"Somarè", i profumi di Salerno a Vietri: si eccelle in piatti di mare e pizze
La cucina meditativa dello chef De Martino incontra la perfezione dell’arte bianca del maestro Casale
Annamaria Parlato 05/08/2025 0
A Vietri sul Mare, dove ogni scorcio sembra uscito da una fiaba colorata, la ceramica è un linguaggio vivo, che racconta di mare, artigianato e identità. Tra le sue viuzze, intrise di salsedine e smalto, c’è un luogo che da più di cent’anni custodisce questa tradizione: "Somarè", già ristorante dal 1920 col nome di "Trattoria Da Raffaele", in un palazzo ottocentesco adiacente alla fabbrica Pinto, ora pizzeria e trattoria dall’anima profondamente mediterranea.
Il nome evoca subito la figura dell’asiniello, simbolo umile e tenace della costiera, ma anche protagonista delle maioliche vietresi, dove spesso compare con ironia e grazia. Oggi, quel piccolo asino carico di ceste di limoni diventa anche simbolo di rinascita gastronomica, nel segno della semplicità e della memoria. Ogni angolo sembra decorato dalla mano leggera di un artista. Qui la ceramica è linguaggio, identità, materia viva.
A guidare la cucina è Michele De Martino, salernitano doc, chef sensibile e intuitivo, che, dopo l’ultima esperienza al "Nobi" di Fisciano, ha trovato a "Somarè" nuova linfa creativa, un respiro più libero e più vero. Ha portato con sé tutti i profumi del centro storico di Salerno, lasciandoli evolvere in piatti semplici, profondi, da trattoria meditativa. Il risultato è una cucina essenziale, fatta di pescato freschissimo, ortaggi locali e intuizioni lente: pochi gesti, grande ascolto, materia prima come bussola.
"Basta. 'Chi a vò cott e chi a vò crur'. Somarè è il posto che ho sempre sognato di vivere alla fine del mio percorso professionale – racconta De Martino – stanco dello stress delle preparazioni elaborate che spesso sovrastano e snaturano il menù. La mia sarà una tavola conviviale, dove assaggiare sapori di una cucina di territorio e di tradizione. L’obiettivo è far mangiare i miei clienti senza fargli guardare il menù, perché l’impegno è quello di sorprendere con un buon bicchiere di vino, una buona pizza e un’atmosfera da favola".
Accanto a lui, al forno, Michelangelo Casale, pizzaiolo partenopeo di nascita ma irpino d’adozione, noto per aver firmato alcune delle più apprezzate pizze dell’Irpinia contemporanea, già titolare della celebre pizzeria a Serino "Arte Bianca" e figura di riferimento nella scena dell’impasto diretto. Qui, Casale si rimette in gioco con pizze fragranti e scioglievoli, che stanno conquistando palati e cuori. Il maestro pizzaiolo, come De Martino, crede nell’equilibrio e nel ritorno all’essenziale.
Il progetto porta la firma di un trio affiatato: Riccardo Faggiano, già gestore di tre locali a Vietri, Gian Marco Baldi, e lo stesso De Martino, che entra anche come socio. Una squadra che crede nel territorio, nei ritmi lenti, nella qualità quotidiana. "Senza fretta ma senza sosta" è il motto di Faggiano, che ben sintetizza lo spirito del locale: rispetto per i tempi giusti, attenzione al dettaglio e voglia di crescere con radici ben piantate nel territorio.
Il percorso di degustazione comincia in leggerezza, con le seppioline pizzute sbollentate all’insalata, accompagnate da sedano, pomodori estivi e cipollotto nocerino crudo. Un piatto fresco, pulito, da godimento, che racconta il mare in purezza. A seguire, i totanetti e patate "arrecanati" alla salernitana, impreziositi con pecorino e basilico: la crosticina croccante si fonde con la morbidezza del totano, in un’esplosione di sapore popolare e confortante. I tubetti del pescatore sono un must della casa: molluschi, crostacei, pomodorini gialli e rossi si abbracciano in un sugo denso, profumato, che sa di porto e di scogli, di reti e vento. Poi, protagonista assoluto, il trancio di tonno alalunga, scottato al punto giusto, servito con scarola ripassata, olive e capperi: ancora un omaggio alla cucina salernitana di mare, elegante e intensa.
