"Sorbole", che bontà: frutto tipico del salernitano ormai raro e dimenticato

La pianta ha origini antichissime, i frutti sono ormai una rarità e vengono catalogati in quelli "minori"

Annamaria Parlato 29/11/2022 0

Un frutto che pochi ricordano sono le sorbe, piccoli portafortuna molto diffusi tra contadini e pastori, consumati durante il periodo invernale e natalizio. I frutti venivano in passato usati a scopo alimentare, ma oggi non vengono quasi più adoperati. Il sorbo, tipico della Macchia Mediterranea, con i suoi frutti è una pianta antichissima: le prime notizie risalgono al 400 a.C. in Grecia; i Romani lo fecero conoscere al resto dell’Europa.

Virgilio, nelle Georgiche (III, 380), narrando di popolazioni che vivevano nell’Europa dell’Est, a nord del Mar Nero, racconta che, dopo le cacce al cervo nella neve, si riunivano in grotte dove accendevano grandi fuochi e bevevano una miscela di orzo fermentato e acide sorbe. L’etimologia del latino sorbus è incerta: secondo alcuni deriverebbe dal verbo sorbeo, ossia bere, assorbire, in quanto i frutti del sorbo arrestano i flussi dell’intestino. Dioscoride e Galeno erano concordi su quest’uso terapeutico.

Tuttavia, pare assai più verosimile un’etimologia indoeuropea, da sor-bho cioè rosso, corrispondente al colore dei frutti. Con il termine sorbo si indicano alcune specie vegetali appartenenti alle Rosacee (Dicotiledoni), che si presentano come piccoli alberelli o grossi cespugli. Producono fiori regolari, a cinque petali liberi, generalmente biancastri, e maturano piccoli frutti globosi o oblunghi, giallastri o rossi.

Molto noto nella regione mediterranea è il Sorbo domestico (Sorbus domestica o Pirus domestica), già conosciuto nei secoli passati, con foglie imparipennate e foglioline seghettate al margine. Esso produce frutti, le sorbe, che sono raggruppati e penduli; ora essi assomigliano a piccole pere, ora a minuscole mele di color giallo-verdastro, e vengono raccolti ancora acerbi in autunno, per essere conservati sulla paglia fino a completa maturazione, o meglio, all’ammezzimento.

In tali condizioni, la loro polpa brunastra assume un sapore acidulo e aromatico, gradevole. I pomi diventano scuri, morbidi e saporiti per una trasformazione enzimatica. Il frutto maturo ha un contenuto di zuccheri di circa il 20% e viene consumato al naturale o utilizzato per la preparazione di marmellate. I frutti del sorbo domestico erano più diffusi nei secoli passati; negli ultimi decenni, il consumo e la diffusione dei frutti sono andati via via in diminuzione.

Oggi sono considerati una rarità e vengono catalogati nei frutti dimenticati o frutti minori. Vi sono diverse varietà: la sorba agostina, o suovero agostegno, che matura in fine agosto; la sorba autunnale, o suovero a panella, di color giallo e rosso, molto grande, matura a settembre; la sorba capitana, che matura in dicembre; la sorba pera tortona che matura in inverno; la sorba varrecchiare matura da dicembre a febbraio; le sorbe antignane, dal colore rosso-verde, maturano in dicembre e si presentano in bei grappoli o schiocche.

Vi sono ancora le sorbe nataline e le pascarole, ma si deve considerare che in luoghi diversi la stessa varietà è chiamata con nomi differenti. Le sorbe capitane e le antignane sono le più pregiate in quanto a pezzatura e a sapore. “O mazzo o ‘a ceppa ‘e sovere” si tiene appeso sul terrazzino e si spizzicano i frutti squisiti, man mano che diventano maturi. Nelle leggende europee il sorbo è una pianta che protegge chi ne possiede un esemplare, scacciando in questo modo gli spiriti maligni. “Sorbole” (cioè sorbe) è anche una tipica esclamazione dialettale bolognese, che sta ad indicare stupore, meraviglia, sorpresa.

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Annamaria Parlato 05/08/2025

"Somarè", i profumi di Salerno a Vietri: si eccelle in piatti di mare e pizze

A Vietri sul Mare, dove ogni scorcio sembra uscito da una fiaba colorata, la ceramica è un linguaggio vivo, che racconta di mare, artigianato e identità. Tra le sue viuzze, intrise di salsedine e smalto, c’è un luogo che da più di cent’anni custodisce questa tradizione: "Somarè", già ristorante dal 1920 col nome di "Trattoria Da Raffaele", in un palazzo ottocentesco adiacente alla fabbrica Pinto, ora pizzeria e trattoria dall’anima profondamente mediterranea.

