La rivoluzione semplice di Pignalosa, a Salerno la pizzeria "Le Parùle"

La tradizione vesuviana un terreno fertile per far prosperare la sua idea radicale di pizza

Redazione Irno24 30/04/2025 0

In attesa della rinnovata sede a Ercolano, Giuseppe Pignalosa raddoppia Le Parùle e il 1° Maggio apre a Salerno, al Porto Marina d’Arechi, una location privilegiata con il mare e le barche a fare da sfondo. Il maestro dell’impasto ha fatto della tradizione vesuviana un terreno fertile per far prosperare la sua idea radicale di pizza, come giardino mediterraneo: un paesaggio commestibile coltivato con passione.

Il nome Parùle – che in dialetto napoletano indica gli orti coltivati con pazienza e saper fare – è una dichiarazione d’intenti: qui ogni pizza nasce come un atto agricolo, popolare, condiviso. La stagionalità è il principio guida, l’impasto il cuore di una visione che ha fatto scuola e continua a insegnare. Le verdure sono la voce di uno stile di vita, non una decorazione, e provengono da un sistema reale, da un patto con i piccoli produttori, per amore della genuinità.

Nel 2019, l’apertura di Le Parùle a Ercolano viene premiata come miglior nuova apertura dell’anno agli Awards di Roma e conquista il 36° posto nella guida 50 Top Pizza; nel 2020, Gina Pizza raggiunge il 5° posto nella stessa guida; nel 2021, arrivano i Tre Spicchi del Gambero Rosso. A Venezia, durante il Festival del Cinema, Pignalosa riceve l’International Starlight Cinema Award per il suo impegno nell’educare alla buona tavola e nella promozione della biodiversità.

“Molti pizzaioli oggi puntano sul topping creativo o sul 'wow visivo'. Nella mia pizzeria, la pizza si spoglia per tornare nuda e potente - dice Pignalosa - Ho costruito un’identità forte sulla semplicità, con un impasto che si racconta da solo: lavorato con criterio scientifico e amore artigianale”.

Potrebbero interessarti anche...

Annamaria Parlato 22/07/2023

La storia millenaria del farro, recuperato anche nella provincia di Salerno

La storia del farro, uno dei cereali più antichi coltivati dall'uomo, ha origini millenarie e affonda le sue radici nell'antica Mesopotamia. E’ un cereale appartenente alla famiglia delle graminacee, conosciuto scientificamente come Triticum dicoccum, ma è anche chiamato farro medio o farro piccolo, a seconda delle varietà. Le prime tracce dell'uso del farro risalgono a circa 10.000 anni fa, quando iniziò ad essere coltivato nella regione nota come "culla della civiltà", situata tra i fiumi Tigri ed Eufrate, l'attuale Iraq.

Da lì, la sua coltivazione si diffuse gradualmente in diverse aree del Mediterraneo, compresi gli attuali territori dell'Egitto, Grecia, Turchia e Italia. Nelle civiltà antiche, il farro ebbe un ruolo di rilievo nella dieta e nell'economia. Era uno dei principali alimenti consumati dai Romani, insieme all'orzo e al grano. I Greci, poi, lo consideravano un dono degli Dei e lo utilizzavano in varie ricette culinarie. Veniva spesso preparato in zuppe o mescolato a miele e latticini, ed era considerato un alimento nutriente e facilmente digeribile.

Con il passare del tempo, la coltivazione del farro perse progressivamente terreno a favore del grano. Il motivo principale di questa riduzione è dovuto alla sua coltivazione più complessa rispetto ad altri cereali. Tuttavia, non è mai scomparso del tutto e, negli ultimi decenni, è stata riscoperta l'importanza di preservare le antiche varietà di farro per i loro benefici nutrizionali e la loro resistenza alle condizioni climatiche sfavorevoli.

