Il farro da millenni è ampiamente coltivato anche nel salernitano

Consigli per utilizzarlo in cucina, soprattutto in una sfiziosa insalata mediterranea

Annamaria Parlato 31/08/2024 0

Il farro, uno dei più antichi cereali noti nella storia, è un frumento resistente della famiglia delle Graminacee che cresce su terreni poveri, anche con clima rigido, a differenza di altri cereali più delicati. Era ampiamente coltivato dagli antichi Egizi e dai Sumeri. È stato un alimento base per queste civiltà, utilizzato per fare pane, zuppe e porridge. In Egitto, era anche utilizzato per produrre una birra primitiva.

Molto apprezzato anche dai Romani, che lo chiamavano "far". Da questo nome deriva la parola "farina". Era considerato il cereale dei legionari, usato per preparare il pane e una sorta di polenta, chiamata "puls". Il farro era così importante nella cultura romana che il termine "farreum", riferito al pane di farro, è legato al matrimonio, con il rito del confarreatio, una cerimonia nuziale in cui i futuri sposi condividevano un pane di farro. Con il passare del tempo, la coltivazione del farro ha subito un declino, soprattutto con l'avvento di altri tipi di grano che erano più facili da lavorare e più produttivi, come il grano tenero e il grano duro.

Questo declino è stato particolarmente evidente durante l'epoca medievale, quando il farro è stato progressivamente sostituito in molte aree europee. Negli ultimi decenni, il farro ha conosciuto una rinascita, grazie all'interesse crescente per i cibi antichi e naturali. È apprezzato per il suo sapore, la sua consistenza e le sue proprietà nutrizionali, essendo ricco di fibre, proteine e minerali. La farina di farro è il prodotto ottenuto dalla macinazione delle cariossidi di Triticum spelta (farro maggiore), Triticum dicoccum (farro propriamente detto o farro medio) o Triticum monococcum (piccolo farro).

Il farro è più tardivo del frumento e la raccolta si effettua mediamente dalla metà di luglio ad agosto, utilizzando le normali mietitrebbie, opportunamente regolate (riduzione della velocità di avanzamento della macchina e di rotazione dell'aspo), soprattutto per far fronte all’elevata fragilità del rachide. Di solito si esegue a maturazione piena della granella, quando il suo contenuto di umidità è inferiore al 13%. Le produzioni sono molto variabili; la granella, di elevato valore alimentare, può essere impiegata nell'alimentazione zootecnica. Oggi viene impiegata quasi esclusivamente nell'alimentazione umana; nel caso della spelta, può essere utilizzata anche nella panificazione.

La coltivazione del farro è un processo che richiede attenzione e conoscenza delle sue specifiche esigenze agronomiche. Questo cereale antico è noto per la sua capacità di crescere in condizioni difficili, rendendolo una scelta popolare in regioni montuose e in aree con suoli meno fertili.

Caratteristiche della Coltivazione

  • Resistenza e adattabilità: il farro è particolarmente resistente alle condizioni climatiche avverse, come freddo intenso e siccità. Questa capacità di adattamento lo rende ideale per la coltivazione in zone collinari e montane, dove altri cereali potrebbero non prosperare.

  • Suolo e clima: il farro preferisce suoli ben drenati e non particolarmente fertili. Cresce bene in terreni poveri, dove l'uso di fertilizzanti è minimo. Il clima ideale per il farro è temperato, con inverni freddi e estati moderate. Tuttavia, può resistere anche a climi più rigidi.

  • Semina: il farro viene seminato generalmente in autunno (settembre-ottobre) nelle regioni con inverni freddi, oppure in primavera nelle aree con climi più miti. La semina può essere fatta sia manualmente che con l'uso di seminatrici meccaniche.

  • Ciclo di crescita: dopo la semina, il farro ha un ciclo di crescita piuttosto lungo, che può durare fino a 9 mesi. Durante l'inverno, la pianta rimane in uno stato di riposo vegetativo, per riprendere la crescita con l'arrivo della primavera.

  • Raccolta: Avviene generalmente tra luglio e agosto, quando le spighe sono ben mature e il contenuto di umidità del grano è basso. Il farro viene raccolto utilizzando mietitrebbiatrici, ma può anche essere raccolto manualmente nelle piccole coltivazioni.

Tipologie di Farro e differenze nella coltivazione

  • Farro piccolo (Triticum monococcum): è il più rustico e antico. Viene coltivato in piccole aree, spesso in agricoltura biologica o in condizioni di basso impatto ambientale.

  • Farro medio (Triticum dicoccum): è la varietà più diffusa in Italia, soprattutto in Umbria e Toscana. Richiede meno trattamenti rispetto ad altri cereali, rendendolo una scelta ecologica e sostenibile.

