Finalmente "Gioia" a Salerno: non più mare, ma cucina italiana di terra
La chef Annapia Daniele usa la semplicità per infondere complessità ai suoi piatti
Annamaria Parlato 25/01/2025 0
Nella vibrante città di Salerno, tra le viuzze che conducono al lungomare, si trova un gioiello della gastronomia italiana: "Gioia Cucina di Terra". Il ristorante è in piazza Flavio Gioia, nota ai salernitani come "la Rotonda", una zona iconica della città che, durante il periodo invernale, ospita le celebri Luci d’Artista. Attualmente, la piazza è decorata con un grande UFO, circondato da una miriade di dischi volanti simili a meduse fluttuanti, regalando un'atmosfera suggestiva e quasi onirica.
Questo ristorante, guidato con maestria dalla chef Annapia Daniele, già nella scuderia Iapigio/Scognamiglio, e sostenuto dalla visione dei patron Enzo e Fabio Esposito e Marco e Guido Guariglia, è un inno alla cucina classica italiana, reinterpretata con sensibilità e rispetto per le tradizioni. Appena varcata la soglia del locale, si viene accolti da un'atmosfera raffinata; gli arredi, caratterizzati da materiali naturali e tonalità terrose, riflettono l'anima del ristorante: una celebrazione della terra e dei suoi frutti. La tavolozza di colori del design interno spazia sulle tonalità del verde, evocando un senso di armonia. Grandi tavoli in marmo, volutamente privi di tovagliette, contribuiscono a un’estetica moderna, che esalta la bellezza dei piatti serviti. La cura dei dettagli è evidente in ogni angolo, dalla mise en place alle luci soffuse molto intime.
La proposta di "Gioia Cucina di Terra" si fonda su un concetto chiaro: valorizzare i sapori autentici della cucina italiana, privilegiando ingredienti provenienti da aziende certificate e stagionali. La semplicità in cucina, qui, non è sinonimo di banalità, ma anzi di maestria e perizia. Proporre piatti iconici come la carbonara, la bolognese o la cotoletta con l'osso alla milanese, fritta nel burro chiarificato, a Salerno potrebbe apparire una scelta controcorrente, ma è proprio questa la chiave del successo del ristorante. Questa proposta sembra richiamare un ritorno agli anni '70-'80, quando le famiglie del Sud Italia si spostavano per assaporare i piatti classici e regionali, rivivendo il fascino di una tradizione culinaria ricca di storia.
La chef Annapia Daniele, con il suo talento e la sua visione, dimostra che riproporre i grandi classici italiani, in un contesto inaspettato come quello salernitano, è un atto di rispetto per la tradizione e, al tempo stesso, una sfida creativa capace di sorprendere e conquistare i clienti. Il piatto simbolo del ristorante è il filetto di manzo in umido con aglio, olio e prezzemolo, "Filetto Gioia", servito in una suggestiva padella di rame, porzionato per due. Questa ricetta, all'apparenza semplice, è un capolavoro di equilibrio e intensità, che riprende i grandi classici napoletani come la "carne 'a zuppetella" o "a carn' 'a libbretto" cotta in padella con la sugna.
La carne, tenera e succosa, si sposa perfettamente con la delicatezza dell’olio extravergine d'oliva e l'aroma fresco del prezzemolo. L’aglio imbiondito, dosato con maestria, aggiunge un tocco pungente che esalta i sapori senza sovrastarli. La scelta della padella di rame non è solo estetica: questo materiale permette una cottura uniforme, contribuendo a preservare la morbidezza e i succhi del filetto, in cui è d’obbligo inzuppare un pezzetto di pane per la "scarpetta". Si consiglia di accompagnare il piatto con una gradevole porzione di zucca arrostita: il peperoncino presente nella verdura donerà ancora più spinta al boccone.
Tra gli antipasti spicca una creazione che è una vera euritmìa di sapori: l’uovo pochè, servito con una spuma di sedano rapa, cardoncelli ripassati e pancetta croccante. Le uova provengono dall'azienda biologica "L'Uovo d'Oro" di Campagna (SA), nota per la qualità straordinaria del suo prodotto. Cremose e altamente digeribili, queste uova non lasciano cattivi odori su bocca, piatti o posate, offrendo un’esperienza di gusto pura. La consistenza setosa dell’uovo si combina armoniosamente con la cremosità della spuma e il contrasto croccante della pancetta, mentre i funghi cardoncelli aggiungono una nota avvolgente.
