Mosaico per Procida e Giagiù: a Salerno mix tra sintesi enologica e arte bianca

Il vinaggio unico al mondo dialoga con la ricerca lievitistica grazie a Ciro Pecoraro e Gaetano Cataldo

Annamaria Parlato 24/11/2025 0

La tappa salernitana di Mosaico per Procida presso la pizzeria Giagiù è stata l’occasione per osservare da vicino l’applicazione sensoriale di un progetto enologico considerato, a tutti gli effetti, un unicum tecnico nel panorama italiano. Dopo l’anteprima ufficiale con l’Associazione Italiana Sommelier, il vino è tornato a Salerno in un contesto volutamente operativo, quasi laboratoriale, dove il prodotto potesse dialogare con una cucina identitaria e strutturata sul piano aromatico.

L’ospitalità di Giagiù - guidata dal maestro pizzaiolo Ciro Pecoraro - ha trasformato questo rientro in un momento di studio applicato: l’incontro tra un vino costruito per sintesi e una pizza concepita per stratificazione sensoriale, entrambi sostenuti da un approccio rigoroso alla materia prima e alla tecnica. Mosaico per Procida è infatti il primo “vinaggio” inedito al mondo: un assemblaggio unico ottenuto dalla selezione di 26 masse vinicole. Le masse, inviate a Montalcino, sono state preliminarmente analizzate e pesate aromaticamente; da quel punto, il winemaker Roberto Cipresso ha creato cinque micro-blend in proporzioni variabili, annotando percentuali e caratteristiche sensoriali per individuare il prototipo più stabile dal punto di vista proteico, tartarico e ossidativo, e al contempo più rappresentativo della matrice mediterranea del progetto. Le aziende coinvolte hanno poi ricevuto le percentuali definitive, contribuendo a una massa finale di 5000 litri, pari a circa 6000 bottiglie complessive, incluse le edizioni speciali.

Ampelograficamente, è un caso senza precedenti: rappresenta la sintesi di tutti i vitigni a bacca bianca della Campania in un’unica tessitura aromatica. È stato il primo vino a presidiare contemporaneamente tre padiglioni fieristici (Campania, Toscana, Marche) e trenta stand diversi, oltre a essere un progetto interamente autosostenuto, privo di fondi e finanziamenti. È già approdato in Lussemburgo, raccontato in Francia dal partner Diam Bouchage, e protagonista di una prestigiosa asta benefica negli Stati Uniti durante il March of Dimes. Il progetto gode del patrocinio del Comune di Procida, di Castel San Giorgio, della Regione Campania, della Fondazione Francesco Terrone, dell’AIS, delle Città del Vino, del MAVV - Wine Art Museum e dell’Associazione Nazionale Donne del Vino. Ha inoltre finanziato l’iscrizione di Procida nelle Città del Vino e ora punta ad ampliare ulteriormente la rete delle città coinvolte nei percorsi enoturistici.

L’etichetta “inCanto diVino”, firmata da Carolina Albano, è un’opera collettiva nata da una mostra artistica che ha coinvolto trenta artiste e studentesse del liceo De Chirico di Torre Annunziata, ospitata dal MAVV secondo un protocollo culturale ideato da Gaetano Cataldo. Non sorprende che la bottiglia abbia raggiunto figure di alto profilo nel mondo enologico, artistico, culturale e istituzionale: da Anna Fendi a Federico Ceretto e Gianfranco Vissani, da Donatella Cinelli Colombini a Luca Gardini, fino a rappresentanti accademici e politici di primo piano, sino a giungere perfino a Sua Santità Papa Francesco. In questo contesto di prestigio e complessità tecnica, la scelta di Giagiù è apparsa naturale. La pizzeria, ospitata negli storici locali dell’ex sala Varese, affacciata sul Lungomare Trieste con vista sul Golfo di Salerno e la Costiera Amalfitana, ha messo a disposizione una sala rialzata riservata a un pubblico selezionato di giornalisti, appassionati ed enogastronauti.

Qui Ciro Pecoraro ha presentato un percorso degustativo calibrato sull’impianto organolettico del vino. "Mosaico per Procida - spiega - ha una voce complessa, stratificata. Non bastava abbinarlo a piatti tecnicamente corretti: serviva un dialogo. Ho lavorato su impasti diversi, cotture variabili e topping specifici per amplificare le sue nuance mediterranee e la sua tridimensionalità aromatica. Il vino, al calice, ha espresso una struttura dinamica: una matrice calda e salina, una vena citrina che sostiene la freschezza, note floreali e fruttate provenienti dalle molteplici masse vinicole, e una chiusura pulita attraversata da una leggera sfumatura iodica, che richiama l’origine insulare. Una beva verticale ma armonica, in continua oscillazione tra morbidezze e tensione acida.