Il nome evoca subito la figura dell’asiniello, simbolo umile e tenace della costiera, ma anche protagonista delle maioliche vietresi, dove spesso compare con ironia e grazia. Oggi, quel piccolo asino carico di ceste di limoni diventa anche simbolo di rinascita gastronomica, nel segno della semplicità e della memoria. Ogni angolo sembra decorato dalla mano leggera di un artista. Qui la ceramica è linguaggio, identità, materia viva.

A guidare la cucina è Michele De Martino, salernitano doc, chef sensibile e intuitivo, che, dopo l’ultima esperienza al "Nobi" di Fisciano, ha trovato a "Somarè" nuova linfa creativa, un respiro più libero e più vero. Ha portato con sé tutti i profumi del centro storico di Salerno, lasciandoli evolvere in piatti semplici, profondi, da trattoria meditativa. Il risultato è una cucina essenziale, fatta di pescato freschissimo, ortaggi locali e intuizioni lente: pochi gesti, grande ascolto, materia prima come bussola.

"Basta. 'Chi a vò cott e chi a vò crur'. Somarè è il posto che ho sempre sognato di vivere alla fine del mio percorso professionale – racconta De Martino – stanco dello stress delle preparazioni elaborate che spesso sovrastano e snaturano il menù. La mia sarà una tavola conviviale, dove assaggiare sapori di una cucina di territorio e di tradizione. L’obiettivo è far mangiare i miei clienti senza fargli guardare il menù, perché l’impegno è quello di sorprendere con un buon bicchiere di vino, una buona pizza e un’atmosfera da favola".

Accanto a lui, al forno, Michelangelo Casale, pizzaiolo partenopeo di nascita ma irpino d’adozione, noto per aver firmato alcune delle più apprezzate pizze dell’Irpinia contemporanea, già titolare della celebre pizzeria a Serino "Arte Bianca" e figura di riferimento nella scena dell’impasto diretto. Qui, Casale si rimette in gioco con pizze fragranti e scioglievoli, che stanno conquistando palati e cuori. Il maestro pizzaiolo, come De Martino, crede nell’equilibrio e nel ritorno all’essenziale.

Il progetto porta la firma di un trio affiatato: Riccardo Faggiano, già gestore di tre locali a Vietri, Gian Marco Baldi, e lo stesso De Martino, che entra anche come socio. Una squadra che crede nel territorio, nei ritmi lenti, nella qualità quotidiana. "Senza fretta ma senza sosta" è il motto di Faggiano, che ben sintetizza lo spirito del locale: rispetto per i tempi giusti, attenzione al dettaglio e voglia di crescere con radici ben piantate nel territorio.

Il percorso di degustazione comincia in leggerezza, con le seppioline pizzute sbollentate all’insalata, accompagnate da sedano, pomodori estivi e cipollotto nocerino crudo. Un piatto fresco, pulito, da godimento, che racconta il mare in purezza. A seguire, i totanetti e patate "arrecanati" alla salernitana, impreziositi con pecorino e basilico: la crosticina croccante si fonde con la morbidezza del totano, in un’esplosione di sapore popolare e confortante. I tubetti del pescatore sono un must della casa: molluschi, crostacei, pomodorini gialli e rossi si abbracciano in un sugo denso, profumato, che sa di porto e di scogli, di reti e vento. Poi, protagonista assoluto, il trancio di tonno alalunga, scottato al punto giusto, servito con scarola ripassata, olive e capperi: ancora un omaggio alla cucina salernitana di mare, elegante e intensa.

E infine, la pizza. La bufalina - margherita con mozzarella di bufala campana - è un piccolo capolavoro di equilibrio; base leggera, impasto diretto, cornicione fragrante, ingredienti di altissima qualità: pomodori, olio, farine. A chiudere, il tiramisù della casa, servito al bicchiere: cremoso, calibrato, goloso senza eccessi. Un dolce finale semplice ma perfetto. A impreziosire la degustazione un calice di Vetere, rosato dell’azienda agricola San Salvatore. Vino fresco e sapido, con note di melograno, violetta, glicine e macchia mediterranea, ha accompagnato con eleganza l’intero percorso, sposando in particolare i piatti di mare e i sapori iodati della trattoria. Un abbinamento territoriale, sincero, mai scontato, che completa l’esperienza sensoriale e valorizza la filiera campana del gusto.

Durante la visita, il locale era animato da clienti affezionati, molti dei quali habitué che conoscono Somarè come si conosce un luogo di famiglia. Intervistati, hanno raccontato di una cucina costante nella qualità a soli due mesi dall’inaugurazione, e soprattutto hanno sottolineato la freschezza del pesce, che arriva ogni giorno dalla Società Cooperativa di pescatori "A Paranza" di Salerno. È una filiera cortissima, quasi a metro zero, che garantisce freschezza e coerenza con la vocazione marina della casa. Un tratto distintivo che si sente in ogni boccone.