Tra i primi, la chitarra al burro zangolato a mano, parmigiano e tartufo nero, è un capolavoro di semplicità, un comfort food che coccola. La pasta fresca utilizzata appartiene alla linea "Le Matassine all'uovo" del Pastificio Cav. Giuseppe Cocco di Fara San Martino (CH), garanzia di qualità abruzzese. Perfettamente al dente, la chitarra è avvolta da una crema vellutata di burro e formaggio, mentre il tartufo nero dona al piatto un’aromaticità intensa e inebriante.
Il dessert "tre cioccolati" rappresenta il gran finale perfetto di una cena indimenticabile. Si tratta di una composizione articolata e deliziosa: ganache di cioccolato al latte, cioccolato fondente croccante, namelaka al cioccolato bianco e vaniglia, il tutto adagiato su un biscotto di pasta sablé con nocciole dalla tostatura strong. Ogni elemento contribuisce a un equilibrio sublime tra dolcezza, croccantezza e cremosità, regalando un’esperienza dolce senza pari. A rendere l’esperienza culinaria ancora più completa c’è la carta dei vini, bollicine e distillati, curata dal sommelier Isidoro Menduto.
"Quando sei felice bevi per festeggiare. Quando sei triste bevi per dimenticare. Quando non hai nulla per essere triste o felice, bevi per far accadere qualcosa", ama sottolineare Menduto, sintetizzando con poesia l’arte del brindare. La selezione spazia dai grandi classici italiani alle novità internazionali, con un’attenzione particolare ai grandi formati. Ogni etichetta è scelta per accompagnare e valorizzare al meglio i piatti della chef, trasformando ogni sorso in un viaggio di scoperta.
"Gioia Cucina di Terra" è più di un ristorante, un concetto che va oltre, è un tour sensoriale attraverso l’Italia. La passione e la competenza della chef Daniele si percepiscono in ogni piatto, rendendo ogni pasto un’esperienza appagante. Se siete a Salerno e desiderate assaporare la vera essenza della cucina italiana, questo locale merita senza dubbio una visita. Uscirete con il cuore pieno di “gioia” e il desiderio di tornare al più presto.
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Annamaria Parlato 30/05/2020
Architetture da rifinire dall'interno: i dolci concettuali di Marco Aliberti
Montoro, comune a metà strada tra Salerno e Avellino, preserva un interessante patrimonio culturale e un ricco paniere di prodotti enogastronomici d’eccellenza. La Pasticceria Aliberti, presente sul territorio da 37 anni nella frazione San Pietro a Montoro Superiore, è ormai un’istituzione locale - rappresentata da colui che ha fondato l’attività, ossia Guido - per gli amanti della tradizione e delle novità che attraverso i suoi figli Marco e Carmine arricchiscono la produzione classica, innovandola.
Marco, astro nascente della pasticceria italiana, è un pastrychef diplomato all’Istituto d’Arte e con una laurea in pittura con specialistica in scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Ha inoltre seguito corsi di formazione presso la Perugina e affiancato la chef 2 stelle Michelin Hélène Darroze nel suo ristorante a Londra per il team della pasticceria.
Forte delle sue esperienze internazionali, Marco è rientrato nell’azienda di famiglia per infondere i suoi saperi nei dolci che nascono prima da uno schizzo preparatorio e poi man mano prendono forma secondo stratificazioni e sottili equilibri di consistenze, preservando al gusto giochi di contrasti apprezzati da chi riesce a percepirne l’intrinseco significato.
Impartisce consulenze e corsi di formazione nelle pasticcerie e cucine del territorio, ha collaborato con lo chef stellato Raffaele Vitale, ha curato la pasticceria dei Ristoranti Casamare a Salerno, Villa Raiano a San Michele di Serino e I Giardini del Fuenti a Vietri sul Mare.
Marco, il lockdown per te è stato un momento di stasi o uno stimolo a reagire?
“In realtà mi sono dato tanto da fare, ho impastato molto pane con il mio lievito madre, molte pizze e ho approfittato per buttar giù alcune idee che adesso ho concretizzato in laboratorio e quindi in pasticceria. E’ nato addirittura un nuovo dolce che rappresenta il senso della libertà ritrovata e la voglia di andare avanti, l’ho chiamato Pellecchiella e Basilico.
