"Carminuccio week", la settimana della pizza più amata dai salernitani
L'unica pizza moderna capace di competere con le regine
Redazione Irno24 10/07/2023 0
Il 18 luglio dello scorso anno veniva a mancare Carmine Donadio, il decano dei pizzaioli salernitani, che per 40 anni ha nutrito intere generazioni nella pizzeria di Mariconda, inventando l’unica pizza moderna sinora capace di competere a livello popolare con le regine Margherita e Marinara: la Carminuccio.
Nata dall’intuizione della semplicità dei sapori dell’epoca, la Carminuccio è diventata nei decenni una pizza identitaria, il piccolo grande contributo di Salerno allo straordinario mondo della pizza. Tanto che è stata adottata, come omaggio all’inventore, in oltre 30 pizzerie di salernitani.
Per ricordare Carmine, viene promossa una settimana interamente dedicata alla Carminuccio dal 17 al 22 luglio, nel corso della quale tutte le pizzerie aderenti metteranno la pizza di Carmine Donadio ad un prezzo speciale, per favorirne la conoscenza alle giovani generazioni e ai numerosi turisti che affollano la città.
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Annamaria Parlato 04/05/2024
Montoro, stupisce ed emoziona la cucina di Chef Cerrato a Casa Federici
Alla frazione Pandola di Montoro, sorge il ristorante Casa Federici, prendendo il nome proprio dall’omonima strada in cui sono ravvisabili le tracce di un antico passato di grande fascino. Casa Federici infatti è un’architettura settecentesca, un tipo di residenza rurale che era comune nel XVIII secolo, specialmente in Europa. Queste case, spesso chiamate anche "case di campagna" o "case padronali", erano generalmente abitate dai contadini o dai proprietari terrieri stessi.
Caratterizzate da uno stile architettonico semplice, ma funzionale, le case coloniali del Settecento solitamente presentavano pareti spesse in pietra o mattoni e una disposizione degli spazi interni concepita per adattarsi alle esigenze agricole della famiglia che vi risiedeva. All'interno, potevano includere una cucina con un grande focolare per preparare cibi e riscaldare la casa, una sala da pranzo, camere da letto e, in alcuni casi, anche una cantina per conservare le provviste. A Casa Federici sono identificabili ancora il pozzo funzionante, la corte esterna e gli archi, testimonianze significative e intrise di storia, messe in evidenza grazie al lavoro di restyling attento alla conservazione del plesso, secondo criteri di valorizzazione e funzionalità.
Lo chef Francesco Cerrato e sua moglie Marzia Longo hanno avuto la lungimiranza di far risplendere un bene architettonico, promuovendo il patrimonio locale e rendendolo fruibile grazie all’interessante cucina d’autore, che ha reso questo posto fiore all’occhiello per gli amanti della buona tavola. Le due spaziose sale interne sono accoglienti, caratterizzate da un design minimalista, basato sull'idea di riduzione agli elementi essenziali, eliminando ogni elemento superfluo. I colori sono neutri, come il bianco, il grigio, il nero e il beige. Questi colori contribuiscono a creare un'atmosfera calma e rilassante, senza distrazioni visive. Tutto è arricchito dall'uso di materiali di alta qualità, come il legno, il metallo e il vetro. Questi materiali conferiscono un senso di eleganza e raffinatezza agli spazi.
La cucina è molto creativa e innovativa, combina elementi provenienti da diverse culture e tradizioni gastronomiche. C’è molta territorialità, a partire dalla celebrazione della materia prima, che si mescola a tendenze più internazionali, sostenibilità e stagionalità. I menù dello chef Cerrato non stancano, sono giocosi, inusuali, divertenti per gli accostamenti inaspettati, le consistenze che non sono mai quel che sembrano, gli impiattamenti visivamente stimolanti. Inoltre, le sperimentazioni di Cerrato si spingono oltre lo scibile, lui cerca di raggiungere il famoso “quinto gusto o umami” attraverso salse, tostature, caramellizzazioni, brodi, riduzioni, affumicature. I suoi piatti conservano anche diverse note amare di fondo, che poi vengono stemperate e mitigate da ingredienti più dolci o acidi, particolari cotture o preparazioni.