Su questa base si è articolato il menù tecnico di Pecoraro. Apertura con la frittatina di genovese su fondo bruno sfumato con lo stesso vino: un ponte immediato tra la dolcezza aromatica della cipolla e la componente umami della preparazione. È seguita la pizza fritta in doppia cottura, farcita con mousse di ricotta al pepe rosa, miele di castagne e pesto di zeste di limone: la ricotta dialogava con la morbidezza glicerica del sorso, mentre le note agrumate riprendevano la freschezza del vino. Punto di massima complessità tecnica il rutiello semi-integrale con farina di vianccioli, fior di latte di Agerola, zucca napoletana arrosto marinata al rosmarino, scaglie di provolone del monaco e nocciola tonda di Giffoni: dolcezza vegetale, aromaticità boschiva e persistenza casearia intrecciavano un dialogo serrato con la struttura del vino.

Il crescendo culminava nella marinara completa - San Marzano, alici di Cetara, olive caiazzane, capperi di Pantelleria, aglio dell’Ufita - dove il sorso trovava il proprio asse ideale tra sapidità, tensione e verticalità. Chiusura gourmand con una millefoglie artigianale con crema pasticcera e amarene, studiata per lasciare il palato pulito e reimpostare la percezione gustativa. Durante l’intero percorso, Gaetano Cataldo - founder di Identità Mediterranea, miglior sommelier dell’anno al Merano Wine Festival e project manager del progetto - ha guidato il pubblico con un racconto tecnico e culturale: "Mosaico per Procida è una piattaforma culturale, il risultato della collaborazione di un intero territorio, della somma di vitigni e sensibilità differenti, e di aziende che hanno aderito senza fondi, solo per senso di appartenenza. Riportarlo a Salerno, in una pizzeria identitaria come quella di Ciro, significa restituirlo alla sua matrice mediterranea più autentica".

La serata al Giagiù ha dimostrato che vino e pizza, quando sostenuti da ricerca, metodo e visione culturale, possono costruire percorsi sensoriali di grande profondità tecnica, capaci di restituire non solo gusto, ma un’autentica esperienza di significato.

Potrebbero interessarti anche...

Annamaria Parlato 26/05/2023

"Mascuotto" di Bracigliano: una croccante storia di acqua, lievito e farina

Il pane duro, o pane raffermo, veniva tradizionalmente riutilizzato in molte ricette e preparazioni per evitare di sprecarlo; fu così che in molte regioni d’Italia nacquero piatti storici come la ribollita o la pappa al pomodoro. L'utilizzo del pane raffermo in queste preparazioni permetteva di evitare lo spreco alimentare e di creare piatti gustosi e nutrienti. Nel Sud Italia e in Campania, il pane avanzato veniva biscottato e diventava ingrediente di molte preparazioni contadine, come il famoso “mallone braciglianese” di rape e patate o la classica panzanella con pomodori, origano, basilico e olio evo a crudo.

Il pane biscottato o “mascuotto” è infatti altra tipicità del Comune di Bracigliano, che basa la sua economia essenzialmente su prodotti agricoli. Il mascuotto era un alimento utilizzato principalmente dalla popolazione contadina e dalle persone che lavoravano nei campi. Questo alimento aveva diverse caratteristiche che lo rendevano adatto ad essere consumato in determinate situazioni. La sua durezza e la capacità di conservarsi a lungo faceva sì che diventasse ideale per i contadini che lavoravano per molte ore sotto il sole.

Il mascuotto poteva essere facilmente trasportato come cibo da campo e, quando era il momento di mangiarlo, veniva ammollato in acqua per renderlo più morbido e gustoso. Inoltre, era un alimento economico e nutriente, che poteva essere preparato utilizzando ingredienti semplici e facilmente reperibili come farina, acqua e sale. Per questi motivi era accessibile alla maggior parte della popolazione, compresi i contadini e le persone con risorse limitate.

Nel corso degli anni, il mascuotto è diventato un alimento apprezzato e consumato anche al di fuori delle comunità contadine, quasi gourmet o per veri intenditori, tant’è che rinomati chef si cimentano nella preparazione di piatti innovativi, aggiungendolo come ingrediente di base o per dare croccantezza al piatto. Questo pane biscottato dalla classica forma a tozzetto è così apprezzato dai braciglianesi e dalle popolazioni limitrofe che ogni anno, a luglio, in occasione della festa patronale dei Santi Nazario e Celso, diventa il protagonista di una famosa sagra e di molte pietanze, in primis il mallone, indirettamente anche della promozione turistica comunale.