Oggi, il farro è ancora coltivato in diverse regioni del mondo, specialmente in Italia (Toscana, Umbria, Marche, Emilia-Romagna) e in alcune aree del Medio Oriente. Da una decina d’anni circa, anche nel salernitano ne è stata recuperata la coltivazione nelle zone costiere e nelle aree interne a sud di Salerno. E’ una fonte di carboidrati complessi, proteine, fibre, vitamine e minerali. Contiene vitamine del gruppo B (come B3, B5 e B6), vitamina E e minerali come ferro, magnesio e zinco, ed è particolarmente ricco di fibre, sia solubili che insolubili.

Le fibre favoriscono il buon funzionamento del sistema digestivo, aiutano a mantenere stabile il livello di zuccheri nel sangue e contribuiscono a una maggiore sazietà. Rispetto ad altri cereali, il farro contiene una quantità più elevata di proteine, rendendolo un'ottima fonte di proteine vegetali per coloro che seguono diete vegetariane o vegane. Contiene glutine, quindi non è adatto per le persone affette da celiachia o intolleranza al glutine. Tuttavia, alcuni individui con sensibilità al glutine possono tollerare il farro, visto che la sua composizione di glutine è diversa da quella del grano moderno. Ha un indice glicemico più basso rispetto a molte altre fonti di carboidrati, il che significa che il suo consumo non causa picchi significativi di zuccheri nel sangue.

Il farro ha un sapore leggermente nocciolato e una consistenza piuttosto masticabile, che lo rende ideale per insalate, minestre, stufati e piatti a base di cereali. Può essere utilizzato in numerose ricette, sia dolci che salate. È spesso usato in zuppe, risotti, polpette e la sua farina persino nella pasta o in prodotti da forno come pane, biscotti e pizza. Consumare farro può apportare benefici alla salute, tra cui un miglior controllo del peso, una migliore regolazione dell'appetito, un supporto alla salute del cuore e una maggiore protezione contro alcune malattie croniche.

Un’idea per un primo piatto salutare, utilizzando la farina di farro, potrebbe essere quella degli “Gnocchi di farro all’acqua con pesto di basilico, noci e pistacchi”. Ingredienti per quattro persone: 400 gr di farina di farro bio, 400 ml di acqua, un pizzico di sale, farina di semola q.b., pesto fatto in casa. Preparazione: Mettere il quantitativo di acqua in una pentola sul fuoco e portare a bollore aggiungendo il pizzico di sale. Una volta raggiunta la temperatura, togliere il tegame dal fuoco e versarvi la farina di farro, mescolando energicamente con un cucchiaio di legno per evitare i grumi. La farina assorbirà tutta l’acqua e l’impasto diverrà compatto.

Versare il tutto su una spianatoia e, ancora caldo, lavorarlo aggiungendo un pò di semola. Ottenuto un panetto, porzionarlo e ricavare dei cordoncini di media grandezza. Gli gnocchi potranno avere la grandezza che si desidera. Dai cilindretti tagliare della stessa dimensione gli gnocchi, rigandoli su una forchetta o lasciandoli lisci secondo i gusti. Cuocerli in acqua salata e scolarli quando saliranno a galla. Condirli con il pesto artigianale, composto da olio extravergine d’oliva, aglio, noci, pistacchi, basilico, pecorino e parmigiano. Servirli cospargendo con altro formaggio grattugiato e un filo d’olio a crudo.

Leggi tutto

Annamaria Parlato 29/11/2020

Addolcirsi il Natale in periodo di lockdown al Gran Caffè Romano di Solofra

Nella centralissima Piazza Umberto I di Solofra (AV) è difficile restare indifferenti dinnanzi al Gran Caffè Romano. Gli ampi ed eleganti locali, con il loro ricco e accogliente servizio bar, costituiscono da sempre un luogo di incontro e riferimento. Si, perché oltre alla piacevolezza e all’eleganza di questa incantevole pasticceria, i fratelli Raffaele e Gianfranco, dal lontano 1950, rappresentano la terza generazione di maestri pasticcieri dopo il papà e il nonno.

