafferano cilentano che cresce lungo le rive del fiume Sammaro, dell’Azienda agricola Monaco, ha aggiunto un caratteristico sapore terroso e floreale al piatto. Questa spezia preziosa ha contribuito anche a donare un colore giallo dorato brillante alla salsa, a cui è stata incorporata anche la bisque dei crostacei, risultata visivamente invitante. Il mussillo di baccalà dell’azienda Rafols, ritenuta tra le migliori al mondo, cotto a bassa temperatura con carota in tre consistenze e liquirizia, ha unito sapori contrastanti e texture diverse. La variazione nelle consistenze delle carote ha aggiunto interesse e contrasto alla morbidezza del baccalà, mentre la polvere di liquirizia ha completato il piatto con un tocco insolito ma complementare. Un piatto che ha celebrato la cucina gourmet con ingredienti e sapori intriganti e sofisticati.
Il “Limonissimo”, dessert a base di panettoncino bagnato al limoncello, meringa, lemon curd, crema al timo e chantilly al limoncello, polvere di limone e cialda di lingua di gatto, ha unito note fresche e aromatiche date dal timo, che, con il suo profumo terroso e leggermente piccante, si è mescolato con la dolcezza della chantilly, creando un contrasto interessante con il limoncello e il limone. La lemon curd ha donato un'intensa nota di limone fresco e acidulo al dolce, con il suo caratteristico retrogusto di agrume che ha rinfrescato il palato.
Casamare, in conclusione, è un ristorante menzionato dalla Guida Michelin 2024, che eccelle nella rivisitazione gourmet dei piatti tradizionali italiani di pesce. La qualità delle portate, l'eleganza della location con design minimal ispirato al mare e la professionalità del servizio hanno reso la visita un'esperienza culinaria indimenticabile. Consigliato per chi desidera riscoprire i sapori tradizionali in chiave moderna e ricercata, in un contesto di grande finezza e sostenibilità.
Annamaria Parlato 23/01/2022
Quando il riso abbondava sulla tavola dei salernitani
E’ probabile che nel Medioevo il riso sia stato veramente coltivato in minime quantità nel Sud Italia, nei conventi o negli Orti dei Semplici come pianta medicinale. Si può pensare che dalla Scuola Medica Salernitana e dal monastero di Monte Cassino questa pianta abbia iniziato la sua migrazione fermandosi in Toscana, dove si hanno notizie di una coltivazione di riso nei dintorni di Pisa verso la metà del '400, mantenutasi fino alla metà di questo secolo con una varietà assai pregiata dal nome “riso di Massarosa”.
In realtà, però, a eccezione degli scambi commerciali, non si può ancora parlare di un riso italiano. Tant’è che nel 1371 un editto milanese lo classifica come “riso d’oltremare” oppure “riso di Spagna”. Il riso però ha storia e identità molto singolari, che si perdono nella notte dei tempi soprattutto nel Meridione d’Italia, anche se può risultare strano. La coltura del riso scomparve definitivamente nell’Ottocento a Salerno; oggi resta solo un lontano ricordo con una forte presenza nella gastronomia locale. La prova che Salerno sia stata città di risaie per tre secoli (XVI-XIX) è data anche dal fatto che esiste Via delle Terre Risaie, posta nella Zona Industriale della città.
La pianta del riso (Oryza sativa) si ritiene originaria dell’Asia orientale, dove era conosciuta e coltivata già in epoca preistorica. Tra il 600-700 d.C. gli Arabi la introdussero in Europa, o meglio in Spagna, e da lì iniziò a diffondersi nel Vecchio Continente. Per secoli i mercanti importarono il riso, senza riuscire a coltivarlo in modo significativo. La prima coltura vera e propria nelle piane acquitrinose nei pressi di Paestum si attribuisce agli Aragonesi ed in particolare ad Alfonso d’Aragona, dopo la conquista del regno di Napoli. Alcuni soldati spagnoli infatti avrebbero dato vita a coltivazioni nelle paludi formate dalle esondazioni del fiume Sele.
Il filosofo Simone Porta (1495-1525), parla di primo insediamento del riso in Campania, presso Salerno. Nei secoli successivi la coltura arrivò a Crotone, a Torre Annunziata, presso il fiume Sarno sino a Castellammare di Stabia, in prossimità di Cosenza, accanto ai campi di cavoli e torzelle, e da qui l’usanza di mangiare ancora oggi riso e verze. Da Salerno alla Piana di Sibari un unico territorio ricchissimo di zone paludose in cui l’unione tra le acque, il suolo e il clima resero il riso di qualità eccellente, catturando l’attenzione di scrittori, poeti e cuochi. Nel 1500 entrò a far parte dei banchetti di corte.
Il poeta napoletano Giambattista del Tufo nella sua opera “Il Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli”, declamava: “E d’estate e d’inverno farro e rise infinite da Salierno”. Il cuoco Bartolomeo Scappi descrisse la ricetta della minestra con brodo di pollo e riso, detto alla moda di Damasco: “Piglisi il riso Milanese o di Salerno che sono i migliori”. Anche Antonio Latini nel suo trattato di cucina del 1692, “Lo Scalco alla Moderna”, ribadiva: “Principato Citra. In questa provincia si ritrova ogni sorte di robba. Salerno produce li più famosi risi e in gran abbondanza”.