  • Farro grande (Triticum spelta): è più coltivato nel Nord Europa. Richiede un terreno più fertile e un clima più umido rispetto alle altre varietà.

Benefici della coltivazione del farro

  • Sostenibilità: il farro è una coltura sostenibile, richiedendo meno acqua e fertilizzanti rispetto ad altri cereali. Inoltre, è meno suscettibile a malattie e parassiti, riducendo così la necessità di pesticidi.

  • Biodiversità: la coltivazione del farro contribuisce alla conservazione della biodiversità agricola, mantenendo viva una specie che altrimenti rischierebbe di essere soppiantata da colture più produttive ma meno resilienti.

  • Valore cconomico: il farro, specialmente nelle sue varietà biologiche o locali, può raggiungere prezzi più alti sul mercato, offrendo un valore aggiunto agli agricoltori che scelgono di coltivarlo.

Questo cereale si presta a molte ricette estive, può essere piatto unico se abbinato a verdure grigliate, a crostacei, a frutta e verdura come pesche e rucola. Per un'insalata mediterranea di farro, cuocerlo in acqua salata, poi scolarlo e lasciarlo raffreddare. Tagliare i pomodorini a metà, il cetriolo a fette, il peperone a cubetti e il primosale a pezzetti (può essere sostituito anche con scaglie di ricotta salata). Unire tutte le verdure e il primosale al farro raffreddato. Aggiungere le olive nere e il basilico fresco tritato. Condire con olio d'oliva, sale e pepe. Mescolare bene e servire freddo.

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Annamaria Parlato 30/07/2020

Fresca come l’estate, salutare e depurativa: è la percoca "Giallona" di Siano

Questo è il periodo di massima maturazione della percoca “Giallona” di Siano, tra la fine di luglio e le prime settimane di agosto. Un matrimonio perfetto con il Piedirosso per rinfrescare e togliere la sete nelle calde giornate estive, soprattutto quando nei campi il lavoro era estenuante. Ogni famiglia sianese attende il momento della raccolta delle percoche, l’oro giallo del bel comune dell’Irno, che lentamente rischiano l’estinzione ma che dal secolo scorso hanno avuto un’enorme importanza per l’economia agricola locale.

Infatti, una sagra che ogni anno si tiene ad agosto, incentrata sulla braciola di capra, altro piatto tipico, serve proprio a preservare le tradizioni di questo frutto e a tutelarlo. La Campania ha ottenuto il riconoscimento ministeriale PAT, Prodotto Agroalimentare Tradizionale, ma le percoche vengono coltivate anche in molte altre regioni italiane, in modo particolare in Calabria, Puglia, Basilicata e Emilia Romagna. Esistono diverse varietà tra cui la percoca di Turi (provincia di Bari), la Romagnola e per le campane la Terzarola, la Puteolana e quella col Pizzo.

La Giallona presenta una buccia gialla e sovracolore rosa, una forma rotonda, media pezzatura, polpa di colore giallo intenso, compatta e croccante e dall’ottimo sapore. A differenza della pesca tradizionale, la polpa è molto aderente al seme, quando la si taglia è difficile staccarla. Ricca di sali minerali e vitamine, povera di calorie, è rinfrescante e dissetante, ha proprietà depurative e diuretiche.

La percoca ha tantissimi impieghi in cucina: è perfetta sciroppata e nella preparazione di gelati, sorbetti, budini, torte, crostate, confetture e talvolta anche in accostamenti più gourmet con i piatti salati e di mare. Si suggerisce la ricetta della crostata alle Percoca Giallona di Siano che accontenta i gusti di tutti, un simpatico dessert territoriale che rende piacevole gli incontri conviviali estivi.

Ingredienti per 4-6 persone: 400 gr farina, 200 gr zucchero, 220 gr burro, 4 tuorli, scorza grattugiata di 1 limone, sale qb, 1 vasetto di confettura di percoche, 1 barattolo di percoche sciroppate da 400 grammi.

Preparazione: Disporre la farina a fontana sulla spianatoia; unire lo zucchero, il burro fuso, i tuorli, la scorza di limone e un pizzico di sale. Impastare gli ingredienti, lavorandoli energicamente per 10 minuti; formare un panetto di pasta e lasciar riposare con un panno per circa 30 minuti.

Trascorso il tempo stabilito, stendere la frolla sulla spianatoia infarinata, in uno strato alto 1 cm. Ritagliare un disco largo a sufficienza per ricoprire il fondo e le pareti di una teglia a cerniera; con gli avanzi preparare delle striscioline sottili come grissini.

Imburrare e infarinare leggermente la teglia e stendervi il disco, ripiegandone i bordi per formare intorno alla crostata un cordoncino da pizzicare con le dita. Versare sulla pasta la confettura e livellare la superficie con il dorso di un cucchiaio.