Lo chef ha spiegato: “Circa quattro anni fa ho aperto il ristorante, in piena pandemia. Ho trascorso la mia gioventù sempre in cucina e ho avuto maestri eccezionali come Matteo Sangiovanni e Rocco Iannone. Dopo un po' di esperienze in rinomate cucine del territorio, ho deciso di coronare il mio sogno assieme a mia moglie, che è manager di sala. La clientela risponde bene e questo mi riempie di soddisfazione, perché a volte penso di spingermi oltre e di non essere in grado di far comprendere la mia cucina. Le persone sono curiose e sono disposte a provare le novità che le ultime tendenze propongono. Io, in ogni caso, cerco di essere spontaneo, perché questi sono i piatti che in primis piacciono a me e che desidero offrire ai clienti. Sono già diversi anni che siamo anche menzionati dalla Guida Michelin, il più importante podio di settore. Ho voglia di approfondire ulteriormente la materia prima e stupire con la massima semplicità chi vorrà assaggiare i miei piatti”.
Cerrato è abile sulle micro-lavorazioni, un cesellatore nato, e lo si percepisce dalla cura maniacale che pone sui finger di benvenuto e sulla piccola pasticceria. Capolavori di gusto sono il manzo, gambero e sedano rapa, il riso di pasta, carciofi e kefir, la pescatrice e bieta con il suo quinto quarto lavorato come il soffritto alla napoletana e racchiuso in un raviolo sempre di bietola, il predessert “finta oliva” al cioccolato bianco, capperi e limone, il dessert con gelato alla camomilla su crumble di riso, mousse di barbabietola, cremoso all’olio evo, gel di barbabietola e meringa. Quando un pasto coinvolge tutti i sensi, non solo il gusto, lascia un'impressione duratura e memorabile.
Per quanto riguarda il beverage, Marzia Longo ha aggiunto: “In genere si inizia da un tè kombucha, in cui vengono messe a fermentare le erbe e spezie tipiche del liquore concerto, originario di Tramonti. Serve a predisporre il palato alla degustazione. Dopodiché a questi piatti si può abbinare un rosato dalla buona struttura, fermo, secco, come il 7cento20 Aleatico IGP Puglia della Cantina Gentile, che al naso rivela note romantiche di rosa, fragola e melagrana, mescolate con un tocco di pepe rosa e mandorla. Il finale è fresco e leggermente speziato. Sul dessert invece consiglio una grappa DellaValle affinata in botti da Picolit, tipico vitigno autoctono a bacca bianca del Friuli, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. All’olfatto sviluppa profumi molto delicati di frutta candita, con una spiccata prevalenza, al gusto, di sentori di arancio”.
E chi mai oserebbe inserire in un menù un dessert realizzato con patate, cipolla di Montoro, gel all’Amaro Montoro a base di carciofi e baccalà? Chef Cerrato, senza ombra di dubbio, sempre e solo lui, talento naturale, enfant prodige della cucina campana. La cucina è emozione, sentimento e godimento, Casa Federici ne è l’apoteosi.
Annamaria Parlato 27/08/2024
Fresco o essiccato, l'aglio è un alleato dei piatti e della salute
La patria dell’aglio era, probabilmente, l’Asia, e il suo uso è registrato fin dai tempi dei Sumeri, circa 5000 anni fa. Oggi lo si può coltivare quasi ovunque, anche se nei climi più freddi il suo gusto non è così penetrante. Il suo nome inglese, garlic, ha chiare origini anglosassoni, derivando dalle parole gar, un tipo di lancia di allora, e da leac, che significava porro. In Inghilterra veniva abbondantemente consumato, di solito crudo.