Aperto anche a pranzo il sabato e la domenica, Somarè è una fucina di memorie vive, dove la ceramica incontra la cucina, il fuoco del forno si fa carezza, e il mare diventa racconto. È il luogo dove i sapori non si impongono ma dialogano con il palato. Dove si mangia bene, ma soprattutto si torna volentieri. Perché qui, tra Vietri, Salerno e l’Irpinia, ogni cosa ha un senso, e tutto sa di casa, di sincerità e di bellezza.

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Redazione Irno24 02/05/2023

I vini di Salerno in tour nelle cinque province campane

Cinque appuntamenti da non perdere nel mese di Maggio all'insegna del "vigneto Salerno", nel contesto del progetto CampaniaWine. Il Consorzio Tutela Vini Salerno, infatti, propone un tour nelle cinque province campane (in basso la locandina), finalizzato a sviluppare la conoscenza dell'identità delle DO/IG e del territorio, attraverso incontri divulgativi e degustazioni.

A partire dal 4 Maggio, sono in programma cinque serate-aperitivo: si comincia dal casertano e si chiude in Irpinia (il 30 Maggio), passando per Salerno (il giorno 5), Napoli (il 16) e il beneventano (il 17).

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Annamaria Parlato 26/02/2025

"Pizzà Identità Gastronomiche", l'arte incontra il gusto nel cuore di Salerno

Nel cuore della tradizione gastronomica salernitana, un locale aperto nella primavera del 2022 sta conquistando sempre più spazio nel panorama culinario locale: "Pizzà Identità Gastronomiche", vera e propria espressione identitaria che affonda le radici nella cultura popolare e nella storia della città. Gestito da Nicola Monetti, in collaborazione con Vittorio Di Giovanni, "Pizzà Identità Gastronomiche" nasce con l'obiettivo di valorizzare gli ingredienti del territorio e reinterpretare la tradizione in chiave moderna. Il locale si distingue per un'attenzione particolare alla qualità delle materie prime e alla ricerca gastronomica.

Nicola Monetti, CEO e founder del locale, ha maturato questa idea dopo le sue esperienze all'estero. Il periodo del Covid lo ha portato a riflettere sulla necessità di creare un progetto innovativo, capace di rompere gli schemi a Salerno e lasciare un segno nel panorama gastronomico della città. "Volevamo creare un luogo che fosse più di una semplice pizzeria, un punto di incontro tra il cibo e l'arte, tra la tradizione e l'innovazione", racconta Monetti. "Ogni pizza narra una storia e porta con sé un pezzo della nostra identità".

Il maestro pizzaiolo Vittorio Di Giovanni, invece, ha affinato la sua arte nel salernitano, lavorando accanto a validi professionisti del settore. "Studiamo con cura ogni impasto e ogni combinazione di ingredienti, spesso ispirandoci alle opere d'arte esposte nel locale. Il nostro obiettivo è creare un’esperienza sensoriale completa, che coinvolga gusto e vista". In sala la cordialità di Arianna Giannattasio, supervisor anche della pasticceria.

Ciò che rende unica la proposta di "Pizzà Identità Gastronomiche" è il suo legame con il territorio. A differenza della classica pizza napoletana, qui l'impasto e la cottura vengono studiati per esaltare il sapore degli ingredienti locali. Il locale sorge in Vicolo Masuccio Salernitano, un luogo storico che, ai tempi della Scuola Medica, era un crogiolo di etnie, mestieri e religioni. Questo contesto arricchisce ancora di più l’identità culturale e gastronomica del ristorante dove Monetti e Di Giovanni hanno selezionato prodotti tipici come il tartufo di Colliano, il pomodoro rosa di Rofrano e la robiola di capra cilentana, creando un ponte tra passato e presente.

Grande attenzione è riservata alle verdure, che provengono dai contadini del territorio circostante, al pescato fresco, all’olio extravergine d’oliva, così come alla selezione di vini provenienti da cantine spesso poco note, ma di grande qualità. Lo stesso vale per i salumi e i formaggi, scelti con cura per garantire un'esperienza gastronomica autentica e radicata nella cultura locale. Dal punto di vista tecnico, l'impasto delle pizze segue un processo indiretto, con una lievitazione totale che raggiunge anche le 72 ore. La base è un blend di farine di tipo 1 macinate a pietra, caratterizzato da un'alta idratazione, che conferisce leggerezza e digeribilità ai prodotti finali.