E infine, la pizza. La bufalina - margherita con mozzarella di bufala campana - è un piccolo capolavoro di equilibrio; base leggera, impasto diretto, cornicione fragrante, ingredienti di altissima qualità: pomodori, olio, farine. A chiudere, il tiramisù della casa, servito al bicchiere: cremoso, calibrato, goloso senza eccessi. Un dolce finale semplice ma perfetto. A impreziosire la degustazione un calice di Vetere, rosato dell’azienda agricola San Salvatore. Vino fresco e sapido, con note di melograno, violetta, glicine e macchia mediterranea, ha accompagnato con eleganza l’intero percorso, sposando in particolare i piatti di mare e i sapori iodati della trattoria. Un abbinamento territoriale, sincero, mai scontato, che completa l’esperienza sensoriale e valorizza la filiera campana del gusto.
Durante la visita, il locale era animato da clienti affezionati, molti dei quali habitué che conoscono Somarè come si conosce un luogo di famiglia. Intervistati, hanno raccontato di una cucina costante nella qualità a soli due mesi dall’inaugurazione, e soprattutto hanno sottolineato la freschezza del pesce, che arriva ogni giorno dalla Società Cooperativa di pescatori "A Paranza" di Salerno. È una filiera cortissima, quasi a metro zero, che garantisce freschezza e coerenza con la vocazione marina della casa. Un tratto distintivo che si sente in ogni boccone.
Aperto anche a pranzo il sabato e la domenica, Somarè è una fucina di memorie vive, dove la ceramica incontra la cucina, il fuoco del forno si fa carezza, e il mare diventa racconto. È il luogo dove i sapori non si impongono ma dialogano con il palato. Dove si mangia bene, ma soprattutto si torna volentieri. Perché qui, tra Vietri, Salerno e l’Irpinia, ogni cosa ha un senso, e tutto sa di casa, di sincerità e di bellezza.
Potrebbero interessarti anche...
Annamaria Parlato 30/05/2024
Dispensa piacere la pizza nel ruoto di "Addò Ciaccio" a Mercato San Severino
Negli ultimi anni, c'è stato un forte ritorno alle tradizioni culinarie e alle ricette casalinghe. La pizza nel ruoto (o'rutiello- rutelluccio), essendo una preparazione tradizionale, è diventata simbolo di autenticità e genuinità. Molte persone cercano piatti che richiamino i sapori dell'infanzia e della famiglia. La pizza nel ruoto, spesso associata a cene in famiglia e momenti conviviali, risponde a questo bisogno di comfort food. È relativamente facile da preparare anche per chi non ha molta esperienza in cucina. Non richiede attrezzature particolari né tecniche complicate, inoltre la possibilità di personalizzare i condimenti rende la pizza nel ruoto adatta a vari gusti e preferenze, permettendo infinite combinazioni di ingredienti.
Alcuni ristoranti e pizzerie hanno iniziato a includere questo prodotto tutto campano nei loro menù, promuovendola come specialità regionale. Questo ha contribuito a diffonderne la popolarità anche al di fuori delle regioni di origine. Giovanni Cerrato, nel suo locale a Pandola di Mercato Severino, Addò Ciaccio, nato ben sette anni fa, ha inserito in carta il ruoto, proposto in differenti varianti e gusti.
A differenza della pizza napoletana tradizionale, la pizza nel ruoto ha un impasto leggermente più alto e soffice internamente, grazie alla seconda lievitazione nel recipiente metallico. Nelle campagne del Sud Italia, era comune preparare pane e altri prodotti da forno in casa. Il forno a legna era un elemento centrale delle case contadine, e la teglia (ruoto) era spesso utilizzata per cucinare vari tipi di focacce e pizze. L'uso della teglia permetteva di sfruttare al meglio il calore del forno e di ottenere un impasto soffice e ben lievitato. La "pizza nel ruoto" era una soluzione pratica e versatile, che permetteva di utilizzare gli ingredienti disponibili in casa. La farina, l'acqua, il lievito e il sale erano ingredienti di base sempre presenti, mentre il condimento poteva variare a seconda della disponibilità stagionale e delle risorse economiche. In genere, questa pizza serviva anche a testare la temperatura dei forni stessi.
