Il cornetto perfetto: la tradizione artigianale della pasticceria Mansi a Salerno
Dalla sfoglia fatta a mano alle farciture gourmet, i lievitati diventano tentazione golosa del post serata
Annamaria Parlato 23/10/2024 0
In Italia c'è un’usanza piuttosto particolare che riguarda il consumo del cornetto durante la notte, sia nelle città che nei paesi. Questa abitudine nasce dal fatto che le pasticcerie, panetterie o bar, specialmente quelli aperti 24 ore su 24 o che lavorano di notte per preparare i prodotti freschi del mattino, cominciano a sfornare cornetti caldi nelle ore notturne. La tradizione del cornetto di mezzanotte o "cornetto notturno" è legata alla "movida by night", soprattutto tra i giovani che escono per divertirsi e, prima di tornare a casa, cercano qualcosa di dolce e appena sfornato da mangiare.
Spesso, dopo una serata in discoteca o un giro per i locali, è abitudine fermarsi in una di queste pasticcerie o bar per gustare un cornetto caldo, accompagnato da un bicchiere di latte freddo schiumato o al cioccolato. I cornetti possono essere semplici, vuoti oppure farciti con cioccolato, crema pasticcera, marmellata. Questi luoghi diventano un punto di ritrovo dove socializzare dopo una lunga notte fuori, e la combinazione di cornetti caldi, l'atmosfera rilassata della notte e l'aroma dei dolci appena sfornati rendono l'esperienza speciale. Inoltre, non è raro che le persone che lavorano di notte, come tassisti, infermieri o altri professionisti del turno notturno, trovino nei cornetti un modo piacevole per prendersi una pausa o fare una colazione anticipata.
Questa tradizione si distingue anche dalla tipica colazione italiana, che prevede spesso un cornetto accompagnato da un caffè o un cappuccino al mattino. Invece, di notte, l'accento è sulla freschezza e sull'occasione informale di godersi un pasto semplice ma appagante dopo una serata movimentata. Il cornetto piace così tanto per diversi motivi, innanzitutto perché è soffice, fragrante e leggermente burroso, con una leggera croccantezza esterna e una morbidezza interna che lo rendono irresistibile. A differenza del croissant francese, che ha una sfogliatura più sottile e burrosa, il cornetto all’italiana è meno grasso e spesso più dolce, offrendo un'esperienza gustativa equilibrata.
Si può apprezzare semplice, farcito o persino nella versione integrale, vegana o senza glutine. Questa varietà soddisfa una vasta gamma di preferenze e diete. Il cornetto richiama alla mente il concetto di comfort food. Il suo gusto dolce e la consistenza soffice danno una sensazione di appagamento e conforto. Sia che lo si mangi a colazione o a tarda notte, è una coccola per il palato. Mangiare un cornetto appena sfornato è un'esperienza difficile da replicare con altri dolci. L'aroma della pasta dolce che esce dal forno, la croccantezza e il calore del prodotto appena preparato contribuiscono al suo fascino. In molte pasticcerie e bar italiani, la qualità degli ingredienti è altissima, il che rende il cornetto un piacere semplice ma autentico.
La pasticceria Mansi a Salerno, situata in Via Antonio Amato 20/22, è famosa per i suoi cornetti artigianali, disponibili fino a notte fonda (ore 4 la chiusura). La pasticceria offre una vasta gamma di ripieni, tra cui limone, nocciola, caffè, caramello, cioccolato fondente e bianco, pistacchio, frutti di bosco, ricotta, crema pasticcera con amarene e altre prelibatezze, inclusi cornetti senza glutine. I cornetti sono fatti a mano e sempre freschi, perfetti per colazione o come spuntino serale.
Fondata nel 1987 da Giuseppe Mansi, l'azienda è rinomata anche per la tradizionale pastiera napoletana, grazie alla ricetta tramandata dalla moglie Anna. I figli, Antonio e Domenico, hanno contribuito all'espansione dell’attività: attualmente Giuseppe è al laboratorio e Domenico gestisce catering e customer care. Oltre ai cornetti, la pasticceria offre un'ampia varietà di prodotti da forno, tra cui brioche, zeppole di vari formati (perfino triangolare come un trancio di pizza), cornetto ischitano (doppio impasto morbido, pasta sfoglia unita alla brioche e pasta brioche), morbidoni (un mix tra brioche e un maritozzo), sfogliatelle, biscotti e pasticceria tradizionale campana, fra cui la pastiera (altro vanto del locale). La chiave del successo è l'uso di materie prime di qualità e la lavorazione artigianale, con ordinazioni su prenotazione per garantire freschezza.
