Cicoria, che passione: numerose le varietà diffuse anche nel salernitano
Da taglio, cicorino, indivia belga, puntarelle, eccone la storia e le caratteristiche
Annamaria Parlato 30/01/2023 0
Il termine cicoria indica diverse varietà di piante del genere Cichorium. Le varietà di verdura che si contraddistinguono con questo termine sono numerosissime e si caratterizzano per un gusto leggermente amarognolo, dovuto a una sostanza in esse contenuta, assai benefica per il nostro organismo. Intorno ai pascoli abbandonati e lungo le strade delle aree verdi del territorio salernitano cresce spontaneamente la cicoria selvatica.
E’ pianta rinomata per le sue riconosciute qualità organolettiche e per i suoi effetti salutari: ha foglie tenere e croccanti e un sapore amaro molto particolare, i suoi effetti sono rinfrescanti e depurativi. La tradizione della minestra di cicoria, nelle zone interne della provincia di Salerno, è legata all'uso come alimento che la Madonna fece di questa pianta dal sapore fortemente amaro dopo la morte di Gesù. Tra l’altro, le cicorie sono ricchissime di ferro, calcio, potassio e hanno anche un’azione leggermente diuretica oltre che depurativa. Sono sconsigliate a chi soffre di disturbi intestinali a causa del loro contenuto di cellulosa, che può provocare irritazioni.
Tra le varietà più note, ricordiamo le cicoria da taglio o a mazzetti. La raccolta di questa insalata avviene mediante taglio delle foglioline, lasciando a dimora le piantine che daranno successive “fioriture”. Le foglie hanno un colore verde cupo e forma stretta e allungata, con sottile nervatura centrale. Vengono riunite in mazzetti e così vendute. Si preparano tagliandole a striscioline sottilissime, dopo un’accurata lavatura.
Il cicorino è invece una delle varietà più tenere della cicoria; si presenta a ciuffetti con foglioline strette e allungate, non più di 4-5 centimetri. Esiste anche un’altra varietà (Ceriolo) con una rosetta di foglie verdi tendenti al giallo, di forma tondeggiante. Sempre a questa famiglia appartiene un altro tipo d’insalatina con foglie ondulate ai margini, alcune di un bel verde vivo, altre di un verde tendente al giallo.
La cicoria belga è una varietà di cicoria di origini molto recenti, il cui nome originario è “witloog”, foglia bianca in fiammingo. Nel 1845, il capo giardiniere dell’orto botanico di Bruxelles scoprì che, nell’oscurità della cantina di casa sua, alcune radici di cicoria avevano germogliato, dando origine a un prodotto particolarmente tenero e delicato. Da quel momento, e per oltre vent’anni, attraverso una serie di studi ed esperimenti, cercò di migliorare la qualità, la forma e il sapore di questo ortaggio. Il risultato è quello che tutti conosciamo: lunghe foglie bianchissime, leggermente gialle verso la punta, che si avvolgono strettamente le une sulle altre a formare un cuore allungato e compatto.
La cicoria belga è croccante e tenera, ricca di idrati di carbonio, insulina calcio e fosforo. E’ particolarmente indicata nelle diete dimagranti poiché contiene solo 17 calorie per ogni 100 grammi. La semina di questa cicoria avviene durante la primavera in aperta campagna; dai semi nascono lunghe radici, sormontate esternamente da un rigoglioso ciuffo verde. In autunno, le radici vengono estirpate dal terreno e innestate in speciali rape predisposte allo scopo, dalle quali trarranno la linfa per germogliare al buio, in appositi capannoni di lamiera ondulata.
Durante il periodo di sviluppo, speciali condutture sotterranee provvedono a mantenere la pianta alla giusta temperatura. Il periodo della raccolta va da dicembre a febbraio, ma in Italia la sua produzione è molto ridotta per mancanza delle attrezzature necessarie; quindi, quella che arriva sui nostri mercati è quasi tutta d’importazione.
La catalogna, infine, è una cicoria il cui nome deriva dalla sua terra d’origine, la comunità autonoma della Catalogna, in Spagna. Si presenta sotto forma di grossi cespi simili ad asparagi, lunghi anche 40-50 cm, con foglie sottili e frastagliate ai margini, con costola centrale bianca piuttosto carnosa, ha azione depurativa e rinfrescante. Questa cicoria si mangia prevalentemente cotta poiché cruda è piuttosto coriacea ed amara; ma a Roma si consumano crudi i germogli giovani, che vengono chiamati “puntarelle”.