Giovanni, detto Ciaccio, è stato il vincitore della categoria “pizza classica” nel 2017 al Campionato Nazionale Pizza Doc, ha rappresentato la Campania a Casa Sanremo e in maniera itinerante ha fatto conoscere la sua arte bianca in molti eventi di settore. Le sue pizze riflettono la semplicità e la vivacità femminile che si respirava in casa Cerrato: la gestualità delle mani, tra profumi e ricordi d’infanzia, rivive sul disco elastico dall’odore irresistibile. Oggi infatti in cucina c’è anche la mamma di Giovanni e in sala la sua compagna, ottima consigliera per quanto riguarda la scelta di sfizi, dessert e soprattutto beverage.
Ciaccio racconta: “Con il tempo, la pizza nel ruoto è diventata una pietanza apprezzata non solo nelle campagne ma anche nelle città. La semplicità della preparazione e la possibilità di personalizzare il condimento l'hanno resa popolare in diverse occasioni, dalle feste familiari alle celebrazioni locali. L'uso del ruoto conferisce una crosta croccante alla base e bordi morbidi, creando un contrasto di consistenze molto apprezzato. Il segreto è utilizzare ottimo olio extravergine d’oliva, che aiuta la pizza a non bruciare e soprattutto ad incrementare il famoso crunch che tanto piace e ingolosisce.
Sicuramente è una pizza da godimento allo stato puro, è unta, mai banale, ti fa ritornare bambino ed io la sto proponendo in vari gusti. Un fuori menù che sto testando è quello con crema di melanzane homemade, bufala, pomodorini semidry, salsiccia di Castelpoto dolce, basilico e tarallo alla frutta secca, sugna e pepe che realizza mio fratello a Casa Federici di Montoro, da sbriciolare al momento per una food experience da vivere e assaporare lentamente”.
Su questa pizza si può abbinare una birra allo zafferano Shirin Persia Saffron American Wheat, nata dalla collaborazione fra Shirin Persia, azienda nata nel 2019, importatrice di zafferano equosolidale di qualità e prodotti artigianali equo-solidali dall’Iran, e il birrificio 5+ di Trento. Questa combinazione offre un'esperienza di birra unica, che unisce la leggerezza e la freschezza di una American Wheat con la sofisticazione e l'esotismo dello zafferano. Se a tutto ciò si aggiunge una frittatina di pasta alla Nerano, qualche polpettina di baccalà e il tiramisù della casa, realizzato alla perfezione dalla mamma di Ciaccio, allora vi sarà una full immersion tra i piaceri della tavola e quelli territoriali, in cui la celebrazione regionale diventerà coinvolgimento sensoriale ed extrasensoriale, per un'esperienza gastronomica che andrà oltre il semplice nutrimento.
Annamaria Parlato 15/02/2020
I vini "Mila Vuolo" presentati al Dà Gusto di Salerno
Lunedì 10 Febbraio si è tenuto il secondo appuntamento del corso di avvicinamento al vino, organizzato e curato dalla sommelier Angela Merolla, presso "Dà Gusto" a Salerno, ubicato nel rione Porto, dove ora sorgono le pescherie, le fabbriche del ghiaccio e dove c’era un tempo l’antico mercato del pesce.
Il locale dalle pareti in tufo vivo, curatissimo in ogni dettaglio, è gestito dalla ristoratrice Angela De Caro ed è una bottega in cui assaggiare a pranzo pochi piatti selezionati, eseguiti nel rispetto della tradizione con un pizzico d’innovazione (come le zuppe, i taglieri, le bruschette), incontrarsi per un aperitivo o fare la spesa portando a casa prodotti d’eccellenza prettamente campani, dalla pasta all’olio, dalle varietà di pomodori ai legumi, dal cioccolato al vino, dal miele alle confetture, dai fichi alle nocciole e tanto altro ancora.