Il Gran Caffè Romano non è solo pasticceria ma è un angolo del gusto dove poter assaporare anche i salati, magnifici cocktail (Gianfranco è anche bartender), i gelati e tutti i prodotti riservati alla caffetteria. Tradizione e innovazione si intrecciano ogni giorno, quando ricette tramandate negli anni vengono magistralmente interpretate per sperimentare sempre nuovi sapori e arditi abbinamenti.

Qui inoltre si confezionano anche distillati, liquori (fra cui il famoso “Nocino”) e una serie di confetture e creme (fondente, gianduia, bianca e al pistacchio). L’Irpinia, si sa, è famosa per i torroni e nelle zone confinanti con Puglia e Basilicata in periodo natalizio il dolce più famoso è la cartellata o crespella. Solofra invece risente delle usanze più salernitane e non ha un vero e proprio dolce tipico. Sicuramente i tarallini dolci di Pasqua (‘nginetti) e lo spumone di San Pasquale sono quelli più consumati dai solofrani.

Proprio per questo motivo anche i fratelli Romano hanno continuato la tradizione ma si sono specializzati poi in un settore ben specifico: quello dei lievitati. Non sono mancate negli anni le soddisfazioni e tanti premi di settore, come quello per il panettone “Pantheon” nel settembre 2018 quando, nell’ambito del Panettone Day, è stato proclamato da una giuria di esperti miglior panettone tradizionale 2018. Inoltre è stato proclamato come miglior panettone del mondo al campionato mondiale dedicato, sia nel 2019 che nel 2020.

Nel 2020 il panettone “Pantheon fichi e rhum” ha vinto la medaglia d'oro come miglior panettone creativo al campionato mondiale Miglior Panettone 2020, e il panettone “Pantheon Malaga” ha vinto la medaglia di bronzo al campionato mondiale Miglior Panettone 2019. La colomba artigianale Venus è stata premiata con la medaglia di bronzo durante la manifestazione “Miglior Dolce d’Italia FIPGC 2019” e la Federazione Internazionale Pasticceria-Gelateria-Cioccolateria gli ha assegnato la Frusta d’Argento, premio che viene conferito ai pasticcieri che, nei sistemi di produzione, seguono rigidi protocolli per il rispetto delle regole igieniche, dei principi dell’antica pasticceria, dei dogmi della tradizione culinaria.

Come state vivendo e affrontando questa “zona rossa” e come si prospetterà il Natale al Gran Caffè Romano?

"Quest'anno sarà un Natale più sobrio, in cui regnerà incertezza ma anche speranza per un 2021 più sereno. Io e mio fratello Gianfranco faremo il possibile per addolcire le feste dei nostri clienti, portando nelle loro case una proposta gastronomica nel segno della tradizione. Nonostante la crisi, che sentiamo, non vogliamo far mancare il calore dei classici del Natale e per questo abbiamo deciso che non faremo tagli alla produzione, ma proseguiremo nel solco di una storia che dura da 70 anni e ha attraversato mille difficoltà. Non sarà il Coronavirus a fermarci.

Crediamo che queste due settimane di stop siano giustissime per poter poi affrontare il mese di dicembre con uno spirito più tranquillo, ma sempre nel rispetto delle regole. Forse l'unica critica che ci sentiamo di fare al Governo è la poca chiarezza: non si può annunciare la zona rossa il giorno prima, così come non ci possono tenere sempre sulle 'spine'. Dietro una pasticceria ci sono tanti posti di lavoro da salvare, famiglie, passioni e sacrifici.