L’aglio fa parte di ogni tradizione gastronomica e dona un aroma caratteristico a qualsiasi portata; il suo sapore è molto forte, non a tutti piace. Possiede anche qualità terapeutiche, è antisettico e ha la capacità di curare in tempi brevi la stitichezza. E’ un valido diuretico ed espettorante, è un coadiuvante nel trattamento di bronchiti, catarro, ferite e malattie infettive.
La coltivazione dell’aglio (Allium sativum) avviene in un terreno fertile e ben drenato, situato in una posizione soleggiata e, possibilmente, calda. Gli spicchi che compongono il bulbo vanno piantati in ottobre o aprile. La maturazione verrà raggiunta verso luglio-agosto, quando le cime vegetative cominciano a cambiare colore e a piegarsi. Gli spicchi, dal punto di vista botanico, sono foglie che si sono evolute mutandosi in organi di immagazzinamento; alla base del bulbo si trovano le vere radici, fibrose e aggrovigliate. Le foglie sono lineari, appiattite, a punta, decorrenti dalla base o lungo lo stelo fiorito. I semi sono neri e i fiori in capolini tondi, misti a bulbilli, avvolti in una pellicola bianca cartacea, sono di colore bianco rosato e fioriscono in luglio e agosto.
In primavera è possibile consumare aglio fresco e non essiccato e in genere sono le varietà che si conservano con meno facilità, perché più delicate e precoci. Sono le varietà rosa: il Rosa Primaticcio, il Rosa napoletano, il Rosso di Sulmona e il Rosa di Agrigento. L'aglio bianco Garcua si presenta con un bulbo di dimensioni medie, dalla forma ovale e leggermente appiattita. La tunica esterna è bianca, liscia e brillante, mentre gli spicchi interni sono di un colore bianco puro, compatti e regolari. Il suo aroma è intenso e persistente, con note floreali e leggermente dolciastre. Il sapore è molto equilibrato.
Invece, l'aglio rosso tardivo campano si presenta con un bulbo di dimensioni medie, dalla forma ovale e leggermente appiattita. La tunica esterna è di un colore rosso intenso, quasi vinaccia, liscia e brillante. Gli spicchi interni sono di un colore bianco rosato, compatti e regolari. Il suo aroma è leggero, e Il sapore è deciso, ma equilibrato, con un retrogusto leggermente piccante. L’aglio da mangiare fresco va sbucciato con un coltellino e aggiunto crudo alle insalate: in questo modo manterrà integre le sue sostanze attive, aromatizzando con delicatezza. Il suo sapore, infatti, è meno piccante di quello dell’aglio secco, ma più ricco d’aroma.
Alle varietà più tradizionali e conosciute, da un po' di tempo anche in Italia se n’è aggiunta una nuova, ossia la varietà “nera”, coltivata anche in Campania, richiestissima e utilizzata dagli chef per arricchire piatti gourmet. Nato in Corea nel 2004, l’aglio nero si è presto diffuso in America ed Europa. A prima vista, lascia un po’ perplessi per colpa del colore particolare ma, in realtà, nasconde numerose proprietà benefiche per il nostro organismo. Si genera grazie alla fermentazione dei bulbi di aglio fresco a una determinata temperatura ed umidità. Questo processo, che dura 30 giorni, non prevede nessun tipo di trattamento con conservanti o additivi ed è il primo passaggio per la realizzazione dell’aglio nero.
La seconda fase, che dura ben 45 giorni, permette all’aglio di assumere lo stravagante colore nero. Tutto merito dell’ossidazione che, oltre a colorare gli spicchi, li ammorbidisce e toglie quel sapore pungente tipico dell’aglio tradizionale. Alla fine di queste fasi, quindi, si ha una versione meno “aggressiva” rispetto all’aglio tradizionale, ideale per chi non gradisce il sapore forte e pungente della controparte bianca. L’aglio nero lascia in bocca un gradevole retrogusto di liquirizia. Inoltre, non ha odore e ha un sapore molto più dolce rispetto all’aglio tradizionale.
