Dispensa piacere la pizza nel ruoto di "Addò Ciaccio" a Mercato San Severino

Gli amanti del genere troveranno un prodotto di altissimo livello, come tradizione comanda

Annamaria Parlato 30/05/2024 0

Negli ultimi anni, c'è stato un forte ritorno alle tradizioni culinarie e alle ricette casalinghe. La pizza nel ruoto (o'rutiello- rutelluccio), essendo una preparazione tradizionale, è diventata simbolo di autenticità e genuinità. Molte persone cercano piatti che richiamino i sapori dell'infanzia e della famiglia. La pizza nel ruoto, spesso associata a cene in famiglia e momenti conviviali, risponde a questo bisogno di comfort food. È relativamente facile da preparare anche per chi non ha molta esperienza in cucina. Non richiede attrezzature particolari né tecniche complicate, inoltre la possibilità di personalizzare i condimenti rende la pizza nel ruoto adatta a vari gusti e preferenze, permettendo infinite combinazioni di ingredienti.

Alcuni ristoranti e pizzerie hanno iniziato a includere questo prodotto tutto campano nei loro menù, promuovendola come specialità regionale. Questo ha contribuito a diffonderne la popolarità anche al di fuori delle regioni di origine. Giovanni Cerrato, nel suo locale a Pandola di Mercato Severino, Addò Ciaccio, nato ben sette anni fa, ha inserito in carta il ruoto, proposto in differenti varianti e gusti.

A differenza della pizza napoletana tradizionale, la pizza nel ruoto ha un impasto leggermente più alto e soffice internamente, grazie alla seconda lievitazione nel recipiente metallico. Nelle campagne del Sud Italia, era comune preparare pane e altri prodotti da forno in casa. Il forno a legna era un elemento centrale delle case contadine, e la teglia (ruoto) era spesso utilizzata per cucinare vari tipi di focacce e pizze. L'uso della teglia permetteva di sfruttare al meglio il calore del forno e di ottenere un impasto soffice e ben lievitato. La "pizza nel ruoto" era una soluzione pratica e versatile, che permetteva di utilizzare gli ingredienti disponibili in casa. La farina, l'acqua, il lievito e il sale erano ingredienti di base sempre presenti, mentre il condimento poteva variare a seconda della disponibilità stagionale e delle risorse economiche. In genere, questa pizza serviva anche a testare la temperatura dei forni stessi.

Giovanni, detto Ciaccio, è stato il vincitore della categoria “pizza classica” nel 2017 al Campionato Nazionale Pizza Doc, ha rappresentato la Campania a Casa Sanremo e in maniera itinerante ha fatto conoscere la sua arte bianca in molti eventi di settore. Le sue pizze riflettono la semplicità e la vivacità femminile che si respirava in casa Cerrato: la gestualità delle mani, tra profumi e ricordi d’infanzia, rivive sul disco elastico dall’odore irresistibile. Oggi infatti in cucina c’è anche la mamma di Giovanni e in sala la sua compagna, ottima consigliera per quanto riguarda la scelta di sfizi, dessert e soprattutto beverage.

Ciaccio racconta: “Con il tempo, la pizza nel ruoto è diventata una pietanza apprezzata non solo nelle campagne ma anche nelle città. La semplicità della preparazione e la possibilità di personalizzare il condimento l'hanno resa popolare in diverse occasioni, dalle feste familiari alle celebrazioni locali. L'uso del ruoto conferisce una crosta croccante alla base e bordi morbidi, creando un contrasto di consistenze molto apprezzato. Il segreto è utilizzare ottimo olio extravergine d’oliva, che aiuta la pizza a non bruciare e soprattutto ad incrementare il famoso crunch che tanto piace e ingolosisce.