Credo che anche se il Governo non ci considera indispensabili, un minimo di rispetto lo meritiamo. Per il resto è giusto dare priorità alla salute, la gente muore, il virus è subdolo e minaccioso e se lo Stato ci chiede ancora sacrifici li faremo, ma chiediamo rispetto, chiarezza, verità e soprattutto la tutela dei nostri dipendenti per quanto concerne la cassa integrazione. Sulla produzione noi continueremo a fare la nostra parte.

Quali sono i dolci del Natale per voi di cui non fareste mai a meno?

Il nostro lavoro, o meglio la nostra passione è regalare emozioni attraverso l'arte dolciaria. Ha iniziato mio nonno che faceva il pasticciere già negli USA, ha proseguito mio padre e oggi con grande umiltà proviamo a farlo io e mio fratello Gianfranco. Per noi non è Natale senza i mostaccioli imbottiti di marmellata di cotogne, canditi e spezie come recita l'antica ricetta di famiglia o il Regina Coeli di nostra invenzione.

Solofra è conosciuta nel mondo per le concerie, ma vanta una ricca vegetazione: castagne, mele cotogne, nocciole, alberi di Amarene. Sono tutti ingredienti che ritornano nei nostri dolci. Sicuramente per i dolci natalizi risentiamo della tradizione del Regno delle Due Sicilie e con tanto orgoglio ci piace preservarla e tutelarla magari con qualche tocco di innovazione.

Quali sono i dolci più venduti?

Tra i cavalli di battaglia la nostra pastiera, gli struffoli, i roccocò, il divino amore, il tronchetto di castagne e la cassata siciliana. Ma la vera punta di diamante è la linea dedicata ai lievitati. Da quando abbiamo vinto nel 2018 il “Migliore Panettone d'Italia” al Panettone Day di Milano arrivano richieste da tutta la nazione e poiché non ci piace restare con le mani in mano abbiamo ideato una vasta gamma di panettoni.

Ritornando al Natale, quali novità ci farete assaggiare?

Tra gli ultimi voglio citare il nostro omaggio alla donna, il panettone al cioccolato rosa in superficie (fave di cacao naturali che assumono questa particolare colorazione) ripieno di frutti di bosco e una leggera nota di pepe verde per stemperare la dolcezza. Lo abbiamo dedicato a tutte quelle donne guerriere che tenacemente riescono a conciliare gli impegni familiari e professionali, e con il loro entusiasmo, determinazione e coraggio danno forza a chiunque gli stia intorno. Con Ruby abbiamo vinto il terzo gradino del podio al Panettone Day 2020.

Tra le novità c'è anche Fichi del Cilento, rum e cioccolato che invece ha vinto la medaglia d'oro nei campionati del mondo della Fipe. Oltre a questi poi abbiamo il nostro Panettone al Pistacchio, mela e cannella, albicocche del Vesuvio e pasta di mandorla, e poi il più amato dai bambini: il pandoro. Ad accomunarli il lievito madre di pasta viva. Per noi un Panettone non è un semplice dolce, racchiude una saggezza ancestrale, viva come il lievito che ne è la madre".

Da qui la domanda: “Scusate, per la felicità? Guardi, prenda la prima traversa a sinistra e dopo subito a destra, a 100 metri, c’è il Gran Caffè Romano!”. D’altronde, senza pandoro o panettone che Natale sarebbe?

Leggi tutto

Annamaria Parlato 22/01/2023

Vlad Dracula "strega" l'Augusteo di Salerno, la nostra rilettura "gastronomica"

Nonostante le condizioni meteo avverse con grandine, pioggia, vento e gelo, sala gremita al teatro Augusteo di Salerno, e di giovani che finalmente ritornano al teatro, riappropriandosi del suo fascino. Il musical Vlad Dracula, diretto dal salernitano Ario Avecone, lo scorso 6 gennaio si presentò alla città attraverso un singolare flash mob tra le strade del centro, in preda alla folla delle Luci d’Artista, inscenando un corteo di giovani donne in abiti da sposa illuminate dalla luce fioca delle candele (le spose di Dracula) e suscitando enorme curiosità tra i passanti.