Guest star della serata Mila Vuolo, titolare dell’omonima cantina in località Passione di Rufoli a Salerno, che insieme ad Angela Merolla ha approfondito per i corsisti presenti alcune tematiche legate al vino (esame olfattivo, differenza tra vini convenzionali, biologici, biodinamici, naturali, vinificazione in bianco, rosso, rosato, fermentazione alcolica, fermentazione malolattica), presentando i tre prodotti di punta della famosa micro-azienda. Presente alla serata anche la produttrice Rosanna Raimondo, titolare dell’azienda a Caggiano “Sole di Cajani”, apprezzata per il suo raffinatissimo olio d’oliva.
Ad ogni vino è stato abbinato un finger e una zuppa realizzata da Dà Gusto per stimolare il palato e i sensi. I vini biologici Mila Vuolo sono il Fiano Colli di Salerno IGT , il Cabernet Sauvignon Varietale di Salerno (il vino varietale non è vincolato alle peculiarità di una singola zona ma i suoi profumi e il suo gusto rimandano esclusivamente al corredo aromatico della varietà di partenza) e l’Aglianico Colli di Salerno IGT.
La prima vendemmia è partita nel 2003 per l’Aglianico e nel 2004 per Cabernet e Fiano, e le vigne sono state impiantate in quel periodo sostituendo quelle preesistenti nel terreno di famiglia per un discorso enologico di qualità, unitamente al frutteto e alla produzione di olio e nocciole che già esistevano. L’azienda, seguita dall’enologo Guido Busatto si estende su 13 ettari di terreno, articolata al 70% in vitigni di Aglianico, al 20% in vitigni di Fiano e per il 10% in vitigni di Cabernet, su allevamenti a guyot e a cordone speronato, con una produzione di 15-17000 bottiglie annue.
Il Fiano fermenta e matura in acciaio, ha una bella tonalità paglierina quasi accecante, al naso è floreale, fruttato, al palato minerale, fresco, sapido, elegante. Angela De Caro ha abbinato a questo vino una bruschetta con zucchine grigliate, zeste di sfusato amalfitano e tonno sott’olio dell’azienda ittica Nettuno di Cetara. E’ in ogni caso abbinabile a piatti di mare, crostacei, fritti di verdure e primi piatti estivi.
Il Cabernet ha una gradazione alcolica di 14% e un bel colore rosso rubino. Ha sentori di frutti rossi, amarena sciroppata nel finale, aromi speziati e sfumature di chiodi di garofano. Al palato ancora risulta carico e di corpo, con spiccata mineralità che richiama i suoli argillosi salernitani. E’ stato abbinato ad una vellutata di zucca con fagioli di Controne, cannella, olio extravergine d’oliva Verbìo Sole di Cajani, pepe nero macinato fresco e semi di zucca tostati.
L’Aglianico fermenta in acciaio di cui la fermentazione secondaria viene svolta in barriques e qui affina altri 18-24 mesi senza travasi. Viene imbottigliato 24 mesi dopo la vendemmia e affina in bottiglia per 24 mesi. Ha una gradazione alcolica compresa tra i 13,5% e i 15%. In bocca è un vino dal tocco felpato, vellutato, persistente. Forti sono i sentori di tabacco dolce da pipa, liquirizia, cioccolato, mora, prugna. Note fruttate secondarie conducono tutta la sorsata fino alla fine, e qui si parla di un vino che sicuramente evolverà nel tempo. E’ stato abbinato ad una bruschetta con lardo di maialino nero casertano, pomodoro secco sottolio e granella di nocciole di Giffoni.
Mila Vuolo, laureata in scienze dell’informazione, è oggi più che soddisfatta di aver cambiato lavoro e di aver migliorato la qualità della sua vita. Prima trascorreva ore ed ore dinnanzi al grigiore del pc in un’azienda che si occupava di progettazione e pianificazione strategica e in una città immensa e caotica come Roma; oggi invece cura personalmente con la famiglia i terreni paterni inondati di sole e immersi nella natura rigogliosa, nonostante ci sia tanta burocrazia nel settore vitivinicolo.