In seguito a Napoli e da lì anche in altri territori il riso conquistò il primato solo nelle mense dell’aristocrazia con l’arrivo dei “Monzù”, cuochi francesi chiamati a Napoli dalla Regina Maria Carolina in occasione delle sue nozze con Ferdinando IV di Borbone (1768). Con molta probabilità fu il sartù di riso ad essere servito ai nobili ospiti durante il banchetto nuziale ma si hanno ancora dei dubbi in merito. Nel Principato Citra il dolce tipico di Pasqua era la pastiera di riso, amata tutt’ora dai salernitani. Al popolino non piaceva molto perché ritenuto costoso rispetto ai maccheroni e stucchevole se bollito e privo di condimento.
Le risaie, se da un lato favorirono l’economia, dall’altro causarono enormi danni all’ambiente e alla qualità della vita. Lo stato di salute dei contadini che operavano nel Principato di Salerno fu messo a rischio a causa dell’aria insana, delle zanzare nelle paludi malsane e della malaria che mieteva vittime diffondendo febbri atroci. Nel 1820 le risaie delle piane di Salerno vennero bonificate, subendo un processo di trasformazione ambientale. Tutti gli stagni e le zone umide si tramutarono in orti irrigui, frutteti e giardini, cancellando ogni minima traccia del tempo che fu.
Oggi il riso è intensamente coltivato in Piemonte (Novara, Vercelli), Lombardia (Pavia, Milano, Mantova), Veneto (Verona, Rovigo), Emilia (Bologna, Ravenna). Il riso si semina di regola nei mesi primaverili (aprile-maggio) e si raccoglie in settembre-ottobre, al più ai primi di novembre, se si tratta di varietà a maturanza tardiva. La risaia è una porzione di terreno, leggermente inclinato per favorire l’indispensabile scolo dell’acqua di irrigazione. La circondano e la suddividono in aiuole o piavi, degli argini longitudinali e trasversali, in opportuni punti dai quali si aprono delle bocchette, attraverso cui viene data l’acqua.
Prima della semina questa superficie viene inondata ed uguagliata mediante una larga tavola di legno (spianone), trainata anticamente da cavalli. Quest’operazione ha pure la funzione di intorbidire l’acqua in modo che il limo in sospensione, depositandosi, copra il seme. A due o tre giorni dalla semina, il livello dell’acqua viene abbassato, in modo che questa, riscaldandosi più facilmente, favorisca il germogliare del riso. Successivamente, formatasi la pianticella, l’inondazione viene innalzata a poco a poco (20-30 cm al massimo).
Tra le cure necessarie durante la crescita del riso, importanti ed indispensabili sono la sua monda o mondatura dalle cattive erbe, la quale viene eseguita a mano da personale stagionale per lo più femminile (mondine): il terreno sommerso ed inzuppato facilita l’estirpazione delle piante con le loro radici e quindi la loro quasi totale distruzione. Migliori risultati si ottengono seminando in vivaio e trasportando poi le piantine di riso già formate nelle località ove s’intende procedere alla loro coltura. A maturità s’inizia il graduale abbassamento dell’acqua, fino a mettere la risaia a secco nel più breve tempo possibile; poi ha inizio la mietitura e successivamente la trebbiatura, dove si stacca il risone dalla spiga. Superate tutte queste fasi, il riso è pronto per giungere a tavola.
Redazione Irno24 09/04/2024
Campania al Vinitaly 2024, tornano protagonisti i Consorzi di Tutela
La Regione Campania partecipa alla 56a edizione del Vinitaly (a Verona dal 14 al 17 aprile 2024) con una collettiva di oltre 180 aziende dai territori protagonisti della “Campania divino”. Il padiglione Campania, un ampio spazio di 5800 mq, curato dall’assessorato all'Agricoltura e dall’assessorato alle Attività Produttive, in collaborazione con le quattro Camere di Commercio (Napoli, Caserta, Avellino e Benevento, Salerno), ospiterà gli stand delle aziende campane, raggruppati in cinque corridoi distinti in base ai territori di produzione: Irpinia, Sannio, Salerno, Caserta e Napoli.
Dopo il successo dello scorso anno, torneranno protagonisti i Consorzi di Tutela dei Vini campani, con uno spazio a loro dedicato nell’area centrale, la “piazza Campania”, che sarà un’affascinante agorà che ospiterà l’interessante programma di convegni e masterclass, con la partecipazione di wine experts internazionali.
Al suo interno sarà allestita anche l’Enoteca Regionale, organizzata con le proposte dei 7 Consorzi di Tutela Vini (Vitica, Irpinia, Sannio, Vita Salernum Vites, Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia, Penisola Sorrentina), che offriranno in degustazione al pubblico in formula continua, con il supporto dei sommelier specializzati dell'Ais Campania, i vini a marchio DOP e IGP regionali.