Venerdì 20 gennaio, alle ore 21:00, la prima delle tre serate ha registrato il tutto esaurito nelle vendita dei biglietti, a riprova che il genere noir o gotico ha un elevato potere attraente e attrattivo. Gioco di luci strepitoso, a cura di Alessandro Caso, lo spettacolo si è palesato come un’originale rivisitazione del romanzo di Bram Stoker, innovativa ed estremamente contemporanea, a tratti futuristica.

Vlad, interpretato dal salernitano Giorgio Adamo, è alla ricerca spasdomica della sua Elizabeth, che ritrova negli occhi della seducente Mina, moglie del giornalista Jonathan Harker. Tanti gli spunti di riflessione e gli interrogativi che il palcoscenico ha posto all’attenzione del pubblico: temi ambientalisti, il ruolo della stampa e dei giornalisti, il potere della tecnologia che può agevolare l’uomo ma anche distruggerlo con le sue bizzare macchine.

Vlad Tepes è sicuramente meno assetato di sangue e più umano, quasi un nostalgico romantico di un passato che non ritornerà, un vampiro dall’animo poeticamente addolorato per la perdita della sua amata ma non rassegnato, insomma un assassino che si lascia quasi “catturare”, mettendo a nudo le sue angosce e fragilità. Le scenografie, realizzate da Michele Lubrano Lavadera, sono ambientate nell’epoca post-industriale di fine 800 dal sapore steampunk e fantascientifico.

Un fiume di applausi ha concluso la serata, durata all'incirca due ore, godibilissima, testimonianza della creatività salernitana, un esempio di come al Sud si possano creare dei piccoli gioielli grazie al lavoro di squadra e alla bravura del team di attori che, con sacrificio, già in epoca Covid vi ha lavorato assiduamente. Avecone ha dichiarato: “Non ci speravamo più, abbiamo rinviato tante volte la tournée per via della pandemia e della chiusura dei teatri. Pensavamo di non farcela e di non ritornare più sul nostro palcoscenico, ma stasera siamo qui e sono orgoglioso della mia squadra, composta da professionisti talentuosi. Questo è il Sud che piace. Spero che Salerno ci porti fortuna e che le altre regioni d’Italia apprezzino il nostro innovativo spettacolo”.

Da Vlad a Dracula: storia e leggenda del vampiro più noto al mondo intero

Chi non conosce il vampiro più famoso del pianeta, il più sanguinario e spietato associato alla nebbiosa terra di Transilvania? Tutte le arti lo hanno sempre descritto in maniera fantasiosa, ma c’è anche un fondo di verità nella sua storia. La Transilvania, che si trova al centro della Romania, è circondata da tre parti dalle montagne dei Carpazi. Proprio qui nasce il personaggio Dracula, che dal suo castello getta panico e terrore tra le popolazioni dei villaggi circostanti.

Nel XV secolo, Enrico VI e gli Inglesi combatterono nella guerra delle Tre Rose, quando re dell’Ungheria fu il rumeno Matei Corvin e quando Mohamed II cercava di conquistare l'Europa cristiana. In questo frangente, ragioni diverse causarono la trasformazione del re della Valacchia (provincia romena) in un vampiro sanguinario. Vlad Tepes III o l’Impalatore regnò in Valacchia dal 1448 al 1476 e con la sua morte finì anche il suo regno. I ritratti lo presentano con folti baffi, naso adunco, occhi grandi e sguardo penetrante. Vlad III fu chiamato Dracula perché ereditò il soprannome del padre Vlad II chiamato Dracul, dall’ordine del Dragone. Dracula, o più correttamente Draculea, appartiene alla categoria dei nomi romeni che terminano in “ulea”.