Lo realizzo sia in versione fredda che come prodotto da forno a base di frolla e pan di Spagna inzuppato all’amaretto in cui vado ad esaltare questa fantastica albicocca dell’area vesuviana. Nella torta fredda molto simile ad una bavarese invece ho tenuto conto di alcuni aspetti fondamentali quali la cremosità, la croccantezza data dalle mandorle ai profumi di agrumi, la masticazione, l’acidità dell’albicocca e la freschezza del basilico”.
Hai mai provato a fare ricerche d’archivio nei conventi e a realizzare dolci antichi montoresi?
“In realtà mi ispiro sempre alla pasticceria d’altri tempi per le mie creazioni contemporanee e mio padre ha seguito la tradizione classica partenopea. A Montoro un’antica tradizione è quella della pasta di mandorle e degli anginetti di Pasqua che noi realizziamo freschissimi solo in determinati periodi dell’anno.
Però esiste un dolce antico che mio padre ricorda come tramandato anche dalle nobili famiglie di Montoro trasferitesi da Napoli tra cui i Del Pozzo che aprirono importanti pasticcerie qui sul posto e tra questi vi è il Pan di Spagna nasprato al limone con confettura di albicocche. Anche questo dolce ovviamente viene venduto in pasticceria”.
C’è un prodotto del territorio Valle dell’Irno che prediligi lavorare ed esaltare in pasticceria?
“Amo tantissimo la nocciola di Giffoni IGP che qui è molto diffusa. Inoltre nei pressi della pasticceria abbiamo due ettari di terreno in campagna dove coltiviamo gelsi, limoni, ciliegie che utilizzo nella preparazione del mio gelato e delle confetture. Cerco anche di guardare ad altri territori e regioni per arricchire il mio paniere di prodotti e sono sempre alla ricerca di piccole aziende di elevatissima qualità. In ogni caso rispettare la materia prima e la sua stagionalità è tra le mie priorità”.
Hai mai pensato di realizzare un dolce ispirandoti alla storia dell’arte o al tuo artista preferito?
“Sembrerà assurdo ma non ho mai mescolato arte e cibo. Sono più legato alla struttura e all’anima delle cose. Guardando i miei dolci ti accorgerai che anche se all’impatto visivo sono esteticamente curati io bado molto alla geometria, allo strato materico e quindi alle architetture. Quindi forse sono più ispirato dagli architetti. Mi piace Zaha Adid ma anche Van der Rohe.
Però in verità anche se fino a poco tempo fa dipingevo, in pasticceria cerco di bilanciare i miei dolci attraverso le stratificazioni e le consistenze, rendendo il prodotto leggero, digeribile, come uno sbalzo architettonico, curandolo proprio come si fa per la casa. In generale non ho riferimenti, non mi importa della gente che guarda altra gente, il mio prodotto deve essere bello nella sua essenzialità e funzionale, deve essere ben eseguito e rifinito all’interno nella più assoluta semplicità. Stupire i clienti tirando fuori ciò che intrinsecamente è racchiuso nel dolce, l’essenza che diventa esteriorità senza alcun orpello. Ecco questo per me è il massimo, tutto qui”.
Ci sarà sempre uno spazio per il dessert. Il dessert non va nello stomaco. Il dessert va dritto al cuore.
Annamaria Parlato 06/01/2024
Non è magia, è pura Alchimia: pizze e fritti d'autore a Salerno, zona Arechi
Nell'antichità e nel Medioevo, gli alchimisti erano persone che praticavano l'alchimia, un misto di filosofia, scienza e pratica mistica. Gli alchimisti cercavano di trasformare metalli comuni in oro, scoprire l'elisir dell'immortalità e raggiungere l'illuminazione spirituale attraverso processi chimici e simbolici. La figura dell'alchimista storico è spesso avvolta nel mistero e nella simbologia.
Di misterioso ed esoterico però c’è ben poco nelle pizze di Tommaso Lastra ed Alfonso Saviello, fatta eccezione per la combinazione magica che si crea tra la mescolanza di ingredienti che vanno ad arricchire ed impreziosire i dischi ben lievitati, generati dalla passione e dalla bravura di due ragazzi conosciuti nel mondo pizza come “I Pizzaioli Dentro”. Alchimia nasce due anni fa, esattamente il 4 dicembre 2021, dopo tanti sacrifici che i due pizzaioli, assieme ai fratelli Cibelli, Liliana (moglie di Alfonso) ed Antonio, hanno affrontato con caparbietà e testardaggine, senza mollare mai ma facendo conoscere la propria professionalità sia sul territorio campano e nazionale che estero.
