Lo chef stellato Rocco De Santis da Fisciano a Firenze, al Santa Elisabetta

Nel mezzo tanta gavetta, contaminazioni culinarie e amore per la Valle dell'Irno

Annamaria Parlato 13/12/2020 0

Abituato alle patinate riviste enogastronomiche e ai luccichii delle stelle, lo chef 2 stelle Michelin Rocco De Santis ha piacevolmente concesso l’intervista ad una testata locale della provincia di Salerno, qual è la nostra, e questo sicuramente è un punto a suo favore e della struttura fiorentina che lo ospita, denotando una forma mentis ed un’apertura a 360 gradi che solo pochi professionisti dei fornelli al giorno d’oggi hanno.

Una cucina sempre più concettuale e concentrata quella dello chef De Santis, che sta vivendo il suo periodo di maggior splendore, lockdown a parte, tant’è che spesso non tutti i mali vengono per nuocere. Con un occhio rivolto alle innovazioni nipponiche ed uno sempre alla sua terra, l’amata Fisciano, a Firenze si può dire che abbia ritrovato la sua dimensione professionale, nella cucina del Ristorante Gourmet Santa Elisabetta e Osteria Pagliazza, entrambi dell’Hotel Brunelleschi.

L’Hotel Brunelleschi 4 stelle è ubicato nel centro di Firenze in Via de’ Calzaiuoli, con una vista spettacolare sul Duomo, a due passi dalla Galleria degli Uffizi e dai musei più famosi della città, molto vicino alle vie dello shopping internazionale. Dopo essere stato commis e sous chef presso la bi-stellata Torre del Saracino di Gennaro Esposito, e per alcuni anni alla direzione del Vistamare a Latina, ristorante stellato dell’Hotel Fogliano nel Parco Nazionale del Circeo, ha continuato a perfezionare il discorso relativo alla lavorazione delle eccellenti materie prime, tra cui l’olio extravergine d’oliva, i vegetali o il pescato, di cui è particolarmente amante, e a infondere allo stesso modo accuratezza e dedizione alle carni e ai prodotti di terra.

La sua è una cucina contemporanea, mai banale, ricca di commistioni, che attinge dalla moda francese, asiatica, campana e dalle tradizioni regionali italiane, in questo caso toscane, in cui acidità e dolcezza sono le note predominanti. Raviolo fondente e Triglia in crosta di pane i suoi cavalli di battaglia, i piatti che lo hanno reso celebre dinanzi al grande pubblico.

Cosa significa per lei aver raggiunto l'importantissimo e prestigioso traguardo delle due stelle Michelin?

Sicuramente è un premio per chi fa il mio lavoro, ambìto e di assoluto prestigio; certamente sancisce un mio credo nella meritocrazia legata a chi lavora con un profilo basso con attitudine e professionalità, facendo del proprio lavoro una missione.

Cosa le manca di più della sua terra natìa e cosa ha trovato invece in quella di adozione?

Della mia terra d'origine mi manca tutto: casa, famiglia, amici, luoghi. Le radici sono fondamentali. Per quanto concerne la terra di adozione, ho trovato gente passionale come me, con valori verso il proprio lavoro, oltre ad un'offerta di prodotti molto interessanti.

Ritornerebbe in Campania, magari con un ristorante a sua firma?

Il mio sogno nel cassetto è "Il sogno di Rocco Restaurant". Domanda molto difficile cui rispondere, per ora sono a Firenze poi chissà, inoltre ora i tempi sono duri per poter ipotizzare un proprio investimento.

L'esperienza tra i fornelli che le è rimasta più impressa?

Credo che ognuna delle mie esperienze sia stata significativa, perché ha seguito un percorso da me scelto che mi ha portato a momenti di maturità diversi e ognuna ha arricchito il mio bagaglio culturale, sicuramente un mio padre putativo è stato Gennaro Esposito.

A quale piatto è legato di più?

Non ho un figlio prediletto, dall'antipasto al dolce sono legato a tanti piatti evergreen che porto dietro, sicuramente la triglia in crosta di pane è un mio "cavallo di battaglia".

Il Covid secondo lei ha cambiato il modo di fare ristorazione?

Credo che per avere una propria identità non bisogna mai snaturalizzare la propria filosofia di cucina, per noi del Brunelleschi Hotel è stato fondamentale, per quanto mi riguarda il Covid ha cambiato alcuni aspetti del business che ruota intorno alla ristorazione (delivery, take away).

Mi potrebbe dare qualche anteprima del menù natalizio?