Vlad III, conquistato il potere, fu spietato e sanguinario. Le violenze erano tra le più terribili, come il massacro del 1460, nel giorno di San Bartolomeo, quando in una città della Transilvania furono impalate 30.000 persone. Da quegli atroci delitti, Vlad III divenne per tutti Dracul, il demonio. Il principe in persona nel suo diario racconta delle carneficine, del cannibalismo e del modo in cui impalava le vittime, tra le quali bambini e donne, ma anche vergini di cui si narra raccogliesse il sangue per berlo con vino ed alcol. I pali che servivano per uccidere i nemici erano studiati per accelerare o rallentare l’agonia, e a seconda della vittima usava pali diversi. Questi accadimenti storici ispirarono sicuramente lo scrittore Stoker per dar vita al suo famoso romanzo, pietra miliare nella letteratura vampirica.

Se Dracula diventasse per un attimo umano, cosa apprezzerebbe maggiormente a tavola?

Il musical, la storia e la letteratura hanno fatto sorgere spontaneamente, in chi scrive e si occupa da tempo di enogastronomia, questo interrogativo. Probabilmente il conte non abbandonerebbe del tutto il sangue ma andrebbe alla ricerca di preziosi alimenti richiamanti e contenenti il liquido rosso. Partendo dalla scelta del vino, si orienterebbe verso pregiati rossi italiani, come il Sangue di Giuda DOC dell’Oltrepò Pavese che può accompagnare formaggi stagionati, primi corposi, salumi oppure, nella variante dolce, dessert secchi a base di confetture come le crostate; o il Sangue di Drago, meglio noto come Teroldego Rotaliano DOC, un vino che nasce da un vitigno autoctono del Trentino, dal colore intenso, quasi nero, corposo e ricco, ottimo se abbinato alle carni succulente.

Un cocktail che piacerebbe di sicuro a Dracula potrebbe essere un classico Bloody Mary a base di vodka, succo di pomodoro e spezie piccanti o aromi come la salsa Worcestershire, il tabasco, il consommé, il cren, il sedano, il sale, il pepe nero, il pepe di Caienna e il succo di limone, forse associato alla figura di Maria I d’Inghilterra, detta la Sanguinaria. Tra i cibi non disdegnerebbe carni alla brace dalla tipica cottura al “sangue”, insaccati con sangue come i boudin alpini, le mustardele piemontesi, i sanguinacci lombardi, i mallegati toscani, i sangùnèt pugliesi, i mazzafegato umbri, le susianelle laziali, i sanguineddi sardi.

Ancora, ingurgiterebbe sanguinacci campani al cioccolato, oggi privi di sangue di maiale perché in Italia dal 1992 ne è stata vietata la vendita, compagni fedeli di chiacchiere nel periodo carnevalesco anche in Basilicata e Calabria; il migliaccio di Carnevale, che anticamente era a base di sangue e miglio, il sangue fritto di maiale cotto con alloro, scorze di agrumi e poi soffritto in padella con sugna e cipolle, condimento ideale per gli spaghetti, la torta di sangue tipica del settentrione con formaggio, latte e pangrattato.

Nei secoli, l’uso del sangue per scopi alimentari fu spesso vietato. Nell’ebraismo biblico il tabù del sangue risale alla notte dei tempi. Il Genesi descrive le prime generazioni di uomini come vegetariani, con un’alimentazione prevalentemente a base di frutta. Nel VII secolo d.C., precisamente nel 692, il Concilio Quinisesto (Quinisextum), tenuto a Costantinopoli, vietò espressamente il consumo di qualsiasi alimento contenente sangue. Solo più tardi, a partire dalla fine del XIX secolo, gli alimenti contenenti sangue come ingrediente cominciano ad essere tollerati. Dracula in ogni caso nel XXI secolo avrebbe l’imbarazzo della scelta, storcerebbe un tantino il naso per agli e cipolle ma resterebbe soddisfatto di un sanguigno percorso degustativo tra i prodotti tipici regionali italiani.

Leggi tutto

Lascia un commento

Cerca...