Angurie e meloni simbolo dell'estate salernitana: rigeneranti, freschi e dissetanti
Le prime erano già conosciute dai Faraoni, mentre i secondi giunsero in Campania nel I secolo d.C.
Annamaria Parlato 28/06/2023 0
Il melone è un frutto che ha una lunga storia e radici che risalgono all'antichità. È difficile determinare esattamente quando il melone sia stato coltivato per la prima volta, ma ci sono prove che suggeriscono sia stato impiantato in diverse parti del mondo per migliaia di anni. Spontanee e comuni dalla Numidia alla Mauritania, ad esempio, le angurie in graffiti ornarono le tombe dei primi Faraoni, mentre i meloni, ancora di piccole dimensioni, furono di poco successivi.
Approdarono prima in Grecia e poi in Campania nel I d.C., creando un problema di gusto sia per Dioscoride, medico di origini greche, sia per Plinio il Vecchio, abituati al sapore dell’anguria. Introdotto sul mercato come una novità, i prezzi lievitarono e il melone, considerato un legume verde, diventò boccone da imperatore, come insalata, condito con aceto, pepe e “garum”, la salsa di pesce, tanto che Tiberio non riuscì a farne a meno. Nel corso dei secoli, gli agricoltori mediterranei perfezionarono la coltivazione del melone, non più chiamato legume, rendendolo dolce, grosso e gustoso.
L’anguria invece nacque in Africa tropicale, ma il mondo intero le diede subito asilo. Infatti, il consumo di anguria si è diffuso poi in Italia, in particolar modo in Campania, Puglia e Sicilia, che sono le regioni di maggior produzione. Oggi esistono meloni di diverse forme, dimensioni e colori, tra cui il melone cantalupo, il melone retato, il melone giallo e molti altri. Il melone campano è noto per la sua buccia liscia e di colore giallo chiaro, con una leggera reticolatura sulla superficie. La polpa di questa varietà è di colore arancione intenso e ha un gusto dolce e profumato. È particolarmente apprezzato per la sua consistenza morbida e succosa.
La coltivazione del melone campano avviene principalmente nelle pianure fertili, dove il clima mediterraneo offre condizioni ottimali per la crescita delle piante di melone. Le zone di produzione principali includono la provincia di Caserta, la provincia di Napoli e parti della provincia di Salerno. Il melone campano viene spesso consumato fresco e tagliato a fette, come spuntino o dessert estivo. È anche utilizzato in molte ricette, come insalate con prosciutto crudo o formaggi, bevande rinfrescanti come succhi e frullati, e come ingrediente in dolci e gelati. Il melone ha un sapore è dolce e rinfrescante, oltre alle proprietà nutritive è ricco di vitamine A e C, potassio e fibre. Viene spesso consumato fresco in insalate, è molto versatile in cucina e può essere utilizzato in diverse preparazioni.
Ecco alcuni modi comuni in cui il melone viene utilizzato:
- Il melone è delizioso da gustare semplicemente fresco e tagliato a fette. Il suo sapore dolce e rinfrescante lo rende un'ottima scelta per un spuntino estivo o per arricchire una macedonia di frutta.
- Il melone può essere aggiunto alle insalate per dare un tocco di dolcezza e freschezza. Si abbina particolarmente bene con ingredienti come prosciutto crudo, formaggio fresco, rucola, menta e noci. L'insalata di melone e prosciutto crudo è un classico piatto estivo.
- Il melone può essere utilizzato per preparare deliziose bevande come spremute e frullati. Basta frullare la polpa del melone con un po' di succo di limone o arancia per ottenere una bevanda rinfrescante e dissetante.
- Il melone può essere utilizzato anche in gelati e sorbetti. La polpa del melone può essere frullata e quindi mescolata con zucchero e altri ingredienti per creare una base per il gelato o il sorbetto. È possibile sperimentare con diverse varietà di melone per ottenere gusti unici.
- Il melone può essere trasformato in una salsa o condimento per accompagnare piatti salati. Ad esempio, si può frullare la polpa del melone con cipolla, peperoncino, coriandolo e lime per creare una salsa fresca e piccante da servire con carne o pesce.
- I cetriolini di melone sono un contorno fresco e aromatico, spesso servito con piatti a base di carne o pesce. Questa è una preparazione comune in molte cucine asiatiche. Il melone viene tagliato a fette sottili e marinato con aceto, zucchero, sale e spezie.
Vi è un detto che recita: “Le persone che si conoscono sono come i meloni, bisogna assaggiarne cinquanta prima di trovare quella buona”. Questo perché il melone non è sempre leale, la scorza spesso inganna, nascondendo all’interno una polpa a volte saponosa, insipida o che sa di muffa.
Per riconoscere un melone fresco, bisogna fare attenzione alla consistenza: dovrebbe essere solida ma leggermente elastica quando viene premuto con le dita. Evitare i meloni che sono troppo duri o troppo morbidi. Inoltre deve contenere molta acqua, che è un segno di freschezza, e avere un bel peso; profumo dolce e aromatico nella zona dove il picciolo si attacca al frutto. Se non ha alcun odore o ha un odore sgradevole, potrebbe non essere fresco.