Il locale è ubicato nella zona orientale della città, accanto al multisala The Space, a due passi dallo Stadio Arechi. L'ambiente accogliente e informale di Alchimia crea un'atmosfera ideale per un pasto confidenziale tra amici o una serata in famiglia. L'arredamento tradizionale con un tocco moderno aggiunge un senso di calore, mentre il banco delle pizze a vista, con il forno a legna, offre un'esperienza coinvolgente. Il personale di Alchimia si distingue per la cortesia e l'attenzione. Il servizio è rapido ed efficiente, supervisionato da Liliana Cibelli, che è anche la pastry chef della pizzeria; i camerieri sono ben informati sulle portate, pronti a fornire consigli e suggerimenti. La gestione delle prenotazioni è coordinata con professionalità, garantendo un'esperienza senza intoppi, soprattutto nel weekend.
Il menù propone una varietà di opzioni per accontentare tutti i palati. Si spazia dalle classiche, di cui una sezione è dedicata anche alla tipica “ruota di carro”, alle pizze contemporanee con ingredienti innovativi, la selezione è ben bilanciata. Inoltre, la presenza di opzioni senza glutine, vegetariane e vegane è un punto di forza. I pizzaioli si impegnano nella scelta di ingredienti particolari e di alta qualità. Il fior di latte è sodo, i pomodori sono maturi e saporiti, gli altri condimenti sono distribuiti con cura. La freschezza degli ingredienti è evidente in ogni morso. Persino l’olio 100% made in Italy porta la firma Alchimia sulla bottiglia. L’impasto è diretto e molto idratato, lo stile è "a canotto" quindi con un cornicione molto pronunciato ma con una forte componente salernitana sul bordo, che resta più croccante e "biscottato", creando un simpatico gioco di consistenze e contrasti.
La "piombo" (crema di patate gialle, provola, fior di latte, porchetta in uscita, dressing di nduja, dressing di patate viola, rosmarino) è una pizza che ha convinto in quanto si presenta molto bene sia dal punto di vista estetico (sembra un dipinto con le sue nuances di colori invernali) sia gastronomico, poiché, pur essendo ricca e saporita, ha un equilibrio di fondo che le dona leggerezza, richiamando anche i sapori della cucina tradizionale del Sud Italia. La cottura nel forno a legna conferisce quel caratteristico sentore affumicato, che sicuramente un forno elettrico non può sprigionare.
Ampio spazio è dedicato a fritti e montanare, che vengono curati da Antonio Cibelli, il re del fritto o meglio l’alchimista delle fritture. Le sue frittatine di pasta sono davvero spaziali, una coccola per il palato, hanno la capacità di far tornare bambino un adulto. I fritti per Antonio diventano un'opportunità per sperimentare combinazioni e presentazioni uniche. Da provare sicuramente la Mac&Cheese con “macaroni”, crema mac&cheese realizzata con un pizzico di annatto (tipico colorante naturale del cheddar), pulled pork artigianale cotto a bassa temperatura, paprika, e la Broccoli&Salsiccia con bucatini, besciamella, crema di broccoli, fior di latte, provola, parmigiano, pecorino e in uscita cialda di pecorino e crema di nduja.
Allo stesso modo di Antonio, o meglio con la stessa capacità di rendere ogni piatto una carezza per il commensale, così Liliana fa con i suoi dolci. Immenso è il suo tiramisù, golosissimi i profiteroles con cioccolato e panna, un classico della pasticceria internazionale, intramontabile, non fa mai una piega. Buona la carta del beverage, con una calmierata selezione di vini e birre artigianali anche del territorio salernitano, tutte da scoprire.
Ritornando alla figura dell’alchimista, costui in molte tradizioni esoteriche rappresenta una figura iniziata alla ricerca della trasformazione spirituale. Il processo alchemico può essere interpretato come una metafora per il percorso interiore verso la realizzazione e l'illuminazione. E allora pizzaioli, illuminate il percorso di ogni buongustaio che si presenti sulla soglia di Alchimia, conducetelo alla ricerca della pietra filosofale, trasmettendogli conoscenza profonda e saggezza spirituale.