Un accenno. Il "raviolo con gamberi dentro e fuori", faremo una pasta all'uovo con una polvere di gamberi e una farcia di gamberi per dare un gusto intenso del crostaceo, partendo dall'idea di seccare il guscio, renderlo in polvere ed unirlo all'impasto della pasta all'uovo, abbracciando cosi l'idea del recupero in cucina, ma dal punto di vista del gusto quello di intensificare e rafforzare il sapore del gambero.

Il piatto del futuro

Non potrà mai essere sviluppato senza avere una base della nostra tradizione culturale, attraverso i ricordi poi si può sviluppare l'evoluzione futura di un nuovo piatto. Ma la tradizione è futuro.

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Redazione Irno24 29/10/2024

"Salerno Dolcissima" dal 31 ottobre al 3 novembre a Santa Teresa

Dal 31 ottobre al 3 novembre 2024, a Santa Teresa, sul lungomare Trieste, la fiera del cioccolato artigianale "Salerno Dolcissima". L'evento, promosso da CNA, è organizzato e realizzato da Associazione Italia Eventi e gode del patrocinio del Comune di Salerno e della Camera di Commercio di Salerno.

Tanto buon cioccolato artigianale, caratteristici dolci della tradizione italiana, torroni della tradizione siciliana, cremini, croccanti di nocciola, spalmabili alla nocciola di Giffoni IGP. Fra gli appuntamenti: laboratori, salotti del dolce, show cooking dedicati al cioccolato e ai dolci della tradizione salernitana.

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Annamaria Parlato 25/01/2025

Finalmente "Gioia" a Salerno: non più mare, ma cucina italiana di terra

Nella vibrante città di Salerno, tra le viuzze che conducono al lungomare, si trova un gioiello della gastronomia italiana: "Gioia Cucina di Terra". Il ristorante è in piazza Flavio Gioia, nota ai salernitani come "la Rotonda", una zona iconica della città che, durante il periodo invernale, ospita le celebri Luci d’Artista. Attualmente, la piazza è decorata con un grande UFO, circondato da una miriade di dischi volanti simili a meduse fluttuanti, regalando un'atmosfera suggestiva e quasi onirica.

Questo ristorante, guidato con maestria dalla chef Annapia Daniele, già nella scuderia Iapigio/Scognamiglio, e sostenuto dalla visione dei patron Enzo e Fabio Esposito e Marco e Guido Guariglia, è un inno alla cucina classica italiana, reinterpretata con sensibilità e rispetto per le tradizioni. Appena varcata la soglia del locale, si viene accolti da un'atmosfera raffinata; gli arredi, caratterizzati da materiali naturali e tonalità terrose, riflettono l'anima del ristorante: una celebrazione della terra e dei suoi frutti. La tavolozza di colori del design interno spazia sulle tonalità del verde, evocando un senso di armonia. Grandi tavoli in marmo, volutamente privi di tovagliette, contribuiscono a un’estetica moderna, che esalta la bellezza dei piatti serviti. La cura dei dettagli è evidente in ogni angolo, dalla mise en place alle luci soffuse molto intime.

La proposta di "Gioia Cucina di Terra" si fonda su un concetto chiaro: valorizzare i sapori autentici della cucina italiana, privilegiando ingredienti provenienti da aziende certificate e stagionali. La semplicità in cucina, qui, non è sinonimo di banalità, ma anzi di maestria e perizia. Proporre piatti iconici come la carbonara, la bolognese o la cotoletta con l'osso alla milanese, fritta nel burro chiarificato, a Salerno potrebbe apparire una scelta controcorrente, ma è proprio questa la chiave del successo del ristorante. Questa proposta sembra richiamare un ritorno agli anni '70-'80, quando le famiglie del Sud Italia si spostavano per assaporare i piatti classici e regionali, rivivendo il fascino di una tradizione culinaria ricca di storia.

La chef Annapia Daniele, con il suo talento e la sua visione, dimostra che riproporre i grandi classici italiani, in un contesto inaspettato come quello salernitano, è un atto di rispetto per la tradizione e, al tempo stesso, una sfida creativa capace di sorprendere e conquistare i clienti. Il piatto simbolo del ristorante è il filetto di manzo in umido con aglio, olio e prezzemolo, "Filetto Gioia", servito in una suggestiva padella di rame, porzionato per due. Questa ricetta, all'apparenza semplice, è un capolavoro di equilibrio e intensità, che riprende i grandi classici napoletani come la "carne 'a zuppetella" o "a carn' 'a libbretto" cotta in padella con la sugna.