Sicuramente è una pizza da godimento allo stato puro, è unta, mai banale, ti fa ritornare bambino ed io la sto proponendo in vari gusti. Un fuori menù che sto testando è quello con crema di melanzane homemade, bufala, pomodorini semidry, salsiccia di Castelpoto dolce, basilico e tarallo alla frutta secca, sugna e pepe che realizza mio fratello a Casa Federici di Montoro, da sbriciolare al momento per una food experience da vivere e assaporare lentamente”.

Su questa pizza si può abbinare una birra allo zafferano Shirin Persia Saffron American Wheat, nata dalla collaborazione fra Shirin Persia, azienda nata nel 2019, importatrice di zafferano equosolidale di qualità e prodotti artigianali equo-solidali dall’Iran, e il birrificio 5+ di Trento. Questa combinazione offre un'esperienza di birra unica, che unisce la leggerezza e la freschezza di una American Wheat con la sofisticazione e l'esotismo dello zafferano. Se a tutto ciò si aggiunge una frittatina di pasta alla Nerano, qualche polpettina di baccalà e il tiramisù della casa, realizzato alla perfezione dalla mamma di Ciaccio, allora vi sarà una full immersion tra i piaceri della tavola e quelli territoriali, in cui la celebrazione regionale diventerà coinvolgimento sensoriale ed extrasensoriale, per un'esperienza gastronomica che andrà oltre il semplice nutrimento.

Potrebbero interessarti anche...

Annamaria Parlato 28/04/2023

Fisciano, lo chef Donatantonio: "Sembra strano, ma la memoria ha un palato!"

Niente snobismo, nessuna sofisticazione, solo spazio ai ricordi, semplicità e tradizioni. Oggi si va al ristorante per trovare questo essenzialmente, è inutile prenderci in giro. Spesso, dietro un piatto apparentemente perfetto, c’è tanta distanza col cliente, poca empatia e accostamenti a dir poco bizzarri, immangiabili, ma che vogliono far scena; poi però per pagare il conto bisogna aprire un mutuo.

E allora, lo chef Salvatore Donatantonio, con sua moglie Annapina Landi, ha deciso di scrivere sulla lavagnetta affissa sulla parete centrale del suo ristorante, il "Belvedere" a Lancusi di Fisciano, alcune frasi significative usando gessetti bianchi, assieme ai piatti del giorno, proprio per rimarcare il concetto di essenzialità e territorialità cui non ha mai rinunciato nella sua fiorente carriera di chef.

Originario della Costiera Amalfitana, di Minori, precisamente, ha sposato una fiscianese doc e così ha deciso di trasferirsi nella Valle dell’Irno per accudire la sua famiglia e lavorare nel ristorante dei Landi aperto a Lancusi dal 1969, proponendo alla clientela pizza e cucina. Salvatore ha portato con sé le conoscenze culinarie e le ricette della Costiera, mescolandole in maniera impeccabile con quelle fiscianesi, utilizzando principalmente ingredienti dei produttori della Valle dell’Irno come nocciole, carciofi, carni, salumi, verdure.

Non scarseggiano i piatti di mare (cavallo di battaglia lo spaghetto "conventuale"), lui è figlio di pescatore, il pescato lo conosce ad occhi chiusi, ma ovviamente c’è più la predominanza dei piatti di terra. L'arredamento del Belvedere include elementi rustici, che rimandano ad un'atmosfera accogliente, con tovagliato dai toni naturali, tavoli in legno e costante presenza di oggetti sulla storia contadina dell’Irno. L'obiettivo è quello di creare un'atmosfera calda e invitante, che incoraggi la conversazione e la socializzazione.

Salvatore, sorridendo, ha raccontato: “A me piace far sentire i miei ospiti come a casa; mia moglie in sala, prima di prendere la comanda, mette tutti a proprio agio con cordialià e cortesia. Poi, quando capiscono che attraverso i miei piatti sono proiettati verso la filosofia Slow Food, allora restano soddisfatti e incuriositi. Valorizzo al massimo ogni ingrediente a mia disposizione, quasi a metro zero, qui il buongustaio può assaggiare la mia pizza secondo lo stile di Tramonti, il 'Sciusciello' tipico di Pellezzano, i calzoncelli di castagne, la pasta artigianale, il pane 'mascuotto' con i miei sottoli o quello tradizionale cotto sempre nel forno a legna, zuppe di legumi e verdure spontanee. Il vino lo produciamo noi ma ovviamente abbianiamo ai piatti anche le migliori etichette regionali.