“Credo che la differenza - afferma Domenico - stia nella cura per i dettagli e nella ricerca di ingredienti di alta qualità. Mio padre per l’impasto utilizza burro francese o proveniente da selezionate aziende del territorio, che dona una consistenza perfetta, e gli piace utilizzare farine diverse, come quella integrale o più grezza, per chi cerca qualcosa di più leggero o nutriente. Poi, ovviamente, le farciture sono il mio punto forte: oltre ai classici, mi piace sperimentare con combinazioni inusuali, anche limited edition.
Abbiamo lanciato da poco la linea "Black Season", poiché il cioccolato è negli impasti ma anche nelle creme, tutte da provare con note aromatiche che possono variare dal fruttato al floreale, con sfumature di spezie, tabacco o persino frutta secca, a seconda della varietà di cacao che scegliamo. All’inizio, molti sono curiosi ma anche un po’ scettici. Tuttavia, una volta che provano le combinazioni, anche dolci-salate, restano piacevolmente sorpresi. La chiave è far sì che le farciture non siano troppo invadenti: devono accompagnare il gusto del cornetto, non sovrastarlo. I clienti apprezzano la qualità e l’equilibrio dei sapori, il prodotto arriva sempre caldo tra le loro mani".
Il cornetto della pasticceria Mansi non è solo un dolce, ma un vero e proprio simbolo di qualità artigianale. Ogni morso racchiude anni di esperienza, cura per la scelta degli ingredienti e innovazione continua, mantenendo sempre viva l'essenza dei sapori genuini. Che sia per una colazione lenta e ricca di gusto o per una dolce tentazione notturna, i cornetti della pasticceria Mansi riescono a conquistare ogni palato, grazie alla varietà delle farciture e alla freschezza inimitabile. In un mondo sempre più frenetico, Mansi rappresenta una certezza per chi cerca un momento di dolcezza autentica, rispettando al tempo stesso l'antica arte della pasticceria.
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Annamaria Parlato 31/08/2024
Il farro da millenni è ampiamente coltivato anche nel salernitano
Il farro, uno dei più antichi cereali noti nella storia, è un frumento resistente della famiglia delle Graminacee che cresce su terreni poveri, anche con clima rigido, a differenza di altri cereali più delicati. Era ampiamente coltivato dagli antichi Egizi e dai Sumeri. È stato un alimento base per queste civiltà, utilizzato per fare pane, zuppe e porridge. In Egitto, era anche utilizzato per produrre una birra primitiva.
Molto apprezzato anche dai Romani, che lo chiamavano "far". Da questo nome deriva la parola "farina". Era considerato il cereale dei legionari, usato per preparare il pane e una sorta di polenta, chiamata "puls". Il farro era così importante nella cultura romana che il termine "farreum", riferito al pane di farro, è legato al matrimonio, con il rito del confarreatio, una cerimonia nuziale in cui i futuri sposi condividevano un pane di farro. Con il passare del tempo, la coltivazione del farro ha subito un declino, soprattutto con l'avvento di altri tipi di grano che erano più facili da lavorare e più produttivi, come il grano tenero e il grano duro.
Questo declino è stato particolarmente evidente durante l'epoca medievale, quando il farro è stato progressivamente sostituito in molte aree europee. Negli ultimi decenni, il farro ha conosciuto una rinascita, grazie all'interesse crescente per i cibi antichi e naturali. È apprezzato per il suo sapore, la sua consistenza e le sue proprietà nutrizionali, essendo ricco di fibre, proteine e minerali. La farina di farro è il prodotto ottenuto dalla macinazione delle cariossidi di Triticum spelta (farro maggiore), Triticum dicoccum (farro propriamente detto o farro medio) o Triticum monococcum (piccolo farro).