“Non vivo per me ma per le generazioni future” è la frase dell’artista fiammingo Van Gogh che Mila ha sposato appieno e in cui ci si ritrova. I suoi vini piacciono non solo agli italiani ma anche agli straniere tant’è che è riuscita a piazzarli sui mercati esteri dell'Europa centro-settentrionale e degli Stati Uniti. In enoteca i suoi vini hanno un prezzo che oscilla tra i 15 e i 25 euro ma la qualità si fa pagare. “Lo insegna il Vangelo: un uomo gradisce prima il vino generoso, poi il mediocre”, così recitava un verso del “Regimen Sanitatis” redatto in epoca medievale dalla Scuola Medica Salernitana.
Annamaria Parlato 20/04/2024
La mela limoncella, frutto raro a Baronissi e poco conosciuto
Non è la mela del peccato di Adamo ed Eva, né tantomeno quella computerizzata di Steve Jobs, né quella avvelenata di Biancaneve, è molto di più. E’ un frutto prelibato che cresce in Campania: la mela limoncella. Questa mela storica ha un sapore più complesso e sfumature uniche, che la rendono diversa dalle varietà commerciali più comuni.
Di origini italiane antichissime, questo tipo di mela veniva coltivata soprattutto nell’area centro-meridionale (Campania, Abruzzo, Molise, Puglia) in montagna o collina. L’albero ha una fioritura abbastanza tardiva, ha chioma folta, attecchisce bene in terreni poco fertili ed è adatto per coltivazioni a basso impatto ambientale. Preferisce sicuramente habitat più temperati, in quanto è sensibile al freddo.
La mela limoncella è così chiamata poiché ha un aroma asprigno, citrino, che ricorda gli agrumi. Ha la polpa bianca dotata di buona serbevolezza, la buccia gialla picchiettata di macchioline marroni sparse qua e là, è di piccole dimensioni ed ha una particolare forma oblunga a metà tra il cilindro ed il cono. La cavità peduncolare è profonda e stretta, la cavità calicina è poco profonda, aperta e pieghettata. La buccia cerosa è particolarmente profumata, infatti in passato le donne usavano adagiare queste mele tra il bucato, per regalare ai tessuti il piacevole aroma di frutta.
La raccolta avviene in ottobre, e a partire da novembre, sino alla primavera, ne avviene la consumazione. Se viene conservata in luoghi idonei (fruttai o anche in frigorifero), le sue proprietà organolettiche migliorano, sia in fragranza che in sapidità della polpa, ed è infatti considerata tra le più pregevoli cultivar meridionali di mele. Oggi è quasi in via di estinzione. Ad Agerola, in provincia di Napoli, queste mele ancora si coltivano ed hanno dimensioni leggermente più grosse, tanto da esser nominate “Limoncellone”. A Baronissi, le limoncelle crescevano spontaneamente e oggi si sta cercando di recuperarle per diffonderne la conoscenza e il consumo.
Al pari della mela annurca, ha un’ottima croccantezza e si presta molto bene in cucina. Si possono consumare cotte, fresche o in succhi. Sono adattissime nella preparazione del sidro o addirittura essiccate se ne possono ricavare delle salutari chips da sgranocchiare come snack. Nell’area beneventana, la mela limoncella è stata fatta rientrare nel progetto di Slow Food “Arca del Gusto”, che preserva le eccellenze gastronomiche poco conosciute dall’inquinamento, dalla globalizzazione sfrenata, dalle tecniche agricole industriali. Trovare e provare queste mele può essere un'esperienza affascinante per gli appassionati di frutta e di storia agricola.
Molti agricoltori e coltivatori stanno lavorando per preservare e valorizzare queste varietà storiche, coltivandole in piccole quantità e promuovendo il loro uso in cucina e nella produzione di liquori, confetture e altri prodotti artigianali. I frutti rari giocano un ruolo importante sia dal punto di vista ecologico che culturale, e la loro valorizzazione ha diversi benefici: conservandoli, contribuiscono alla diversità genetica delle piante coltivate e una maggiore biodiversità può rendere le colture più resilienti alle malattie, ai parassiti e ai cambiamenti climatici, inoltre possono arricchire la dieta quotidiana con micro e macronutrienti, migliorando la qualità della nostra alimentazione.