Non manca lo Sfusato amalfitano, l’oro giallo della mia terra che rende profumato qualsiasi intingolo. Insomma, ogni pietanza è preparata con rispetto e amore per la terra e chi la coltiva con fatica. Incoraggio le persone a prendersi il tempo per godersi il loro cibo, per conoscere da dove proviene”.

E quindi le pizze al Belvedere avranno i nomi di tutte le frazioni di Fisciano, impreziosite con gli ottimi salumi e formaggi dell’Irno, la pasta ripiena invece verrà imbottita di freschissima ricotta di bufala e condita con le nocciole di Gaiano e i funghi o la rucola, la scaloppina avrà nel suo condimento nocciole e pomodori secchi, i cavatelli saranno arricchiti di ottimo guanciale artigianale e prelibati carciofi di Montoro, e via discorrendo.

Al Belvedere, poi, vengono anche rispettate le festività e quindi, in occasione delle ricorrenze natalizie, pasquali o patronali, ampio spazio viene dato ai piatti collegati a queste ritualità, come le famose melanzane al cioccolato, la trippa in umido o con i fagioli, la milza con aceto e menta, i dolci di mela annurca, il fior di ricotta con nocciole e cioccolato, la pastiera di riso o grano, la zuppa di pesce, la pizza di scarole, il casatiello salato. La mission del Belvedere, dunque, è promuovere un sistema alimentare alternativo, in cui il cibo sia buono per tutti, utilizzando alimenti sostenibili, creando consapevolezza e favorendo il cambiamento. Da Fisciano finalmente si può!

Leggi tutto

Redazione Irno24 29/09/2022

"Indivino" a Solofra si sposta all'8-9 Ottobre causa maltempo

La settima edizione di “Indivino - Incontri di Vini nella Terra di Mezzo” si svolgerà Sabato 1 e Domenica 2 Ottobre nella suggestiva location del complesso monumentale di Santa Chiara a Solofra.

I visitatori potranno intrattenersi in spettacoli jazz, banchi di degustazione delle oltre 40 cantine irpine e salernitane presenti, prodotti gastronomici e caseari delle medesime province e laboratori degustativi a cura delle delegazioni ONAV di Avellino e Salerno.

Si potranno gustare i primi piatti del servizio di ristorazione a cura dell’Istituto Alberghiero Manlio Rossi-Doria di Avellino e fare scoperta delle migliori prelibatezze casearie, di norcineria e di pasticceria, sulla base di ricette antiche. L’evento sarà completamente Plastic Free: bicchieri e bottiglie di plastica saranno sostituiti da una “mise en place” completamente biodegradabile e compostabile.

TUTTE LE INFORMAZIONI

LA MANIFESTAZIONE E' RINVIATA AI GIORNI 8-9 OTTOBRE PER CONDIZIONI METEO AVVERSE

Leggi tutto

Annamaria Parlato 22/01/2023

Vlad Dracula "strega" l'Augusteo di Salerno, la nostra rilettura "gastronomica"

Nonostante le condizioni meteo avverse con grandine, pioggia, vento e gelo, sala gremita al teatro Augusteo di Salerno, e di giovani che finalmente ritornano al teatro, riappropriandosi del suo fascino. Il musical Vlad Dracula, diretto dal salernitano Ario Avecone, lo scorso 6 gennaio si presentò alla città attraverso un singolare flash mob tra le strade del centro, in preda alla folla delle Luci d’Artista, inscenando un corteo di giovani donne in abiti da sposa illuminate dalla luce fioca delle candele (le spose di Dracula) e suscitando enorme curiosità tra i passanti.