Il farro è più tardivo del frumento e la raccolta si effettua mediamente dalla metà di luglio ad agosto, utilizzando le normali mietitrebbie, opportunamente regolate (riduzione della velocità di avanzamento della macchina e di rotazione dell'aspo), soprattutto per far fronte all’elevata fragilità del rachide. Di solito si esegue a maturazione piena della granella, quando il suo contenuto di umidità è inferiore al 13%. Le produzioni sono molto variabili; la granella, di elevato valore alimentare, può essere impiegata nell'alimentazione zootecnica. Oggi viene impiegata quasi esclusivamente nell'alimentazione umana; nel caso della spelta, può essere utilizzata anche nella panificazione.
La coltivazione del farro è un processo che richiede attenzione e conoscenza delle sue specifiche esigenze agronomiche. Questo cereale antico è noto per la sua capacità di crescere in condizioni difficili, rendendolo una scelta popolare in regioni montuose e in aree con suoli meno fertili.
Caratteristiche della Coltivazione
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Resistenza e adattabilità: il farro è particolarmente resistente alle condizioni climatiche avverse, come freddo intenso e siccità. Questa capacità di adattamento lo rende ideale per la coltivazione in zone collinari e montane, dove altri cereali potrebbero non prosperare.
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Suolo e clima: il farro preferisce suoli ben drenati e non particolarmente fertili. Cresce bene in terreni poveri, dove l'uso di fertilizzanti è minimo. Il clima ideale per il farro è temperato, con inverni freddi e estati moderate. Tuttavia, può resistere anche a climi più rigidi.
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Semina: il farro viene seminato generalmente in autunno (settembre-ottobre) nelle regioni con inverni freddi, oppure in primavera nelle aree con climi più miti. La semina può essere fatta sia manualmente che con l'uso di seminatrici meccaniche.
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Ciclo di crescita: dopo la semina, il farro ha un ciclo di crescita piuttosto lungo, che può durare fino a 9 mesi. Durante l'inverno, la pianta rimane in uno stato di riposo vegetativo, per riprendere la crescita con l'arrivo della primavera.
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Raccolta: Avviene generalmente tra luglio e agosto, quando le spighe sono ben mature e il contenuto di umidità del grano è basso. Il farro viene raccolto utilizzando mietitrebbiatrici, ma può anche essere raccolto manualmente nelle piccole coltivazioni.
Tipologie di Farro e differenze nella coltivazione
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Farro piccolo (Triticum monococcum): è il più rustico e antico. Viene coltivato in piccole aree, spesso in agricoltura biologica o in condizioni di basso impatto ambientale.
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Farro medio (Triticum dicoccum): è la varietà più diffusa in Italia, soprattutto in Umbria e Toscana. Richiede meno trattamenti rispetto ad altri cereali, rendendolo una scelta ecologica e sostenibile.
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Farro grande (Triticum spelta): è più coltivato nel Nord Europa. Richiede un terreno più fertile e un clima più umido rispetto alle altre varietà.
Benefici della coltivazione del farro
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Sostenibilità: il farro è una coltura sostenibile, richiedendo meno acqua e fertilizzanti rispetto ad altri cereali. Inoltre, è meno suscettibile a malattie e parassiti, riducendo così la necessità di pesticidi.
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Biodiversità: la coltivazione del farro contribuisce alla conservazione della biodiversità agricola, mantenendo viva una specie che altrimenti rischierebbe di essere soppiantata da colture più produttive ma meno resilienti.
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Valore cconomico: il farro, specialmente nelle sue varietà biologiche o locali, può raggiungere prezzi più alti sul mercato, offrendo un valore aggiunto agli agricoltori che scelgono di coltivarlo.
Questo cereale si presta a molte ricette estive, può essere piatto unico se abbinato a verdure grigliate, a crostacei, a frutta e verdura come pesche e rucola. Per un'insalata mediterranea di farro, cuocerlo in acqua salata, poi scolarlo e lasciarlo raffreddare. Tagliare i pomodorini a metà, il cetriolo a fette, il peperone a cubetti e il primosale a pezzetti (può essere sostituito anche con scaglie di ricotta salata). Unire tutte le verdure e il primosale al farro raffreddato. Aggiungere le olive nere e il basilico fresco tritato. Condire con olio d'oliva, sale e pepe. Mescolare bene e servire freddo.