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Redazione Irno24 12/06/2025
Cucina salernitana di mare, ingredienti freschi: l'Embarcadero è tradizione
Sul lungomare cittadino, l'Embarcadero ha da sempre rappresentato una tappa obbligata della passeggiata dei salernitani. Dalla pizzetta "mordi e fuggi", retaggio del chiosco originario, negli anni si è assistito ad un'evoluzione completa del locale, fra un restyling strutturale ed un cambio di filosofia nell'offerta di ristorazione, che si è riappropriata dei sapori tradizionali e delle ricette autentiche dopo un periodo gourmet. E' lo chef Antonio Perna a raccontare l'essenza della sua cucina e le tappe evolutive.
"A me è affidata la gestione di tutto il comparto food, che si articola su due cucine: quella del ristorante, nella sala interna e sul terrazzo "inferiore", e quella del bistrot sul terrazzo superiore, dove serviamo aperitivi più "strutturati" con cocktail accompagnati da pinsa romana, caponata, acquasale, friggitoria. Inizialmente, abbiamo proposto una ristorazione più gourmet, anche sulla base dell'influenza che la tv stava esercitando sui gusti del pubblico, spingendolo verso piatti altamente "instagrammabili", dal forte impatto estetico; dopo la pandemia, gradualmente, lo scenario è cambiato, con la riscoperta del territorio, dell'originalità, della tradizione, della cultura gastronomica locale.
Non a caso, durante il lockdown, avendo molto tempo a disposizione, le persone si sono cimentate con impasti, preparazioni amatoriali, riappropriandosi delle origini. L’impostazione gourmet non è stata più predominante, e, una volta terminato il restyling della struttura, abbiamo ritenuto di ricominciare, tornando ad esprimere quella che era la natura dell'Embarcadero: cucina salernitana di mare, ingredienti freschi, pescato di giornata.
Il menù di linea è semplice, non povero nè troppo delicato. Sapori decisi e approccio tradizionale. Non un vero e proprio ritorno al passato, ma a ciò che rispecchia la nostra terra. Il cliente deve sapere che qui mangia come a casa e ritrova sapori "ignoranti" che forse erano andati persi. La cucina locale, infatti, deve essere ricca di gusto. Si può rivisitare, magari nel metodo di preparazione, ma non stravolgere. Cucina tradizionale abbinata a tecniche moderne. In menù abbiamo una parmigiana di alici che, per come viene realizzata e servita, potrebbe "spiazzare" il cliente, ma all'assaggio vengono fuori basilico, provola ed alici, cioè gli ingredienti tradizionali.
La cucina deve arrivare a tutti, diretta. La qualità è fondamentale: per ricercarla, attraverso una buona materia prima, noi lavoriamo con molti fornitori diversi: più caseifici, più logistiche, più pescherie. E poi gli artigiani, quasi estinti nei ristoranti: fino a qualche mese fa, disponevamo di 6 tipologie di pastifici, ognuno con il suo "asso nella manica" a livello di prodotto. La tradizione sta anche nella ricerca. L'estro dello chef è importante, ma la base di partenza affidabile è la garanzia di un prodotto sicuro, lavorato da mani sapienti. Stesso discorso per i latticini, in particolare la mozzarella di bufala. In poche parole, definirei l'Embarcadero un ottimo ristorante tradizionale".
Redazione Irno24 06/08/2024
Pellezzano, dal 10 agosto la 35esima edizione della Sagra do' Sciusciello
Dal 10 al 16 agosto 2024, a Pellezzano, la 35esima edizione della "Sagra do' Sciusciello", l'antico pane della tradizione locale che viene cotto in forno a legna e farcito con prodotti tipici. Ogni sera, in piazza Di Vittorio, accanto alle delizie gastronomiche (apertura stands ore 20:00), si terranno spettacoli di musica e ballo.
L'articolo del nostro direttore sulla storia del "pane col soffio"
Annamaria Parlato 15/10/2024
Salerno, il "Vicolo della Neve" oggi: meno fascino ma tanto coraggio
Salerno è una città ricca di storia e tradizioni; tra le sue eccellenze, la gastronomia occupa un posto di rilievo. La posizione della città lungo le principali rotte commerciali ha portato, nel corso dei secoli, a un arricchimento della cucina locale con influenze diverse. Salerno ha una lunga tradizione di scambi culturali, sin dai tempi dell'antica Scuola Medica Salernitana, e questo si riflette anche nell’uso di spezie e sapori che richiamano cucine più lontane e quelle dei territori confinanti.
In questo contesto, c'è un luogo che è riuscito a lasciare un segno indelebile nel panorama culinario della città: il ristorante "Vicolo della Neve". Situato nel cuore del centro storico, il Vicolo della Neve è molto più di un semplice ristorante. È una vera e propria istituzione, un luogo dove si incontrano passato e presente, dove la cucina diventa uno strumento per raccontare l’identità e l’anima di Salerno. In un’epoca in cui la ristorazione tendeva a essere puramente funzionale, il Vicolo della Neve ha dimostrato che il cibo poteva essere una forma d'arte, capace di raccontare una storia e di trasmettere emozioni profonde. Questo approccio ha avuto un impatto anche sulla cultura salernitana, contribuendo a far emergere una nuova consapevolezza del valore della gastronomia come espressione culturale.