L'origine del pane biscottato può essere fatta risalire all'antica Roma, dove il pane veniva cotto due volte per renderlo più durevole e conservabile a lungo. Questo pane tostato era spesso consumato dai soldati romani durante le lunghe campagne militari. Con il passare del tempo, questa pratica si diffuse in altre parti d'Europa. Nel Medioevo, il pane biscottato divenne una parte importante della dieta dei marinai e dei viaggiatori, poiché il pane tostato era facile da conservare durante i lunghi viaggi in mare.

Con il germano, introdotto dai longobardi nel territorio salernitano, o col frumento si confezionavano i “biscocti”, così detti perché cotti due volte, alimento essenziale per gli uomini delle galee, che li inzuppavano nell’acqua di mare. Inoltre, il pane biscottato era considerato un alimento ideale per le persone che soffrivano di disturbi digestivi, poiché la cottura due volte lo rendeva più facilmente digeribile. Durante il Rinascimento, il pane biscottato divenne una prelibatezza apprezzata anche dalle classi nobili. Veniva spesso servito con vino o bevande calde come il caffè o il cioccolato.

Nel corso dei secoli, la produzione del pane biscottato si è evoluta. All'inizio, il pane veniva tagliato a fette e tostato nel forno, ma con l'avvento delle moderne tecniche il pane biscottato viene realizzato utilizzando macchinari specializzati. Oggi, il processo di produzione del pane biscottato coinvolge spesso la fermentazione dell'impasto e l'uso di farine selezionate, per ottenere una consistenza e un sapore specifici.

La composizione esatta del pane biscottato può variare leggermente a seconda della ricetta e del produttore, ma di solito contiene i seguenti ingredienti: farina di grano tenero o grano duro, segale, mais o integrale, a seconda delle preferenze, acqua per impastare, sale marino e lievito madre. Le fasi della sua elaborazione sono: lavorazione dell’impasto, modellatura in pezzi a forma di parallelepipedo, lievitazione e prima fase di riposo, infornata e cottura, sfornatura, seconda cottura (i pezzi poi vengono spezzati rigorosamente a mano), confezionamento ed etichettatura. Il prodotto fresco deve avere un caratteristico odore delicato di tostato, che può ricordare il profumo del legno di ulivo o di vite.

A Bracigliano, da oltre duecento anni, il Biscottificio Calabrese ancora sforna mascuotti, friselle e biscotti di vario genere, ma molto probabilmente, come si evince dalle fonti letterarie, la presenza del mascuotto sul territorio risale all’epoca angioina e nel XVII secolo era proposto nelle osterie di paese. Bagnato pochi secondi nel tipico “vacile” pieno d’acqua fresca, è il perfetto pasto che asseconda tutti i dettami della dieta mediterranea, se abbinato all’olio di oliva, verdure, pesce, latticini. Chi non ricorda la zuppa di latte che i nonni preparavano ai bambini per la colazione? La sua semplice composizione rende il pane biscottato adatto a molte diete e lo trasforma in un alimento versatile per accompagnare salse, formaggi, antipasti e altro ancora.

Leggi tutto

Redazione Irno24 22/03/2024

A Baronissi la tappa di chiusura del progetto "Cantine emergenti"

La primavera in Campania parte all’insegna del binomio enogastronomia e musica, con 7 eventi gratuiti ospitati dal 5 al 28 aprile in altrettante "giovani" cantine delle province di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno, che prevedono visite guidate, degustazioni e concerti di musica folkloristica.

“Cantine emergenti” è il progetto programmato e finanziato dalla Regione Campania (fondi POC 2014-2020), attuato da Scabec con la direzione artistica di Stefano Piccolo, che punta alla valorizzazione territoriale sostenendo le cantine di recente apertura (dai 2 ai 6 anni) nell’avvio delle proprie attività. Un'occasione unica per scoprire luoghi meno noti della Campania ma ricchi di fascino, degustare i vini campani e godere della bellezza di cantine che, seppure "giovanissime", portano avanti una tradizione enologica secolare.

Il tour di “Cantine emergenti” farà tappa a San Marcellino (CE), Solopaca (BN), Montemarano (AV), Alife (CE), Castelvetere sul Calore (AV), Castelvenere (BN) e Baronissi (SA). Ciascun appuntamento sarà accompagnato dalla musica dei Tammurrianti World Project. Domenica 28 aprile, alle ore 10:30, chiusura della kermesse nell’Azienda Agricola Guerritore di Baronissi (SA), nella valle dell’Irno, con una vigna, a circa 300 metri sul livello del mare, che si estende per 6 ettari su di un terreno limo/argilloso di origine vulcanica e coltivata a Guyot.