Annamaria Parlato 25/02/2023
La cannabis che si mangia e non si fuma: un superfood che spopola
La canapa (Cannabis sativa) appartenente alla famiglia delle Cannabinacee è molto vicina a quelle delle Urticacee. E’ una pianta erbacea a fusto eretto, alto circa due metri, semplice o un po' ramificato nella parte superiore. La canapa possiede foglie opposte, picciolate, palmate, costituite da 5-9 foglioline lanceolate-acute, a margini seghettati, ruvide come il fusto. I fiori sono piccoli, incospicui, di due sessi (staminiferi e pistilliferi) su piante separate: i primi costituiscono delle rade pannocchie terminali, quelli femminili sono avvolti ognuno da una brattea.
I frutti, che in fondo si ravvisano negli stessi semi, sono piccoli acheni globosi, grigio-olivastri. Questi ultimi sono utilizzati per l’estrazione di un olio alimentare e combustibile e servono anche come mangime. Dai fusti della canapa, previa macerazione e battitura, si ricavano fibre tessili che vengono impiegate per la fabbricazione di funi, stuoie e tessuti molto resistenti.
La canapa è originaria dell’Asia centrale ed è nota la sua coltivazione in Cina sin dall’antichità. I Paesi che ne producono di più sono Russia e Cina, ma anche India, Paesi dell’Est Europa, Turchia, Spagna e Italia, con Emilia Romagna e Campania come maggiori fornitori anche nei secoli addietro, a partire da Settecento. Dal XIV secolo in poi, il suo uso in cucina è attestato da diverse memorie, a partire dai “Tortelli con fiori di canapaccia, ripieni di canapa, carne di maiale e fine spezie” e soprattutto durante il Rinascimento, quando Johannes Bockenheim, cuoco di papa Martino V, autore del manoscritto latino Registrum coquine (1430 circa), descrive la Minestra di canapuccia, buona per i malati.
L’uso alimentare della canapa in passato era molto diffuso in Italia, ma con il tempo si era perduto. Nel maggio 2009, invece, il Ministero della Salute ha riconosciuto in una circolare l’uso alimentare dei semi di canapa sativa e derivati, privi di Thc. La canapa sta conoscendo un'applicazione sempre maggiore in cucina, attraverso l'olio, che, spremuto a freddo, ha un delicato sapore di nocciole e una percentuale molto alta di acidi grassi essenziali, o la farina ottenuta dai semi di canapa. Si conosce appunto la canapa per i suoi effetti psicotropi e per le cronache in cui si trova spesso al centro.
Se trattata adeguatamente, però, questa pianta non solo è priva di pericoli, ma anche ricca di benefici. Il contenuto psicotropo (Thc) della grande maggioranza di queste piante è quasi sempre nullo, per questo si adatta bene alla gastronomia. Secondo la Legge 242/16, la norma che disciplina in Italia la canapa leggera, il livello Thc deve necessariamente risultare inferiore alla percentuale dello 0,2 o comunque non deve andare oltre lo 0,6%. In questo modo, la cannabis riesce a essere nelle migliori condizioni per essere commercializzata, senza provocare danni sulla salute.
L’altro elemento che si trova all’interno della pianta, in percentuali anche importanti, è il Cbd o cannabinolo, che non presenta effetti psicotropi. La canapa light prevede la commercializzazione e il trattamento di un’unica varietà: quella sativa. Gluten free e quindi adatta a celiaci, la canapa si può anche trovare nella pasta, nella pizza, nel casatiello, nella birra artigianale e persino nei gelati, trovando anche largo consenso nel mondo vegano.
La coltura della canapa in Campania oggi è favorita dai bandi d’investimento regionali e dalla loro premialità. Ecologicamente sostenibile e molto resistente, la coltivazione non richiede l’utilizzo di erbicidi o pesticidi. La canapa è una preziosa fonte di vitamine, ossidanti, carboidrati, fibre, minerali, proteine, calcio e potassio; ormai molti chef e pizzaioli nella provincia di Salerno la impiegano per creare specialità gastronomiche, invitanti ed interessanti, con un retrogusto piacevole che sa di farine integrali, lasciate se vogliamo ancora grezze, come natura vuole.