Il ristorante o meglio la trattoria deve il suo nome all’antica strada in cui si trova, Vicolo della Neve, una delle vie più pittoresche e cariche di storia del centro antico di Salerno. La sua collocazione non è casuale: Salerno, sin dal Medioevo, è stata una città fiorente e dinamica, punto di incontro per mercanti, artisti, letterati e viaggiatori, che contribuivano alla vitalità della vita urbana. È in questo contesto che nasce il ristorante, in un vicolo che, già nei secoli passati, ospitava una delle antiche nevère, piccole strutture sotterranee adibite alla conservazione della neve proveniente dai Picentini o dalla Valle dell’Irno, che veniva poi usata per la refrigerazione dei cibi.
A pochi metri dal locale c’è stato anche il rinvenimento di una domus di epoca romana e le tracce romane sono visibili anche negli ambienti interni, lasciati a vista per ricordare quanta storia c’è stata in questi luoghi. Questa particolarità ha dato un tocco di autenticità e storicità al luogo, rendendolo sin da subito un punto di riferimento per chiunque volesse vivere un’esperienza gastronomica legata alle radici profonde della città.
Il Vicolo della Neve nasce alla fine dell’Ottocento come cantina e poi diventa forno, trasformandosi negli anni in una pizzeria. A partire dalla sua apertura, il Vicolo della Neve ha saputo evolversi rimanendo sempre fedele alla sua vocazione originaria: proporre una cucina che rispecchiasse l’essenza della tradizione salernitana. Inizialmente, il ristorante era conosciuto per la semplicità e la genuinità delle sue pietanze. Le ricette proposte derivavano direttamente dalla tradizione contadina e marinara della zona, con piatti che facevano largo uso degli ingredienti locali, come il pesce fresco del Golfo di Salerno, le verdure provenienti dalle fertili terre circostanti, i prodotti caseari delle vicine colline.
Tuttavia, nel corso degli anni, il ristorante ha saputo aggiornare la sua offerta, introducendo nuove interpretazioni e tecniche culinarie, senza mai perdere di vista il legame con il territorio. Questa capacità di innovare rimanendo fedeli alla tradizione ha permesso al Vicolo della Neve di mantenere sempre alta l’attenzione e l’interesse della sua clientela, che comprende sia i salernitani, affezionati alla cucina del luogo, sia i turisti, attirati dalla fama del ristorante e dalla sua autenticità. Dopo la chiusura avvenuta nel 2020, sotto la gestione di Matteo Bonavita, fortunatamente lo scorso maggio Fiorenzo Benvenuto, Marco Laudato e Gerardo Ferrari ne hanno garantito la riapertura e la continuità. Una luce di speranza sicuramente e anche tanto coraggio nell’attuazione del restyling con lo studio di architettura Apt5. In cucina anche l’esperienza e la perizia della Signora Maria, nonna di Gerardo, grande custode della cucina salernitana tradizionale.
La cucina proposta dallo chef Marco Laudato al Vicolo della Neve è una celebrazione della tradizione gastronomica di Salerno e della Campania. Uno dei punti di forza del ristorante è la capacità di valorizzare i piatti poveri della cucina salernitana, portando in tavola sapori semplici ma intensi, che raccontano una storia di genuinità e passione. Tra i piatti più iconici del ristorante, la pasta e fagioli (cui manca però la golosa crosticina che si creava ripassandola nel forno a legna), la milza, la parmigiana di melanzane, il peperone imbottito e il cinquetto (che costava cinque lire), cioè il calzone con uova strapazzate, formaggio e salame semistagionato, vere e proprie pietre miliari.
Preparati seguendo le ricette tramandate di generazione in generazione, questi piatti rappresentano al meglio la cucina salernitana, che si basa su ingredienti di qualità e sapori decisi ma ben equilibrati. Un altro fiore all'occhiello del ristorante è la tagliatella allardata (introdotta di recente), una ricetta tradizionale che risale a tempi antichissimi. Si tratta di un primo piatto condito con patate, lardo, basilico e tanto formaggio, ingredienti che racchiudono tutto il sapore e i profumi della cucina del centro storico. Questo piatto è un perfetto esempio di come la cucina del Vicolo della Neve riesca a combinare semplicità e complessità, proponendo pietanze che soddisfano tanto il palato quanto lo spirito.