La carne, tenera e succosa, si sposa perfettamente con la delicatezza dell’olio extravergine d'oliva e l'aroma fresco del prezzemolo. L’aglio imbiondito, dosato con maestria, aggiunge un tocco pungente che esalta i sapori senza sovrastarli. La scelta della padella di rame non è solo estetica: questo materiale permette una cottura uniforme, contribuendo a preservare la morbidezza e i succhi del filetto, in cui è d’obbligo inzuppare un pezzetto di pane per la "scarpetta". Si consiglia di accompagnare il piatto con una gradevole porzione di zucca arrostita: il peperoncino presente nella verdura donerà ancora più spinta al boccone.

Tra gli antipasti spicca una creazione che è una vera euritmìa di sapori: l’uovo pochè, servito con una spuma di sedano rapa, cardoncelli ripassati e pancetta croccante. Le uova provengono dall'azienda biologica "L'Uovo d'Oro" di Campagna (SA), nota per la qualità straordinaria del suo prodotto. Cremose e altamente digeribili, queste uova non lasciano cattivi odori su bocca, piatti o posate, offrendo un’esperienza di gusto pura. La consistenza setosa dell’uovo si combina armoniosamente con la cremosità della spuma e il contrasto croccante della pancetta, mentre i funghi cardoncelli aggiungono una nota avvolgente.

Tra i primi, la chitarra al burro zangolato a mano, parmigiano e tartufo nero, è un capolavoro di semplicità, un comfort food che coccola. La pasta fresca utilizzata appartiene alla linea "Le Matassine all'uovo" del Pastificio Cav. Giuseppe Cocco di Fara San Martino (CH), garanzia di qualità abruzzese. Perfettamente al dente, la chitarra è avvolta da una crema vellutata di burro e formaggio, mentre il tartufo nero dona al piatto un’aromaticità intensa e inebriante.

Il dessert "tre cioccolati" rappresenta il gran finale perfetto di una cena indimenticabile. Si tratta di una composizione articolata e deliziosa: ganache di cioccolato al latte, cioccolato fondente croccante, namelaka al cioccolato bianco e vaniglia, il tutto adagiato su un biscotto di pasta sablé con nocciole dalla tostatura strong. Ogni elemento contribuisce a un equilibrio sublime tra dolcezza, croccantezza e cremosità, regalando un’esperienza dolce senza pari. A rendere l’esperienza culinaria ancora più completa c’è la carta dei vini, bollicine e distillati, curata dal sommelier Isidoro Menduto.

"Quando sei felice bevi per festeggiare. Quando sei triste bevi per dimenticare. Quando non hai nulla per essere triste o felice, bevi per far accadere qualcosa", ama sottolineare Menduto, sintetizzando con poesia l’arte del brindare. La selezione spazia dai grandi classici italiani alle novità internazionali, con un’attenzione particolare ai grandi formati. Ogni etichetta è scelta per accompagnare e valorizzare al meglio i piatti della chef, trasformando ogni sorso in un viaggio di scoperta.

"Gioia Cucina di Terra" è più di un ristorante, un concetto che va oltre, è un tour sensoriale attraverso l’Italia. La passione e la competenza della chef Daniele si percepiscono in ogni piatto, rendendo ogni pasto un’esperienza appagante. Se siete a Salerno e desiderate assaporare la vera essenza della cucina italiana, questo locale merita senza dubbio una visita. Uscirete con il cuore pieno di “gioia” e il desiderio di tornare al più presto.

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Annamaria Parlato 04/05/2024

Montoro, stupisce ed emoziona la cucina di Chef Cerrato a Casa Federici

Alla frazione Pandola di Montoro, sorge il ristorante Casa Federici, prendendo il nome proprio dall’omonima strada in cui sono ravvisabili le tracce di un antico passato di grande fascino. Casa Federici infatti è un’architettura settecentesca, un tipo di residenza rurale che era comune nel XVIII secolo, specialmente in Europa. Queste case, spesso chiamate anche "case di campagna" o "case padronali", erano generalmente abitate dai contadini o dai proprietari terrieri stessi.

Caratterizzate da uno stile architettonico semplice, ma funzionale, le case coloniali del Settecento solitamente presentavano pareti spesse in pietra o mattoni e una disposizione degli spazi interni concepita per adattarsi alle esigenze agricole della famiglia che vi risiedeva. All'interno, potevano includere una cucina con un grande focolare per preparare cibi e riscaldare la casa, una sala da pranzo, camere da letto e, in alcuni casi, anche una cantina per conservare le provviste. A Casa Federici sono identificabili ancora il pozzo funzionante, la corte esterna e gli archi, testimonianze significative e intrise di storia, messe in evidenza grazie al lavoro di restyling attento alla conservazione del plesso, secondo criteri di valorizzazione e funzionalità.