Annamaria Parlato 29/03/2023
Ciraudo e la pizza con borragine: a Baronissi... Diè Gustibus non est disputandum
Incredibile, che emozione trovare la borragine in una pizzeria e sulla pizza! Sì proprio lei, la pianta tanto apprezzata dalla Scuola Medica Salernitana, rimedio contro la malinconia e la tristezza. Il medico naturalista toscano Giovani Targioni (1764) la definì pianta alimurgica, termine che deriva da “alimurgia” (Alimenta urgentia = nutrimento in caso di necessità), utilizzato per la prima volta per specificare “il modo di rendere meno gravi le carestie, proposto per il sollievo dé popoli”.
Nel “Livre des simples médecines” del XV-XVI secolo, conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi, si consigliava di mangiare borragine contro l'itterizia, ma cotta con della carne per poi berne il succo con altro succo di scarola. Ancora, a chi soffriva di malattie di cuore o umori melanconici, bisognava farla mangiare assieme a della carne o ad altro alimento cotto con grasso, o anche cruda. Insomma, dai manoscritti si evince che se abbinata alla carne aveva un maggior effetto terapeutico.
Il maestro pizzaiolo Diego Ciraudo nel XXI secolo cosa ha fatto? Ha ideato una pizza su impasto di crusca tostata con lonzardo di suino nero casertano, crostini di pane della casa, fior di latte di vacca Jersey, borragine spadellata e olio evo (la Pizza Reggia). Un genio, un nuovo dottore della “Scuola Medica della Valle dell’Irno”. Proprio in questo territorio, precisamente a Baronissi, e in piena pandemia da Covid, Diego nel 2021 inaugura il suo locale, il sogno di una vita dopo aver fatto sacrifici e rincorso un mestiere che si può dire è nato un po' per gioco, dato che le sue aspirazioni sarebbero state tutt’altre.
Così, dopo aver frequentato corsi specifici per diventare pizzaiolo, e aver partecipato a competizioni di settore (Trofeo Caputo), fiere (Sigep) e importanti eventi (Sanremo Village), sente trasporto e passione per l’arte bianca e non si lascia sfuggire le varie occasioni che si presentano sul suo cammino. Dopo Varsavia, Parigi, New York e Vienna, il battipagliese Diego, forte delle varie esperienze all’estero, rientra in Italia senza più ripartire. Getta l'ancora a Baronissi e, assieme a Domenica Pagnozzi, rende vivo e originale il suo progetto, sfornando pizze contemporanee dal cornicione abbastanza pronunciato, che affondano le radici nella tradizione partenopea ma che si arricchiscono dei migliori prodotti salernitani, fondendo qualità, estro e semplicità.
La colorata pizzeria è piccola ma accogliente, il menù contiene circa una quindicina di pizze selezionate, insalate, taglieri di salumi e formaggi territoriali di elevatissimo pregio, fritti classici e innovativi, calzoni, saltimbocca e pizza fritta con ripieno completo (cicoli, ricotta, pepe, salame, pomodoro e fiordilatte). Qui la gente viene per assaggiare le famose patatine fritte, irregolarmente tranciate a mano e servite in un sacchetto di carta con varie salsine artigianali in cui intingerle; le frittatine di pasta, a dir poco irresistibili; e ovviamente le pizze, soprattutto le special, il pezzo da novanta di Diego, quelle in cui mette anima e testa.
E i dolci? Ma sì, parliamone: il tiramisù è spettacolare e poi c’è "Diè Namite", un calzoncello fritto e zuccherato esternamente, ripieno di fiordilatte e crema al pistacchio o nocciola. Mio Dio, ma come si fa? Però non bisogna tralasciare un’altra circostanza importantissima: la selezione di birre artigianali, molte del territorio Valle dell’Irno, come le ultime arrivate dal birrificio "I Sanseverino" di Mercato San Severino, fra le quali Principessa Costanza e Troisio che si abbinano ottimamente con le pizze in carta.
Prima di lasciarci, ricordiamo che Diego ha dedicato due anni fa anche una pizza al famoso artista americano Jackson Pollock, uno dei massimi rappresentanti dell’action painting, farcita con insalatina mista, salmone marinato, fettine di mela annurca e dressing ai lamponi. Diego continua a stupirci, il cibo è arte e l’arte è cibo per la mente, non lo dimenticare mai.