“Il Mercurio, infatti, è vergine poiché nel seno della terra non ha mai aumentato alcun corpo metallico, e tuttavia ha generato per noi la pietra mediante la soluzione del 'cielo'; in altre parole, esso apre l'oro e ne fa uscire l'anima, anima che tu devi considerare come una divinità (divinitatem); per qualche tempo esso la porta nel suo ventre, e, quando il momento è giunto, la trasforma in un corpo purificato, da cui viene a noi il bambino (puer), il lapis, con il cui sangue i corpi inferiori sono tinti (tincta) e ricondotti a guarigione nel cielo d'oro”. (Marsilio Ficino, Liber De Arte Chymica, cap.VI)
Annamaria Parlato 30/07/2022
Il finocchietto è ingrediente essenziale della cucina mediterranea e salernitana
Il finocchio selvatico o “finocchietto” è originario dell’area mediterranea e ama soprattutto le zone marine. Era usato dai Greci e Romani sia in cucina, sia in medicina; nel Medioevo si riteneva avesse proprietà magiche, mentre per usi curativi si utilizzava per gli avvelenamenti da funghi, per morsi di serpente oppure per la cura degli occhi. Questa credenza è stata in seguito avvalorata da ricerche mediche, che hanno verificato come il finocchio abbia veramente un effetto curativo e la capacità di rafforzare la vista.
Questa pianta è assai diffusa nel salernitano, lungo i tratti costieri e collinari, la Valle dell’Irno ne è ricca. Il finocchietto si semina in primavera nella sua posizione definitiva, possibilmente al sole e in terreno ben drenato. E’ sconsigliata l’eccessiva vicinanza all’aneto, in quanto le due piante tendono ad impollinarsi reciprocamente e a produrre ibridi. Può essere tranquillamente seminato lungo i bordi di un’aiuola, essendo una pianta con delicate foglie piumose e molto ramificate, che danno un tocco di leggerezza alle composizioni altrimenti troppo fitte. Ne esiste una varietà dalle tonalità bronzee e quella comune, dal colore verde brillante; il tipo orticolo, usato per le insalate, è il finocchio detto di Firenze, il cui aroma è inconfondibile ed è molto simile a quello dell’anice.
Il periodo di raccolta delle foglie fresche del finocchio selvatico è annuale; l’essiccazione non riesce bene con metodi casalinghi. I fiori del finocchietto selvatico invece si raccolgono tra luglio e fine settembre. Se invece si intendono usare i fusti, si raccolgono prima della primavera, in modo che siano più teneri. I frutti, comunemente chiamati “semi”, si raccolgono all'inizio dell'autunno, quando il fiore si è trasformato. Nelle zone temperate, le foglie durano fino in inverno. In cucina, le foglie sia fresche che secche e i semi sono utilizzati nella preparazione di piatti di pesce, nelle insalate, nei condimenti e con carni grasse. I semi danno un gradevole sapore ai salumi come la salsiccia, ai cetrioli; radici e gambo si mangiano come verdura. I frutti sono usati per aromatizzare le carni grasse, come ad esempio la porchetta, ma anche per dolci casalinghi come tarallini, ciambelle e biscotti.
Il finocchietto selvatico è largamente usato anche in erboristeria e fitoterapia, grazie alle sue importanti proprietà. In particolare è usato per le sue note digestive, per i gonfiori addominali, la colite, le coliche neonatali, la nausea e il vomito. Per tutte queste proprietà e per il suo sapore gradevole, è adoperato quindi anche nella preparazione di infusi, tisane o liquori digestivi. Il liquore detto “finocchietto” è tipico del salernitano, ghiacciato e rinfrescante non manca mai in ristoranti e pizzerie come piacevole fine pasto.
Per esaltare la fragranza incomparabile del finocchietto selvatico e aumentarne il potenziale, bisogna integrarlo con il miglior agente aromatizzante che esista: l’olio d’oliva. Si può provare a mettere un po' di finocchietto in una bottiglia di olio da 75 cl. e si lascia marinare per 72 ore, al riparo dalla luce. Con l’olio ottenuto, si potrà condire il pesce bianco, patate lesse, insalate, formaggi o un risotto. Diventerà un elemento essenziale della cucina, di cui non poter fare più a meno.