Meno conosciuto è anche l’aglione, noto per il suo sapore delicato e dolce. A differenza dell'aglio comune, non è pungente e questo lo rende particolarmente apprezzato da chi desidera un aroma meno invasivo nei piatti. Si sposa perfettamente con il pomodoro e l'olio d'oliva, diventando protagonista indiscusso della cucina campana, dove viene utilizzato per preparare piatti tipici come la pasta con l'aglione, la pizza con l'aglione e l'insalata di pomodori con l'aglione.
Annamaria Parlato 02/02/2025
Cucina giapponese o coreana? Da Kikko Ramen a Salerno le assaggi insieme
La cucina asiatica ha conquistato il cuore e il palato di molti italiani negli ultimi anni, Salerno non fa eccezione. Tra i locali più apprezzati della città spicca Kikko Ramen, un ristorante panasiatico inaugurato a maggio 2024 che fonde sapientemente le tradizioni cinesi, giapponesi, thai e coreane in un mix di sapori autentici e innovativi. La cucina giapponese si distingue per l'attenzione alla qualità degli ingredienti, rappresentando un equilibrio perfetto tra gusto e estetica. D'altra parte, la cucina coreana è conosciuta per i suoi sapori decisi, spesso piccanti, e per l'ampio uso di fermentazioni come il kimchi, una preparazione a base di cavolo fermentato e spezie.
Il ramen è uno dei piatti più rappresentativi della cucina giapponese, ma le sue origini sono strettamente legate alla Cina e a coloro che realizzavano tagliatelle tirate a mano. Introdotto in Giappone all'inizio del XX secolo, dopo la Seconda Guerra Mondiale ebbe larga diffusione in quanto il governo giapponese, investito da una forte crisi alimentare, incoraggiò il consumo di grano fornito dagli Stati Uniti, diventando un piatto a basso costo e accessibile a tutti. Il ramen ha subito numerose evoluzioni, diventando un'icona della cultura nipponica. Si tratta di una zuppa a base di brodo, noodles e vari condimenti, con infinite varianti regionali. Gli ingredienti principali del ramen includono: brodo, che può essere a base di carne (maiale o pollo), pesce o vegetale, spesso insaporito con salsa di soia, miso o sale; noodles preparati con farina di frumento dalla consistenza elastica e sapore delicato; condimenti come il chashu (maiale arrosto), le uova ajitama, il nori (alga), i germogli di bambù, i narutomaki e i cipollotti.
La preparazione del ramen è un'arte che richiede tempo e dedizione. Il brodo viene cotto a lungo per estrarre il massimo sapore dagli ingredienti, mentre i noodles vengono immersi al momento per garantire la giusta consistenza. Ogni elemento viene poi assemblato con cura, creando un piatto che è al tempo stesso comfort food e opera d'arte culinaria. Al palato, il ramen regala una sensazione di calore avvolgente e appagante, con la profondità del brodo che si unisce alla delicatezza dei noodles e alla varietà dei condimenti, per un'esperienza ricca di contrasti armoniosi.
Il kimchi è uno dei pilastri della cucina coreana e rappresenta non solo un alimento, ma anche una parte importante della cultura e della storia del paese. Le sue origini risalgono a oltre duemila anni fa, quando la fermentazione veniva utilizzata come metodo per conservare gli alimenti durante i rigidi inverni, tanto da diventare un'arte culinaria riconosciuta dall'UNESCO come patrimonio culturale immateriale dell'umanità. È composto da verdure, di cui cavolo napa e ravanelli, spezie come polvere di peperoncino coreano (gochugaru), zenzero, aglio e cipollotti, infine altri elementi che possono includere salsa di pesce o gamberetti fermentati per arricchire il sapore.