Venerdì 20 gennaio, alle ore 21:00, la prima delle tre serate ha registrato il tutto esaurito nelle vendita dei biglietti, a riprova che il genere noir o gotico ha un elevato potere attraente e attrattivo. Gioco di luci strepitoso, a cura di Alessandro Caso, lo spettacolo si è palesato come un’originale rivisitazione del romanzo di Bram Stoker, innovativa ed estremamente contemporanea, a tratti futuristica.

Vlad, interpretato dal salernitano Giorgio Adamo, è alla ricerca spasdomica della sua Elizabeth, che ritrova negli occhi della seducente Mina, moglie del giornalista Jonathan Harker. Tanti gli spunti di riflessione e gli interrogativi che il palcoscenico ha posto all’attenzione del pubblico: temi ambientalisti, il ruolo della stampa e dei giornalisti, il potere della tecnologia che può agevolare l’uomo ma anche distruggerlo con le sue bizzare macchine.

Vlad Tepes è sicuramente meno assetato di sangue e più umano, quasi un nostalgico romantico di un passato che non ritornerà, un vampiro dall’animo poeticamente addolorato per la perdita della sua amata ma non rassegnato, insomma un assassino che si lascia quasi “catturare”, mettendo a nudo le sue angosce e fragilità. Le scenografie, realizzate da Michele Lubrano Lavadera, sono ambientate nell’epoca post-industriale di fine 800 dal sapore steampunk e fantascientifico.

Un fiume di applausi ha concluso la serata, durata all'incirca due ore, godibilissima, testimonianza della creatività salernitana, un esempio di come al Sud si possano creare dei piccoli gioielli grazie al lavoro di squadra e alla bravura del team di attori che, con sacrificio, già in epoca Covid vi ha lavorato assiduamente. Avecone ha dichiarato: “Non ci speravamo più, abbiamo rinviato tante volte la tournée per via della pandemia e della chiusura dei teatri. Pensavamo di non farcela e di non ritornare più sul nostro palcoscenico, ma stasera siamo qui e sono orgoglioso della mia squadra, composta da professionisti talentuosi. Questo è il Sud che piace. Spero che Salerno ci porti fortuna e che le altre regioni d’Italia apprezzino il nostro innovativo spettacolo”.

Da Vlad a Dracula: storia e leggenda del vampiro più noto al mondo intero

Chi non conosce il vampiro più famoso del pianeta, il più sanguinario e spietato associato alla nebbiosa terra di Transilvania? Tutte le arti lo hanno sempre descritto in maniera fantasiosa, ma c’è anche un fondo di verità nella sua storia. La Transilvania, che si trova al centro della Romania, è circondata da tre parti dalle montagne dei Carpazi. Proprio qui nasce il personaggio Dracula, che dal suo castello getta panico e terrore tra le popolazioni dei villaggi circostanti.

Nel XV secolo, Enrico VI e gli Inglesi combatterono nella guerra delle Tre Rose, quando re dell’Ungheria fu il rumeno Matei Corvin e quando Mohamed II cercava di conquistare l'Europa cristiana. In questo frangente, ragioni diverse causarono la trasformazione del re della Valacchia (provincia romena) in un vampiro sanguinario. Vlad Tepes III o l’Impalatore regnò in Valacchia dal 1448 al 1476 e con la sua morte finì anche il suo regno. I ritratti lo presentano con folti baffi, naso adunco, occhi grandi e sguardo penetrante. Vlad III fu chiamato Dracula perché ereditò il soprannome del padre Vlad II chiamato Dracul, dall’ordine del Dragone. Dracula, o più correttamente Draculea, appartiene alla categoria dei nomi romeni che terminano in “ulea”.