Lo chef Francesco Cerrato e sua moglie Marzia Longo hanno avuto la lungimiranza di far risplendere un bene architettonico, promuovendo il patrimonio locale e rendendolo fruibile grazie all’interessante cucina d’autore, che ha reso questo posto fiore all’occhiello per gli amanti della buona tavola. Le due spaziose sale interne sono accoglienti, caratterizzate da un design minimalista, basato sull'idea di riduzione agli elementi essenziali, eliminando ogni elemento superfluo. I colori sono neutri, come il bianco, il grigio, il nero e il beige. Questi colori contribuiscono a creare un'atmosfera calma e rilassante, senza distrazioni visive. Tutto è arricchito dall'uso di materiali di alta qualità, come il legno, il metallo e il vetro. Questi materiali conferiscono un senso di eleganza e raffinatezza agli spazi.

La cucina è molto creativa e innovativa, combina elementi provenienti da diverse culture e tradizioni gastronomiche. C’è molta territorialità, a partire dalla celebrazione della materia prima, che si mescola a tendenze più internazionali, sostenibilità e stagionalità. I menù dello chef Cerrato non stancano, sono giocosi, inusuali, divertenti per gli accostamenti inaspettati, le consistenze che non sono mai quel che sembrano, gli impiattamenti visivamente stimolanti. Inoltre, le sperimentazioni di Cerrato si spingono oltre lo scibile, lui cerca di raggiungere il famoso “quinto gusto o umami” attraverso salse, tostature, caramellizzazioni, brodi, riduzioni, affumicature. I suoi piatti conservano anche diverse note amare di fondo, che poi vengono stemperate e mitigate da ingredienti più dolci o acidi, particolari cotture o preparazioni.

Lo chef ha spiegato: “Circa quattro anni fa ho aperto il ristorante, in piena pandemia. Ho trascorso la mia gioventù sempre in cucina e ho avuto maestri eccezionali come Matteo Sangiovanni e Rocco Iannone. Dopo un po' di esperienze in rinomate cucine del territorio, ho deciso di coronare il mio sogno assieme a mia moglie, che è manager di sala. La clientela risponde bene e questo mi riempie di soddisfazione, perché a volte penso di spingermi oltre e di non essere in grado di far comprendere la mia cucina. Le persone sono curiose e sono disposte a provare le novità che le ultime tendenze propongono. Io, in ogni caso, cerco di essere spontaneo, perché questi sono i piatti che in primis piacciono a me e che desidero offrire ai clienti. Sono già diversi anni che siamo anche menzionati dalla Guida Michelin, il più importante podio di settore. Ho voglia di approfondire ulteriormente la materia prima e stupire con la massima semplicità chi vorrà assaggiare i miei piatti”.

Cerrato è abile sulle micro-lavorazioni, un cesellatore nato, e lo si percepisce dalla cura maniacale che pone sui finger di benvenuto e sulla piccola pasticceria. Capolavori di gusto sono il manzo, gambero e sedano rapa, il riso di pasta, carciofi e kefir, la pescatrice e bieta con il suo quinto quarto lavorato come il soffritto alla napoletana e racchiuso in un raviolo sempre di bietola, il predessert “finta oliva” al cioccolato bianco, capperi e limone, il dessert con gelato alla camomilla su crumble di riso, mousse di barbabietola, cremoso all’olio evo, gel di barbabietola e meringa. Quando un pasto coinvolge tutti i sensi, non solo il gusto, lascia un'impressione duratura e memorabile.

Per quanto riguarda il beverage, Marzia Longo ha aggiunto: “In genere si inizia da un tè kombucha, in cui vengono messe a fermentare le erbe e spezie tipiche del liquore concerto, originario di Tramonti. Serve a predisporre il palato alla degustazione. Dopodiché a questi piatti si può abbinare un rosato dalla buona struttura, fermo, secco, come il 7cento20 Aleatico IGP Puglia della Cantina Gentile, che al naso rivela note romantiche di rosa, fragola e melagrana, mescolate con un tocco di pepe rosa e mandorla. Il finale è fresco e leggermente speziato. Sul dessert invece consiglio una grappa DellaValle affinata in botti da Picolit, tipico vitigno autoctono a bacca bianca del Friuli, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. All’olfatto sviluppa profumi molto delicati di frutta candita, con una spiccata prevalenza, al gusto, di sentori di arancio”.

E chi mai oserebbe inserire in un menù un dessert realizzato con patate, cipolla di Montoro, gel all’Amaro Montoro a base di carciofi e baccalà? Chef Cerrato, senza ombra di dubbio, sempre e solo lui, talento naturale, enfant prodige della cucina campana. La cucina è emozione, sentimento e godimento, Casa Federici ne è l’apoteosi.

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