La buccia dovrebbe essere liscia, senza macchie o ammaccature evidenti. Il colore può cambiare a seconda della varietà, ma, in generale, bisogna osservare la buccia vibrante, ad esempio gialla o verde brillante; suono "sordo" alla percussione. Un melone fresco emetterà un suono sordo e profondo, mentre un melone non fresco potrebbe produrre un suono cavo o metallico. Se possibile, bisogna verificare che il melone abbia ancora il picciolo attaccato. La presenza del picciolo indica che il melone è stato raccolto maturando sulla pianta, il che può essere un segno di floridezza.
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Annamaria Parlato 29/11/2022
"Sorbole", che bontà: frutto tipico del salernitano ormai raro e dimenticato
Un frutto che pochi ricordano sono le sorbe, piccoli portafortuna molto diffusi tra contadini e pastori, consumati durante il periodo invernale e natalizio. I frutti venivano in passato usati a scopo alimentare, ma oggi non vengono quasi più adoperati. Il sorbo, tipico della Macchia Mediterranea, con i suoi frutti è una pianta antichissima: le prime notizie risalgono al 400 a.C. in Grecia; i Romani lo fecero conoscere al resto dell’Europa.
Virgilio, nelle Georgiche (III, 380), narrando di popolazioni che vivevano nell’Europa dell’Est, a nord del Mar Nero, racconta che, dopo le cacce al cervo nella neve, si riunivano in grotte dove accendevano grandi fuochi e bevevano una miscela di orzo fermentato e acide sorbe. L’etimologia del latino sorbus è incerta: secondo alcuni deriverebbe dal verbo sorbeo, ossia bere, assorbire, in quanto i frutti del sorbo arrestano i flussi dell’intestino. Dioscoride e Galeno erano concordi su quest’uso terapeutico.
Tuttavia, pare assai più verosimile un’etimologia indoeuropea, da sor-bho cioè rosso, corrispondente al colore dei frutti. Con il termine sorbo si indicano alcune specie vegetali appartenenti alle Rosacee (Dicotiledoni), che si presentano come piccoli alberelli o grossi cespugli. Producono fiori regolari, a cinque petali liberi, generalmente biancastri, e maturano piccoli frutti globosi o oblunghi, giallastri o rossi.
Molto noto nella regione mediterranea è il Sorbo domestico (Sorbus domestica o Pirus domestica), già conosciuto nei secoli passati, con foglie imparipennate e foglioline seghettate al margine. Esso produce frutti, le sorbe, che sono raggruppati e penduli; ora essi assomigliano a piccole pere, ora a minuscole mele di color giallo-verdastro, e vengono raccolti ancora acerbi in autunno, per essere conservati sulla paglia fino a completa maturazione, o meglio, all’ammezzimento.
In tali condizioni, la loro polpa brunastra assume un sapore acidulo e aromatico, gradevole. I pomi diventano scuri, morbidi e saporiti per una trasformazione enzimatica. Il frutto maturo ha un contenuto di zuccheri di circa il 20% e viene consumato al naturale o utilizzato per la preparazione di marmellate. I frutti del sorbo domestico erano più diffusi nei secoli passati; negli ultimi decenni, il consumo e la diffusione dei frutti sono andati via via in diminuzione.
Oggi sono considerati una rarità e vengono catalogati nei frutti dimenticati o frutti minori. Vi sono diverse varietà: la sorba agostina, o suovero agostegno, che matura in fine agosto; la sorba autunnale, o suovero a panella, di color giallo e rosso, molto grande, matura a settembre; la sorba capitana, che matura in dicembre; la sorba pera tortona che matura in inverno; la sorba varrecchiare matura da dicembre a febbraio; le sorbe antignane, dal colore rosso-verde, maturano in dicembre e si presentano in bei grappoli o schiocche.
Vi sono ancora le sorbe nataline e le pascarole, ma si deve considerare che in luoghi diversi la stessa varietà è chiamata con nomi differenti. Le sorbe capitane e le antignane sono le più pregiate in quanto a pezzatura e a sapore. “O mazzo o ‘a ceppa ‘e sovere” si tiene appeso sul terrazzino e si spizzicano i frutti squisiti, man mano che diventano maturi. Nelle leggende europee il sorbo è una pianta che protegge chi ne possiede un esemplare, scacciando in questo modo gli spiriti maligni. “Sorbole” (cioè sorbe) è anche una tipica esclamazione dialettale bolognese, che sta ad indicare stupore, meraviglia, sorpresa.
Redazione Irno24 07/08/2024
Siano, edizione numero 45 per la Sagra della Braciola di Capra
"L’innovazione e l’intuizione fioriscono quando le menti si uniscono, collaborano, trovano una condivisione aperta al bene comune"; con questa frase, gli organizzatori danno il via alla 45esima edizione della Sagra della Braciola di Capra, in programma a Siano in piazza Borsellino. L'evento, che va avanti dal 1979, si svolgerà dal 9 al 12 agosto. Nel 2005, la Braciola di Capra è stata riconosciuta quale prodotto tipico locale della Regione Campania.