Vlad III, conquistato il potere, fu spietato e sanguinario. Le violenze erano tra le più terribili, come il massacro del 1460, nel giorno di San Bartolomeo, quando in una città della Transilvania furono impalate 30.000 persone. Da quegli atroci delitti, Vlad III divenne per tutti Dracul, il demonio. Il principe in persona nel suo diario racconta delle carneficine, del cannibalismo e del modo in cui impalava le vittime, tra le quali bambini e donne, ma anche vergini di cui si narra raccogliesse il sangue per berlo con vino ed alcol. I pali che servivano per uccidere i nemici erano studiati per accelerare o rallentare l’agonia, e a seconda della vittima usava pali diversi. Questi accadimenti storici ispirarono sicuramente lo scrittore Stoker per dar vita al suo famoso romanzo, pietra miliare nella letteratura vampirica.

Se Dracula diventasse per un attimo umano, cosa apprezzerebbe maggiormente a tavola?

Il musical, la storia e la letteratura hanno fatto sorgere spontaneamente, in chi scrive e si occupa da tempo di enogastronomia, questo interrogativo. Probabilmente il conte non abbandonerebbe del tutto il sangue ma andrebbe alla ricerca di preziosi alimenti richiamanti e contenenti il liquido rosso. Partendo dalla scelta del vino, si orienterebbe verso pregiati rossi italiani, come il Sangue di Giuda DOC dell’Oltrepò Pavese che può accompagnare formaggi stagionati, primi corposi, salumi oppure, nella variante dolce, dessert secchi a base di confetture come le crostate; o il Sangue di Drago, meglio noto come Teroldego Rotaliano DOC, un vino che nasce da un vitigno autoctono del Trentino, dal colore intenso, quasi nero, corposo e ricco, ottimo se abbinato alle carni succulente.

Un cocktail che piacerebbe di sicuro a Dracula potrebbe essere un classico Bloody Mary a base di vodka, succo di pomodoro e spezie piccanti o aromi come la salsa Worcestershire, il tabasco, il consommé, il cren, il sedano, il sale, il pepe nero, il pepe di Caienna e il succo di limone, forse associato alla figura di Maria I d’Inghilterra, detta la Sanguinaria. Tra i cibi non disdegnerebbe carni alla brace dalla tipica cottura al “sangue”, insaccati con sangue come i boudin alpini, le mustardele piemontesi, i sanguinacci lombardi, i mallegati toscani, i sangùnèt pugliesi, i mazzafegato umbri, le susianelle laziali, i sanguineddi sardi.

Ancora, ingurgiterebbe sanguinacci campani al cioccolato, oggi privi di sangue di maiale perché in Italia dal 1992 ne è stata vietata la vendita, compagni fedeli di chiacchiere nel periodo carnevalesco anche in Basilicata e Calabria; il migliaccio di Carnevale, che anticamente era a base di sangue e miglio, il sangue fritto di maiale cotto con alloro, scorze di agrumi e poi soffritto in padella con sugna e cipolle, condimento ideale per gli spaghetti, la torta di sangue tipica del settentrione con formaggio, latte e pangrattato.

Nei secoli, l’uso del sangue per scopi alimentari fu spesso vietato. Nell’ebraismo biblico il tabù del sangue risale alla notte dei tempi. Il Genesi descrive le prime generazioni di uomini come vegetariani, con un’alimentazione prevalentemente a base di frutta. Nel VII secolo d.C., precisamente nel 692, il Concilio Quinisesto (Quinisextum), tenuto a Costantinopoli, vietò espressamente il consumo di qualsiasi alimento contenente sangue. Solo più tardi, a partire dalla fine del XIX secolo, gli alimenti contenenti sangue come ingrediente cominciano ad essere tollerati. Dracula in ogni caso nel XXI secolo avrebbe l’imbarazzo della scelta, storcerebbe un tantino il naso per agli e cipolle ma resterebbe soddisfatto di un sanguigno percorso degustativo tra i prodotti tipici regionali italiani.

Leggi tutto

Lascia un commento

Cerca...