Il pesce, naturalmente, occupa il suo spazio nel menù. La freschezza del pescato giornaliero è garantita dalla vicinanza del porto di Salerno, che ogni mattina fornisce il ristorante con le migliori prelibatezze del mare. Piatti come le alici indorate e fritte, il polpo di nassa alla luciana o all'insalata, il baccalà con patate arrecanate e la zuppa di cozze sono tra le specialità più richieste al ristorante. Ciascuna portata è un tributo alla cucina marinara salernitana, che affonda le sue radici in una tradizione secolare di pesca e cucina di pesce.
Il Vicolo della Neve non è solo un ristorante, ma anche un luogo di incontro e di scambio culturale. La sua posizione privilegiata, nel cuore del centro storico, lo ha reso un punto di riferimento per gli artisti, gli intellettuali e i personaggi di spicco della città. Nei decenni, il ristorante è diventato un luogo dove la cucina e la cultura si sono incontrati con eventi, cene letterarie e serate a tema che hanno contribuito a fare del Vicolo della Neve uno dei centri della vita sociale salernitana. In particolare, il legame con la tradizione musicale e teatrale della città è stato uno degli aspetti che hanno caratterizzato la storia del ristorante. Sicuramente, durante le calde serate estive, il ristorante in passato ha ospitato piccoli concerti di musica popolare o esibizioni teatrali, offrendo ai clienti un’esperienza unica, che è andata oltre il semplice piacere del cibo.
Nel corso degli anni, il Vicolo della Neve ha avuto un impatto significativo sulla scena gastronomica di Salerno. Il ristorante ha saputo valorizzare i prodotti del territorio, diventando un esempio da seguire per molti altri locali della città. Grazie alla sua attenzione alla qualità e alla freschezza degli ingredienti, il Vicolo della Neve ha contribuito a diffondere una cultura del cibo che mette al centro il rispetto per le tradizioni e per la materia prima. Questo ha portato a una vera e propria rinascita della cucina salernitana, che oggi può vantare una vasta gamma di ristoranti e trattorie che propongono piatti ispirati alla tradizione locale, ma con un tocco moderno e innovativo. In questo senso, il Vicolo della Neve ha fatto da apripista, dimostrando che la cucina tradizionale può essere un punto di partenza per creare qualcosa di nuovo e unico, senza mai perdere di vista le radici.
Il ristorante Vicolo della Neve rappresenta un tassello fondamentale nella storia gastronomica di Salerno. Con la sua cucina, che affonda le radici nella tradizione, ma che è sempre aperta all’innovazione, il ristorante ha saputo mantenere viva la memoria culinaria della città, proponendo piatti che raccontano la storia e l’identità di Salerno.
Tuttavia quella bellezza sui generis che lo ha sempre caratterizzato, quel fascino atavico si è perso dopo il restauro conservativo, e lo stesso dipinto di Clemente Tafuri (raffigurante sull’arcata della sala principale quattro personaggi e tra questi anche il pappagallo che, con il suo richiamo dinnanzi alla porta del locale, era un attrattore curioso per i passanti ai quali spiegava il menù del giorno, con una cantilena ripetuta a memoria) sembra scomparire tra le pareti color crema che anticamente erano stracolme di cimeli e quadretti raccolti nel corso del tempo.
Uno dei primi a riflettere sul concetto di fascino è Platone, che ne parla in relazione alla bellezza. Nel dialogo Simposio, Platone descrive il fascino che la bellezza esercita sull'anima. La bellezza sensibile è vista come una manifestazione terrena di una bellezza più alta, quella del mondo delle Idee. Il fascino della bellezza sensibile ha la capacità di elevare l'anima verso la contemplazione della bellezza assoluta, che è eterna e immutabile. In questo senso, il fascino è un'esperienza che parte dal mondo sensibile ma conduce verso la dimensione spirituale e intellettuale.
Forse quell’atmosfera di ritrovo un po' bohémien e intellettuale della Salerno che fu ora il Vicolo della Neve non la conserva, ma il progetto di riportarlo in vita è degno di lode, è stato un gesto eroico che senza dubbio comporta anche grosse responsabilità e richiama su di sé possibili critiche e continui confronti col passato. Oggi, in ogni caso, il Vicolo della Neve è un punto di riferimento per chiunque voglia vivere un’esperienza autentica, gustando i sapori di una volta in un contesto accogliente e altamente professionale.
E’ un monumento a Salerno, ai salernitani e alla salernità e come tale deve continuare a vivere e pulsare. La sua capacità di rimanere al passo con i tempi, pur conservando intatta la sua anima tradizionale, è ciò che lo rende un luogo unico e indimenticabile, un vero e proprio pilastro della gastronomia salernitana. “L'odore di menta t'invita, la tavola bianca, la stanza confusa dall'abbondanza. In quell'odore di forno per qualche sera la vita si scalda con le sue mani e quegli accordi lontani del tempo che fu”. (Alfonso Gatto)