Ognuna delle serate sarà scandita da eventi canori e di intrattenimento: venerdì 9, ore 21:00, "Le Iene live band"; sabato 10, ore 21:00, "ARB live music"; domenica 11, ore 21:00, "Simone Carotenuto e i Tammorrari del Vesuvio" in Concerto; lunedì 12, ore 21:00, "Voci e Suoni del Sud" con Enzo Tammurriello, a seguire il grandioso spettacolo piromusicale della Salvati Fireworks.
Annamaria Parlato 21/08/2025
Fichi d'India, dal Messico al salernitano per trovare un habitat ideale
Introdotti in Europa dopo la scoperta dell’America e giunti in Italia nel XVII secolo grazie alla dominazione spagnola, i fichi d’India hanno trovato nel Sud e nella provincia di Salerno un habitat ideale, trasformandosi da pianta esotica a simbolo mediterraneo. Le prime coltivazioni si diffusero nelle Canarie e in Sicilia, sfruttando la loro capacità di resistere ad aridità e terreni scoscesi, da lì raggiunsero il resto del Mezzogiorno. Nel corso dei secoli furono utilizzati non solo come frutto ma anche come risorsa multifunzionale: nel XIX secolo le pale, private delle spine, venivano usate come foraggio, mentre il succo trovava impiego nella medicina popolare e oggi è base di cosmetici per le sue proprietà nutrienti e antiossidanti.
Nella provincia di Salerno il fico d’India è entrato a far parte del paesaggio: dai terrazzamenti delle zone costiere alle colline, le piante costellano campi e sentieri, a testimonianza di un radicamento secolare. Le varietà più comuni sono tre: il bianco o scetun, meno zuccherino e rinfrescante; il giallo o sulfarin, dolce e diffuso; e il rosso o sanguigna, aromatico e pregiato. Dal punto di vista nutrizionale, i fichi d’India rappresentano un concentrato di benessere: ricchi di vitamina C, potassio, magnesio e calcio, forniscono fibre che favoriscono la digestione e regolano il colesterolo, contengono polifenoli e betacarotene ad azione antiossidante e i semi custodiscono acidi grassi essenziali utili per la salute della pelle e del cuore.
Il ciclo stagionale del fico d’India ne amplifica il fascino: i frutti maturano generalmente tra agosto e settembre, mentre grazie alla tecnica della scozzolatura – che consiste nel taglio dei primi fiori – la pianta produce i cosiddetti bastardoni, frutti più grandi e succosi che arrivano a maturazione tra ottobre e novembre, rendendo possibile gustarli fino all’inizio dell’inverno. Per prolungarne la disponibilità, soprattutto in passato nelle campagne cilentane e salernitane, si ricorreva all’essiccazione: i frutti maturi venivano sbucciati, tagliati a metà e disposti su graticci al sole, protetti da teli sottili e rigirati ogni giorno fino a quando non perdevano gran parte dell’umidità. Così, in pochi giorni, si ottenevano dolci concentrati di energia da conservare per l’inverno, talvolta aromatizzati con foglie di alloro o scorze di agrumi. Oggi questo processo può essere replicato anche con essiccatori domestici o con una lenta cottura al forno a bassa temperatura.
In cucina offrono una sorprendente versatilità: sono protagonisti di confetture, granite, gelati, crostate e liquori artigianali, ma trovano impieghi anche in preparazioni salate, come insalate con rucola e formaggi erborinati, piatti di selvaggina e carni bianche, oppure salse agrodolci per accompagnare tonno e sgombro. La loro pulizia richiede attenzione: le spine sottili e invisibili impongono l’uso di guanti spessi o la tecnica di forchetta e coltello per incidere la buccia senza contatto diretto, mentre l’ammollo in acqua è un rimedio pratico per ridurre il rischio di punture.
Negli ultimi anni, oltre alla tradizione gastronomica, il fico d’India si è imposto come risorsa strategica per la sostenibilità. I cladodi, ossia le pale, possono immagazzinare fino al 90% di acqua e garantire tra 5 e 6 tonnellate di biomassa secca per ettaro in condizioni di scarsità idrica, arrivando fino a 40 tonnellate e a 20 tonnellate di frutti per ettaro in ambienti più favorevoli. Le pale potate, considerate un tempo scarti, si rivelano oggi preziose per i loro composti: mucillagini, fibre e fenoli trovano applicazioni nell’industria alimentare e nutraceutica come addensanti, pectina, collodi e antiossidanti.
Dalla bioedilizia alla produzione di pellicole biodegradabili, fino all’impiego come coltura energetica, il fico d’India si propone come alleato della transizione ecologica. Così, da frutto esotico originario del Messico a compagno silenzioso dei paesaggi salernitani, il fico d’India continua a intrecciare storia e futuro: simbolo di resistenza e adattamento, fonte di nutrimento e salute, protagonista di tavole mediterranee e, oggi, risorsa innovativa per una nuova idea di sostenibilità.