La partecipazione a “Cantine emergenti” è gratuita su prenotazione obbligatoria, a partire dalle ore 14:00 del 25 marzo (www.scabec.it).

Leggi tutto

Annamaria Parlato 25/02/2023

La cannabis che si mangia e non si fuma: un superfood che spopola

La canapa (Cannabis sativa) appartenente alla famiglia delle Cannabinacee è molto vicina a quelle delle Urticacee. E’ una pianta erbacea a fusto eretto, alto circa due metri, semplice o un po' ramificato nella parte superiore. La canapa possiede foglie opposte, picciolate, palmate, costituite da 5-9 foglioline lanceolate-acute, a margini seghettati, ruvide come il fusto. I fiori sono piccoli, incospicui, di due sessi (staminiferi e pistilliferi) su piante separate: i primi costituiscono delle rade pannocchie terminali, quelli femminili sono avvolti ognuno da una brattea.

I frutti, che in fondo si ravvisano negli stessi semi, sono piccoli acheni globosi, grigio-olivastri. Questi ultimi sono utilizzati per l’estrazione di un olio alimentare e combustibile e servono anche come mangime. Dai fusti della canapa, previa macerazione e battitura, si ricavano fibre tessili che vengono impiegate per la fabbricazione di funi, stuoie e tessuti molto resistenti.

La canapa è originaria dell’Asia centrale ed è nota la sua coltivazione in Cina sin dall’antichità. I Paesi che ne producono di più sono Russia e Cina, ma anche India, Paesi dell’Est Europa, Turchia, Spagna e Italia, con Emilia Romagna e Campania come maggiori fornitori anche nei secoli addietro, a partire da Settecento. Dal XIV secolo in poi, il suo uso in cucina è attestato da diverse memorie, a partire dai “Tortelli con fiori di canapaccia, ripieni di canapa, carne di maiale e fine spezie” e soprattutto durante il Rinascimento, quando Johannes Bockenheim, cuoco di papa Martino V, autore del manoscritto latino Registrum coquine (1430 circa), descrive la Minestra di canapuccia, buona per i malati.

L’uso alimentare della canapa in passato era molto diffuso in Italia, ma con il tempo si era perduto. Nel maggio 2009, invece, il Ministero della Salute ha riconosciuto in una circolare l’uso alimentare dei semi di canapa sativa e derivati, privi di Thc. La canapa sta conoscendo un'applicazione sempre maggiore in cucina, attraverso l'olio, che, spremuto a freddo, ha un delicato sapore di nocciole e una percentuale molto alta di acidi grassi essenziali, o la farina ottenuta dai semi di canapa. Si conosce appunto la canapa per i suoi effetti psicotropi e per le cronache in cui si trova spesso al centro.

Se trattata adeguatamente, però, questa pianta non solo è priva di pericoli, ma anche ricca di benefici. Il contenuto psicotropo (Thc) della grande maggioranza di queste piante è quasi sempre nullo, per questo si adatta bene alla gastronomia. Secondo la Legge 242/16, la norma che disciplina in Italia la canapa leggera, il livello Thc deve necessariamente risultare inferiore alla percentuale dello 0,2 o comunque non deve andare oltre lo 0,6%. In questo modo, la cannabis riesce a essere nelle migliori condizioni per essere commercializzata, senza provocare danni sulla salute.

L’altro elemento che si trova all’interno della pianta, in percentuali anche importanti, è il Cbd o cannabinolo, che non presenta effetti psicotropi. La canapa light prevede la commercializzazione e il trattamento di un’unica varietà: quella sativa. Gluten free e quindi adatta a celiaci, la canapa si può anche trovare nella pasta, nella pizza, nel casatiello, nella birra artigianale e persino nei gelati, trovando anche largo consenso nel mondo vegano.

La coltura della canapa in Campania oggi è favorita dai bandi d’investimento regionali e dalla loro premialità. Ecologicamente sostenibile e molto resistente, la coltivazione non richiede l’utilizzo di erbicidi o pesticidi. La canapa è una preziosa fonte di vitamine, ossidanti, carboidrati, fibre, minerali, proteine, calcio e potassio; ormai molti chef e pizzaioli nella provincia di Salerno la impiegano per creare specialità gastronomiche, invitanti ed interessanti, con un retrogusto piacevole che sa di farine integrali, lasciate se vogliamo ancora grezze, come natura vuole.

Leggi tutto

Lascia un commento

Cerca...