Scolare le percoche sciroppate dal loro liquido di conserva e affondarle nella confettura, con la parte bombata verso l’alto; con le striscioline di pasta formare un reticolato sulle percoche. Cuocere in forno caldo a 200 gradi per 40 minuti. Estrarre la teglia dal forno, sganciare la cerniera, lasciar scivolare il dolce su una gratella o su un piatto da portata e farlo raffreddare.

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Annamaria Parlato 27/08/2024

Fresco o essiccato, l'aglio è un alleato dei piatti e della salute

La patria dell’aglio era, probabilmente, l’Asia, e il suo uso è registrato fin dai tempi dei Sumeri, circa 5000 anni fa. Oggi lo si può coltivare quasi ovunque, anche se nei climi più freddi il suo gusto non è così penetrante. Il suo nome inglese, garlic, ha chiare origini anglosassoni, derivando dalle parole gar, un tipo di lancia di allora, e da leac, che significava porro. In Inghilterra veniva abbondantemente consumato, di solito crudo.

L’aglio fa parte di ogni tradizione gastronomica e dona un aroma caratteristico a qualsiasi portata; il suo sapore è molto forte, non a tutti piace. Possiede anche qualità terapeutiche, è antisettico e ha la capacità di curare in tempi brevi la stitichezza. E’ un valido diuretico ed espettorante, è un coadiuvante nel trattamento di bronchiti, catarro, ferite e malattie infettive.

La coltivazione dell’aglio (Allium sativum) avviene in un terreno fertile e ben drenato, situato in una posizione soleggiata e, possibilmente, calda. Gli spicchi che compongono il bulbo vanno piantati in ottobre o aprile. La maturazione verrà raggiunta verso luglio-agosto, quando le cime vegetative cominciano a cambiare colore e a piegarsi. Gli spicchi, dal punto di vista botanico, sono foglie che si sono evolute mutandosi in organi di immagazzinamento; alla base del bulbo si trovano le vere radici, fibrose e aggrovigliate. Le foglie sono lineari, appiattite, a punta, decorrenti dalla base o lungo lo stelo fiorito. I semi sono neri e i fiori in capolini tondi, misti a bulbilli, avvolti in una pellicola bianca cartacea, sono di colore bianco rosato e fioriscono in luglio e agosto.

In primavera è possibile consumare aglio fresco e non essiccato e in genere sono le varietà che si conservano con meno facilità, perché più delicate e precoci. Sono le varietà rosa: il Rosa Primaticcio, il Rosa napoletano, il Rosso di Sulmona e il Rosa di Agrigento. L'aglio bianco Garcua si presenta con un bulbo di dimensioni medie, dalla forma ovale e leggermente appiattita. La tunica esterna è bianca, liscia e brillante, mentre gli spicchi interni sono di un colore bianco puro, compatti e regolari. Il suo aroma è intenso e persistente, con note floreali e leggermente dolciastre. Il sapore è molto equilibrato.

Invece, l'aglio rosso tardivo campano si presenta con un bulbo di dimensioni medie, dalla forma ovale e leggermente appiattita. La tunica esterna è di un colore rosso intenso, quasi vinaccia, liscia e brillante. Gli spicchi interni sono di un colore bianco rosato, compatti e regolari. Il suo aroma è leggero, e Il sapore è deciso, ma equilibrato, con un retrogusto leggermente piccante. L’aglio da mangiare fresco va sbucciato con un coltellino e aggiunto crudo alle insalate: in questo modo manterrà integre le sue sostanze attive, aromatizzando con delicatezza. Il suo sapore, infatti, è meno piccante di quello dell’aglio secco, ma più ricco d’aroma.

Alle varietà più tradizionali e conosciute, da un po' di tempo anche in Italia se n’è aggiunta una nuova, ossia la varietà “nera”, coltivata anche in Campania, richiestissima e utilizzata dagli chef per arricchire piatti gourmet. Nato in Corea nel 2004, l’aglio nero si è presto diffuso in America ed Europa. A prima vista, lascia un po’ perplessi per colpa del colore particolare ma, in realtà, nasconde numerose proprietà benefiche per il nostro organismo. Si genera grazie alla fermentazione dei bulbi di aglio fresco a una determinata temperatura ed umidità. Questo processo, che dura 30 giorni, non prevede nessun tipo di trattamento con conservanti o additivi ed è il primo passaggio per la realizzazione dell’aglio nero.