Le verdure vengono salate e lasciate riposare per eliminare l'acqua in eccesso. Successivamente, vengono mescolate con una pasta speziata preparata con gochugaru, aglio e vari aromi. Il tutto fermenta per alcuni giorni o settimane, sviluppando il caratteristico sapore pungente e complesso che lo contraddistingue. Al palato, il kimchi esplode con un mix di acidità, piccantezza e un tocco umami, regalando una sensazione di freschezza e intensità che stimola i sensi e lascia un retrogusto persistente.
La fermentazione è una tecnica antica utilizzata per conservare gli alimenti e arricchirne il sapore. Questo processo naturale si basa sull'azione di microrganismi come batteri e lieviti, che trasformano gli zuccheri presenti negli alimenti in acidi, alcol e gas. Nella cucina asiatica, la fermentazione è alla base di molte preparazioni tradizionali, come il miso, il natto e le salse di soia. Questo processo non solo prolunga la conservabilità degli alimenti, ma ne amplifica anche il profilo nutrizionale e organolettico. Gli alimenti fermentati sono spesso ricchi di probiotici, che favoriscono la salute intestinale, e di sapori complessi che arricchiscono i piatti.
Kikko Ramen, situato nel cuore della città, in Via Ten. Col. Calò, e gestito dalla storica famiglia Liu (la prima a portare il sushi a Salerno), si presenta con un design moderno e accogliente, ispirato all'estetica minimalista giapponese, ma con dettagli che richiamano la vivacità coreana. Le pareti, decorate con immagini di pagode e rami di ciliegio, creano un'atmosfera unica, rendendo il locale altamente instagrammabile. Inoltre, un armadio pieno di kimoni è a disposizione dei clienti, che possono indossarli durante il pasto per vivere un'esperienza ancora più autentica e immersiva.
Il menù di Kikko Ramen è un perfetto equilibrio tra le due tradizioni culinarie. Per chi ama i sapori coreani, il menù offre anche i tteokbokki (gnocchi di riso in salsa piccante), il pajeon (frittelle di cipollotti) e il pollo fritto condito con il gochujang (una salsa fermentata salata, dolce e piccante preparata con peperoncino rosso, riso glutinoso, meju ossia fagioli di soia fermentati, malto d'orzo, il tutto in polvere, e sale). Non mancano influenze da altre tradizioni asiatiche come la thailandese e cinese. Ogni piatto del menù di Kikko Ramen sprigiona sensazioni uniche al palato. Al primo assaggio del ramen, che ogni mese viene proposto anche con ingredienti stagionali ma temporanei, il brodo avvolge il palato con la sua complessità, rivelando strati di sapori che si susseguono: dalle note umami del dashi alle sfumature salate della salsa di soia, fino ai toni dolci delle verdure. La temperatura del brodo, mantenuta costante grazie alle ciotole preriscaldate, contribuisce a esaltare ogni sfumatura di gusto. I tteokbokki offrono una combinazione irresistibile di morbidezza e piccantezza avvolgente, mentre il pajeon conquista con la sua croccantezza e i sapori delicati delle verdure.
Ogni piatto è curato nei minimi dettagli, dalla presentazione alla scelta degli ingredienti, spesso importati direttamente dall'Asia. Da provare anche i dessert, come la famosa cheesecake giapponese, il bao dolce, il matchamisù, i mochi gelato e i dorayaki da abbinare allo soju. Il personale è sempre disponibile a guidare i clienti nella scelta dei piatti, spiegando le origini e le caratteristiche di ogni preparazione. Sia che siate appassionati di cucina giapponese o cultura asiatica, Kikko Ramen è il luogo ideale per un viaggio gastronomico senza bisogno di lasciare Salerno. Grazie alla sua attenzione alla qualità e alla sua capacità di coniugare tradizioni culinarie diverse, il ristorante si conferma una tappa obbligata per chi vuole scoprire il meglio della cucina panasiatica. Itadakimasu!