Ma "Pizzà Identità Gastronomiche" è anche un laboratorio sperimentale di ricerca artistica. Il locale promuove l'arte attraverso vernissage e personali di giovani artisti emergenti, creando un ambiente che fonde cultura visiva e culinaria. Le pizze, infatti, vengono spesso ideate ispirandosi alle opere esposte, cogliendo i significati sociali e culturali che si celano dietro ogni creazione artistica.

Attualmente, il locale ospita la rassegna "Il Segno dell'Eccellenza – Missione Creatività", giunta al suo terzo appuntamento. Il progetto, voluto da Nicola Monetti e curato artisticamente da Giuseppe De Martino, in arte Amed, ha lo scopo di promuovere giovani talenti emergenti. Le opere alle pareti sono dell'artista Francesco Quaranta, che utilizza la tecnica della spatola per creare composizioni di forte espressività e profondità emotiva. I suoi lavori spaziano tra ritratti, paesaggi e rappresentazioni astratte, trasformando la materia pittorica in un vero e proprio specchio dell’anima.

La spatola gli consente di stendere il colore in modo energico, donando alle opere una tridimensionalità capace di catturare lo sguardo dello spettatore e invitarlo a esplorare i dettagli nascosti dietro ogni pennellata. Fino al 16 marzo, sarà possibile ammirare le opere di Quaranta e contribuire alla causa dell’associazione "Differenza Donna", impegnata nella tutela dei diritti delle donne e nella lotta contro la violenza di genere. L’artista ha messo in vendita alcuni lavori della serie "One Love" con una lotteria che consentirà di vincere un’opera 100×100 cm. Parte del ricavato sarà destinato, come detto, a "Differenza Donna", per sostenere le attività a favore delle donne in difficoltà, aiutandole a denunciare soprusi e trovare opportunità di crescita e riscatto.

L’esperienza degustativa invece è iniziata con un tris di polpettine, o meglio di piccoli bonbon, dove ogni boccone è stato un’esplosione di sapori: la prima, con crema di friarielli e salsiccia al vino rosso, ha avvolto il palato con il gusto intenso della tradizione; la seconda, con crema di zucca, nduja e stracciatella di mucca, ha offerto un contrasto tra dolcezza, piccantezza e cremosità; la terza, con confettura di pera, blu di bufala e pera, ha regalato un perfetto equilibrio tra dolce e sapido.

La cena è proseguita con una pizza unica, la "Zucca&Rhum", dove la crema di zucca ha disarmato le papille gustative con la sua dolcezza vellutata, mentre il Corsaro – un erborinato bufalino affinato al Rum Hampden 8 anni – è esploso con note aromatiche intense. L’uva passa contenuta nel formaggio ha aggiunto un tocco di dolcezza, così come le fave di cacao, per non parlare delle trebbie di orzo maltato che hanno donato profondità al morso, mentre il fior di latte e il lardo di Patanegra hanno arricchito la pizza con una cremosità e una sapidità perfettamente bilanciate. Le chips di topinambur hanno apportato croccantezza, mentre il timo limonato e la brezza di rum hanno completato il lievitato contemporaneo con freschezza e una lieve nota eterea.

Per concludere, un dessert che ha esaltato la provincia salernitana: la ricotta di bufala cremosa si è fusa con la confettura di fichi bianchi del Cilento, mentre il crumble di biscotto alla nocciola di Giffoni ha donato una nota croccante che ha chiuso l’esperienza con equilibrio. Il tutto è stato accompagnato dal Pian di Mòntena Rosso IGP Campania dell'azienda Tenuta San Benvenuto a Giovi, nata nel 2018 dalla passione di Benvenuto e Mauro Vicinanza per il settore vitivinicolo. Un blend di Merlot 30% e Aglianico 70% dal colore rosso rubino intenso, con tannini eleganti e un bouquet che ha richiamato frutti di bosco, amarena e leggere note speziate, capace di accompagnare con eleganza la complessità gustativa dell’intero percorso gastronomico.

Al calice si è presentato con un intenso rosso rubino, dai riflessi profondi e luminosi; al naso, il bouquet è stato ricco e avvolgente: sono emerse note di frutti di bosco maturi, amarena e prugna, accompagnate da eleganti sentori speziati di pepe nero, tabacco dolce e cacao. Un leggero accenno balsamico ha profuso ulteriore profondità e floridezza. Al palato, la struttura è risultata morbida e vellutata, con tannini fini ed equilibrati che hanno accarezzato i sapori senza sovrastarli. L'affinamento di 3 mesi in acciaio e 3 mesi in barrique, e infine in bottiglia, ha conferito al vino un'eccellente armonia tra la morbidezza del Merlot e la vivacità dell'Aglianico, regalando un sorso persistente e ricco di sfumature. Il finale si è rivelato lungo, con un retrogusto che ha evocato note di frutta rossa, cioccolato fondente e leggere tostature di legno.

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