La seconda fase, che dura ben 45 giorni, permette all’aglio di assumere lo stravagante colore nero. Tutto merito dell’ossidazione che, oltre a colorare gli spicchi, li ammorbidisce e toglie quel sapore pungente tipico dell’aglio tradizionale. Alla fine di queste fasi, quindi, si ha una versione meno “aggressiva” rispetto all’aglio tradizionale, ideale per chi non gradisce il sapore forte e pungente della controparte bianca. L’aglio nero lascia in bocca un gradevole retrogusto di liquirizia. Inoltre, non ha odore e ha un sapore molto più dolce rispetto all’aglio tradizionale.

Meno conosciuto è anche l’aglione, noto per il suo sapore delicato e dolce. A differenza dell'aglio comune, non è pungente e questo lo rende particolarmente apprezzato da chi desidera un aroma meno invasivo nei piatti. Si sposa perfettamente con il pomodoro e l'olio d'oliva, diventando protagonista indiscusso della cucina campana, dove viene utilizzato per preparare piatti tipici come la pasta con l'aglione, la pizza con l'aglione e l'insalata di pomodori con l'aglione.

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Annamaria Parlato 29/11/2022

"Sorbole", che bontà: frutto tipico del salernitano ormai raro e dimenticato

Un frutto che pochi ricordano sono le sorbe, piccoli portafortuna molto diffusi tra contadini e pastori, consumati durante il periodo invernale e natalizio. I frutti venivano in passato usati a scopo alimentare, ma oggi non vengono quasi più adoperati. Il sorbo, tipico della Macchia Mediterranea, con i suoi frutti è una pianta antichissima: le prime notizie risalgono al 400 a.C. in Grecia; i Romani lo fecero conoscere al resto dell’Europa.

Virgilio, nelle Georgiche (III, 380), narrando di popolazioni che vivevano nell’Europa dell’Est, a nord del Mar Nero, racconta che, dopo le cacce al cervo nella neve, si riunivano in grotte dove accendevano grandi fuochi e bevevano una miscela di orzo fermentato e acide sorbe. L’etimologia del latino sorbus è incerta: secondo alcuni deriverebbe dal verbo sorbeo, ossia bere, assorbire, in quanto i frutti del sorbo arrestano i flussi dell’intestino. Dioscoride e Galeno erano concordi su quest’uso terapeutico.

Tuttavia, pare assai più verosimile un’etimologia indoeuropea, da sor-bho cioè rosso, corrispondente al colore dei frutti. Con il termine sorbo si indicano alcune specie vegetali appartenenti alle Rosacee (Dicotiledoni), che si presentano come piccoli alberelli o grossi cespugli. Producono fiori regolari, a cinque petali liberi, generalmente biancastri, e maturano piccoli frutti globosi o oblunghi, giallastri o rossi.

Molto noto nella regione mediterranea è il Sorbo domestico (Sorbus domestica o Pirus domestica), già conosciuto nei secoli passati, con foglie imparipennate e foglioline seghettate al margine. Esso produce frutti, le sorbe, che sono raggruppati e penduli; ora essi assomigliano a piccole pere, ora a minuscole mele di color giallo-verdastro, e vengono raccolti ancora acerbi in autunno, per essere conservati sulla paglia fino a completa maturazione, o meglio, all’ammezzimento.

In tali condizioni, la loro polpa brunastra assume un sapore acidulo e aromatico, gradevole. I pomi diventano scuri, morbidi e saporiti per una trasformazione enzimatica. Il frutto maturo ha un contenuto di zuccheri di circa il 20% e viene consumato al naturale o utilizzato per la preparazione di marmellate. I frutti del sorbo domestico erano più diffusi nei secoli passati; negli ultimi decenni, il consumo e la diffusione dei frutti sono andati via via in diminuzione.

Oggi sono considerati una rarità e vengono catalogati nei frutti dimenticati o frutti minori. Vi sono diverse varietà: la sorba agostina, o suovero agostegno, che matura in fine agosto; la sorba autunnale, o suovero a panella, di color giallo e rosso, molto grande, matura a settembre; la sorba capitana, che matura in dicembre; la sorba pera tortona che matura in inverno; la sorba varrecchiare matura da dicembre a febbraio; le sorbe antignane, dal colore rosso-verde, maturano in dicembre e si presentano in bei grappoli o schiocche.

Vi sono ancora le sorbe nataline e le pascarole, ma si deve considerare che in luoghi diversi la stessa varietà è chiamata con nomi differenti. Le sorbe capitane e le antignane sono le più pregiate in quanto a pezzatura e a sapore. “O mazzo o ‘a ceppa ‘e sovere” si tiene appeso sul terrazzino e si spizzicano i frutti squisiti, man mano che diventano maturi. Nelle leggende europee il sorbo è una pianta che protegge chi ne possiede un esemplare, scacciando in questo modo gli spiriti maligni. “Sorbole” (cioè sorbe) è anche una tipica esclamazione dialettale bolognese, che sta ad indicare stupore, meraviglia, sorpresa.

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